Arrivederci in Vaticano?…

Le fragili speranze in una qualche composizione dei due conflitti più emergenti – quello in Ucraina e quello in Palestina -, suscitate anche sull’onda delle vicende romane, sembrano evaporate per ora in un nulla di fatto. Magari i negoziati Russia-Ucraina potrebbero tenersi proprio in Vaticano

(Foto Calvarese/SIR)

Insieme ai duecentomila fedeli, pellegrini e visitatori, in piazza S. Pietro domenica scorsa, per l’inizio del ministero petrino di Leone XIV, erano presenti circa 160 delegazioni provenienti da ogni parte della terra. E’ da pensare che anche queste, al di là di motivi di opportunità, di dovere o di onore, partecipavano al solenne rito, al “centro del mondo”, almeno con un minimo di condivisione dei principi fondamentali che ispirano questo pontificato nel suo servizio non solo alla cristianità ma all’intera umanità, bene espressi da papa Leone qualche giorno prima appunto nel discorso rivolto ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, che del poliedrico spettro internazionale sono qualificati rappresentanti: pace, giustizia, verità nella carità. Purtroppo, in realtà, non sembrano essere in gran consonanza con questi principi non pochi leader mondiali, presenti o rappresentati: primi fra tutti quel Vladimir Putin e quel Benjamin Netanyahu (ma per Israele c’era il presidente Isaac Herzog), che continuano inflessibili in una violenza bellica che miete vittime a centinaia ogni giorno. Le fragili speranze in una qualche composizione dei due conflitti più emergenti – quello in Ucraina e quello in Palestina -, suscitate anche sull’onda delle vicende romane, sembrano evaporate per ora in un nulla di fatto.

In particolare, l’incontro di Istanbul sull’Ucraina – che avrebbe potuto riunire addirittura i tre leader maggiormente coinvolti – è stato minato dalle tergiversazioni di Mosca sulla composizione della delegazione, progressivamente degradata fino ad essere guidata semplicemente da un “consigliere” del Cremlino (proprio quel Vladimir Medinsky, che aveva già mandato a monte con le medesime pretese i primi colloqui russo-ucraini del 2022 nella stessa città). Non si può neanche dire che “la montagna ha partorito un topolino”, perché si è capito presto che non si trattava di montagna da alti vertici, ma di un promontorio di basso profilo. Uno scambio di 1000 prigionieri (un buon numero, certo; ma solo una lodevole pratica come molte altre, fortunatamente, in questi 39 mesi); l’annotazione in agenda che Kiev chiede un incontro tra Zelensky e Putin, come già si sapeva; il pio desiderio di ritrovarsi ancora… Ci dicono che gli addetti delle due parti stanno preparando la lista delle “pre-condizioni” per il “cessate il fuoco”, anche se l’idea auspicata era quella di un “cessate il fuoco” senza “pre-condizioni”. Mai dimenticare il ritornello sempre ripetuto da Mosca: “Tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale saranno raggiunti!”. Difficile pensare che cambi la musica. E Putin lo sta dimostrando giocando a rimpiattino, con lo scopo preciso di fiaccare ulteriormente l’avversario, continuando a infierire sui civili, e di raggirare tutti i tentativi di mediazione, almeno – si può supporre – fino a quando riuscirà a completare sul terreno la conquista delle quattro regioni del Donbass, già ascritte alla madre Russia in Costituzione (oltre alla Crimea, ovviamente). Arduo, infatti, supporre che “tutti gli obiettivi” possano essere ridotti ad un livello inferiore a questo, dopo che sono già stati ridotti rispetto all’assoggettamento dell’intera Ucraina, com’era nei piani iniziali. E non è detto che il plenipotenziario del Cremlino rinunci a quel più alto e precedente obiettivo, prevedendo solo di rinviarlo…, puntando, decisamente, come si sa, nei suoi maniacali proclamati disegni, a ricostituire l’antico impero sovietico. Intanto, giusto per tranquillizzare il mondo, si premura di collaudare un missile balistico intercontinentale con gittata di 11.000 km e una portata di un milione di tonnellate di tritolo. Velato ottimismo sembra profilarsi dopo l’ultima telefonata Trump-Putin, giudicata tuttavia in modo diverso da Washington e da Mosca. Tornando a piazza S. Pietro, al centro dei nostri pensieri e dei media mondiali nei giorni scorsi, ci consola il fatto che c’è ancora chi parla sinceramente, con il cuore in mano, esortando la Chiesa a “camminare sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia”, a essere “piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità”, a “gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi”, ad aprire “le braccia al mondo”, a lasciarsi “inquietare dalla storia”, a diventare “lievito di concordia per l’umanità”, costruendo “l’unità e l’amore come risposta alle troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso”.

Un bel programma per il 267° vescovo di Roma e per la Chiesa intera. Con la speranza che la voce di Leone XIV sia un po’ più ascoltata rispetto ai suoi predecessori. Magari i negoziati Russia-Ucraina potrebbero tenersi proprio in Vaticano (come ambedue i contendenti paiono non sgradire), anche perché quelli ad Istanbul hanno fallito già due volte… 

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