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Regge la tregua tra India e Pakistan. “Ora un referendum per l’autodeterminazione del Kashmir”

Per l'ambasciatore del Pakistan Alì Javed la tregua tra India e Pakistan, dopo gli scontri della scorsa settimana, è stata possibile grazie alla mediazione di "molti Paesi amici". Ora chiede il rispetto delle risoluzioni Onu e un referendum per l’autodeterminazione del Kashmir. I commenti di padre Robert McCulloch, missionario in Pakistan per 34 anni, e di Marco Di Liddo, direttore del Cesi, durante un incontro organizzato a Roma dall'ambasciata del Pakistan in Italia

(Foto ANSA/SIR)

Gli accordi per il cessato il fuoco tra India e Pakistan reggono. E’ tornata la calma nei due Paesi dopo i bombardamenti della scorsa settimana a seguito dell’attentato terroristico del 22 aprile scorso a Pahalgam, nel Kashmir indiano, costato la vita a 26 turisti indiani. Nello Stato indiano del Jammu e Kashmir e nelle città lungo il confine tra i due Paesi la situazione è tranquilla, le scuole sono state riaperte ma alcuni aeroporti restano ancora chiusi. Gli scontri armati con l’India della settimana scorsa hanno causato 51 vittime in Pakistan, 40 civili e 11 militari, oltre a 121 feriti tra i civili e 78 tra i militari. L’India segnala cinque persone uccise. Le due potenze nucleari, che hanno fatto presagire scenari terribili, sono state fermate in tempi brevi dall’intervento degli Stati Uniti ma anche di “alcuni Paesi amici”, come “l’Italia, la Cina, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, l’Iran”. A parlare è Ali Javed, ambasciatore pakistano in Italia, a margine di un incontro su “Unilateralismo contro multilateralismo: minaccia alla legalità e legittimità dell’ordine basato sulle regole” che si è svolto il 13 maggio nella sede dell’ambasciata pakistana a Roma. Anche Papa Leone XIV, durante il suo primo Angelus di domenica scorsa, ha accolto con soddisfazione l’annuncio del cessate il fuoco tra India e Pakistan e auspicato che “attraverso i prossimi negoziati si possa presto giungere a un accordo durevole”.

Ali Javed (foto: Caiffa/SIR)

L’ambasciatore pakistano in Italia: “un referendum per il Kashmir”. “La situazione potrebbe riaccendersi di nuovo in futuro, come in passato – ha osservato Javed -. È importante, a questo proposito, rispettare e onorare le risoluzioni delle Nazioni Unite”. Il riferimento è alle risoluzioni Onu del 1948 e del 1950 – mai rispettate per l’opposizione dell’India – che chiedevano un referendum sull’autodeterminazione del Kashmir. Javed ha perciò auspicato “un referendum nell’area”, affinché “la gente del posto possa decidere del proprio futuro. Qualunque sarà il risultato, l’importante è che venga rispettato da entrambe le parti”. L’ambasciatore chiede “al Presidente degli Stati Uniti di svolgere il suo ruolo, insieme ai leader mondiali, perché rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite è una responsabilità globale” e “all’Europa, ai nostri amici occidentali e ad altri, di costringere i due Paesi a dialogare e a stabilire un ordine internazionale, facendo ciò che chiedono le Nazioni Unite. E, lo ripeto: ci chiedete di dialogare, ma da parte dei due partner, uno non parla. Quindi, dove ci porta tutto questo? Da nessuna parte. Questa è dunque la situazione attuale”. “Spero che in futuro prevalga il dialogo” – ha auspicato – e “che finalmente riusciremo a risolvere quella che è ormai la più lunga questione irrisolta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

La voce di un missionario per 34 anni in Pakistan. Significativa la presenza all’incontro romano di padre Robert McCulloch, australiano, della Società Missionaria di San Colombano. Ha vissuto in Pakistan come missionario per 34 anni, dal 1979 al 2011, e mantiene i contatti con la Conferenza episcopale del Pakistan, le istituzioni pakistane e le sedi diplomatiche in Italia. Padre McCulloch è stato addirittura insignito di una alta onorificenza da parte del governo pakistano per il suo impegno in campo sanitario, educativo e per il contributo all’armonia tra le religioni. Quanto accaduto la scorsa settimana, ha commentato al Sir, “è stata un’esagerazione da parte del primo ministro indiano Narendra Modi: doveva trovare un modo per salvare la faccia e calmare gli animi di una opinione pubblica infiammata, che ha fatto pressione sull’esercito indiano”. Dall’altra parte, invece, “si è vista una straordinaria maturità e moderazione del governo pakistano. Anche quando i missili indiani venivano lanciati contro quattro città pakistane e si continuava a parlare di accuse contro il Pakistan di fomentare e incoraggiare il terrorismo in India. C’è stata una sorta di scambio simbolico di colpi di pistola e poi una soluzione concordata, ma tante persone sono state uccise. Si sono resi conto che una guerra in quest’area è impossibile”.

Padre Robert McCulloch – (foto: Caiffa/SIR)

Il controllo delle acque del fiume Indo. A suo parere ora il grande problema è la questione delle acque del fiume Indo, che nasce in India ma attraversa il Pakistan. “Gli indiani possono controllarlo. Quello sarà il punto critico, perché in tanti posti del mondo si scatenano conflitti sul controllo dell’acqua”, ha osservato il missionario. Dal suo punto di vista “l’ostilità che perdura dalla tragedia dell’agosto e settembre del 1947, quando con la divisione tra India e Pakistan tante persone furono uccise, massacrate, sfollate, potrà finire solo se ciascun Paese potrà dire onestamente: ‘Chiediamo e diamo perdono’. Ma al momento non credo che questo possa accadere, è un cancro persistente. Si risolverà solo con la grazia di Dio”. Anche secondo padre McCullough

“bisogna permettere al popolo del Kashmir di decidere da solo”,

ricordando che “culturalmente, etnicamente, le persone del Punjab, del Pakistan, dell’India, sono uguali, come la mano destra e la mano sinistra. Dovrebbero essere diversi, ma uniti”.

Marco Di Liddo, Cesi, durante l’incontro all’ambasciata pakistana (foto: Caiffa/Sir)

Costruire un nuovo ordine globale. Durante l’incontro Marco Di Liddo, direttore del Cesi (Centro studi internazionali), think thank di politica internazionale, ha posto il focus sulla qualità dell’approccio multilaterale nel cercare le soluzioni, rispetto all’unilateralismo, che rompe le regole e l’ordine globale per perseguire gli interessi di singoli Stati. L’unilateralismo in atto nelle guerre in corso – ha osservato – “ha creato una sorta di effetto domino, perché altri Paesi pensano di poter imitare questo approccio. Dobbiamo anche essere critici sui nostri errori e sulle responsabilità dell’Occidente. Per noi è difficile accettare che il mondo non sia più lo stesso retto dalle regole del 1945. Il rischio del ritorno dei blocchi non è sostenibile.

Dobbiamo accettare che il mondo è cambiato e costruire un nuovo ordine,

altrimenti il sovranismo, l’estremismo, lo spirito di vendetta e i modi violenti, compreso l’approccio terroristico, rischiano di prendere il sopravvento e gli attori emergenti si sentiranno in diritto di non rispettare le regole”.

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