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Haiti. Don Pipinato (Cei): “Il Paese è bloccato e senza cibo, nessuna soluzione alternativa alle truppe Onu”

Don Gabriele Pipinato, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Conferenza episcopale italiana, presenta il dossier su Haiti. Un dettagliato documento per raccontare la spaventosa crisi umanitaria che ora sta devastando un Paese che vive da anni un’emergenza permanente e che rischia di scivolare verso una sanguinosissima guerra civile

(Foto AFP/SIR)

“L’accorato appello del Papa in favore di Haiti di domenica 10 marzo, reiterato la domenica successiva ci ha spinto a rivisitare i nostri progetti a rinsaldare legami che abbiamo con la Chiesa locale, a verificare di nuovo il lavoro che da anni stiamo facendo e quindi a dare con maggior capacità e vigore il nostro contributo in termini di comunicazione al fine di risvegliare l’attenzione della società civile sul dramma che sta vivendo questo Paese”. Don Gabriele Pipinato, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Conferenza episcopale italiana, motiva così la decisone di realizzare un dossier su Haiti. Un dettagliato documento per raccontare la spaventosa crisi umanitaria che ora sta devastando un Paese che vive da anni un’emergenza permanente e che rischia di scivolare verso una sanguinosissima guerra civile. Con circa 10 milioni di abitanti, Haiti è il Paese il Paese più povero dell’America Latina e dei Caraibi, il meno sviluppato di tutto l’emisfero settentrionale, con un tasso di povertà pari all’80%, vittima dell’instabilità politica e di disastri naturali.

Cosa è emerso dalla vostra analisi?
Il riscontro più immediato e drammatico che abbiamo avuto è quello relativo alla situazione dei missionari, tutti estromessi dal Paese. dal Paese. Ci siamo resi conto che paradossalmente la loro presenza costituiva un pericolo, sia per loro sia per tutti i volontari che insieme ai missionari servono e aiutano la popolazione locale. Un esempio emblematico è riportato nel dossier e riguarda l’esperienza di Suor Marcella Catozza.

La religiosa è stata costretta a lasciare il suo orfanotrofio, peraltro su richiesta del Nunzio. Le gang locali ritengono infatti che gli europei abbiano la possibilità di poter accedere o avere fondi e quindi sono ritenuti possibili obiettivi per un rapimento e successiva richiesta di riscatto.

Suor Marcella ha lasciato il Paese e ora, da Santo Domingo, sta cercando come può di sostenere la sua opera. Il provenire da Paesi considerati “ricchi” rende i missionari possibili obiettivi da colpire anche se oggi, le notizie ci dicono che ormai l’attacco delle gang è indiscriminato.

(Foto Wikimedia Commons)

Come si traduce allora l’intervento della Chiesa Italiana?
Intanto con un forte richiamo alla società civile. È vero che non possiamo occuparci di tutto il mondo ma col nostro lavoro, cerchiamo di aiutare e sostenere, uno alla volta, Paesi in grande difficoltà denunciando situazioni di grave disagio. Paesi dove la vita è davvero invivibile e assicuro che sono tanti. Poi cercando di non far calare l’attenzione verso quelle popolazioni, sia con gesti concreti sia con una preghiera incessante.

Per loro sapere che qualcuno non li ha dimenticati è già tanto.

Sembra difficile da credere, ma il riscontro che abbiamo da questi Paesi è sempre lo stesso: “Il Papa ci ha telefonato e pensa a noi” ci dicono e questo li spinge a non arrendersi. Ora, anche noi, senza telefonare, possiamo fare qualcosa e manifestare in qualche modo la nostra vicinanza. Dobbiamo farci presente come comunità cristiana, magari lasciando spazio alla fantasia dello Spirito Santo con un pizzico di audacia. Anche un piccolo gesto sarebbe importante.

Quali al momento le emergenze più grandi?
Sicuramente la mancanza di cibo. Gli aiuti alimentari non riescono ad arrivare perché vengono intercettati e bloccati nelle strade dalle gang. Non c’è quindi la possibilità di reperire materie prime per sfamarsi, come i cereali ad esempio. Questo a cascata si ripercuote su altre situazioni: la scuola che non riesce ad offrire i propri servizi; gli ospedali che non riescono a curare la popolazione. Un’emergenza tira l’altra e messe insieme, compongono nei dettagli la fotografia di un Paese completamente bloccato e ripiegato su se stesso.

Un dossier importante per informare la società civile a livello nazionale e internazionale. Chi secondo lei dovrebbe muoversi per cercare di fermare questa terribile deriva?
Le Nazioni Unite! Credo che l’Onu dovrebbe muoversi i e inviare un contingente per ristabilire l’ordine perché la situazione al momento è davvero impossibile a gestire. Le Nazioni Unite dovrebbero recuperare il ruolo che si sono date. Purtroppo non vedo una soluzione alternativa a quella delle truppe Onu: l’unica, a mio avviso, capace di riportare il tutto a una situazione di accettabile normalità.

Siamo alla vigilia della Settimana Santa, mi vi assicuro che il popolo haitiano è sulla croce da molto tempo. È un popolo che soffre e che ha fatto sue le parole di Gesù.

In questo momento il conflitto in Medio oriente e la guerra in Ucraina sono sotto i riflettori del mondo e anche della Chiesa Italiana in termini di assistenza e di aiuto e presenza concreta. Il vostro ufficio però monitora tante altre situazioni difficili. Quali sono?
Sono davvero tante! Sono molti i Paesi in estrema difficoltà e dei quali si sa ben poco. Uno su tutti: il Myanmar, di cui si è parlato è vero, ma spesso solo in riferimento alla vita e alle vicende del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La realtà è che in quel Paese la povertà è grande, la persecuzione anche. Non si contano le persone scomparse. Sono un’infinità. Una vicenda simile a quella dei tanti desaparecidos, dell’Argentina, di cui si è giustamente parlato e si continua a parlare. Nessuno invece parla delle migliaia di giovani letteralmente spariti in Myanmar e dei quali nessuno sa più nulla. Non sono nelle carceri e nessuno sa dove siano finiti. Ecco forse dovremmo informarci di più e meglio, iniziare a farci delle domande e provare a dare risposte concrete.

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