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Giornata di preghiera e digiuno. Don Tonio Dell’Olio (Assisi): “Costruire la pace significa stare sempre dalla parte delle vittime”

Don Tonio Dell’Olio, presidente della Commissione “Spirito di Assisi”: “Le guerre vengono sicuramente permesse dalla produzione e dalla circolazione delle armi ma vengono alimentate dal sentimento dell'odio che va crescendo. Allora noi dovremmo essere in grado - e questo è un compito non solo delle religioni, ma anche della società civile, dei movimenti per la pace - di sentire 'l'odore di bruciato', come diceva Dossetti, e laddove l'inimicizia cresce, riannodare segni di pace, e costruire ponti laddove altri costruiscono i muri”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

 “A dispetto di ogni polarizzazione che purtroppo i conflitti ci inducono, l’invito del Papa ci aiuta e ci sollecita ad avere un’unica prospettiva: stare sempre e al di là delle appartenenze, dalla parte delle vittime”. A nome del “popolo della pace”, don Tonio Dell’Olio, presidente della commissione “Spirito di Assisi”, presenta la straordinaria iniziativa di una Giornata di preghiera, digiuno e penitenza per la pace promossa da papa Francesco per venerdì 27 ottobre, giorno in cui ricorrono i 37 anni dallo storico incontro interreligioso di preghiera per la pace voluto da San Giovanni Paolo II. “La preghiera e il digiuno sono gli strumenti dei poveri”, osserva Tonio Dell’Olio. “Mi colpisce però il fatto che associazioni e persone, assolutamente laiche, guardano con grande rispetto a questa iniziativa, comprendendola in profondità”. 

(Foto Città Nuova)

Oggi siamo di fronte a una terza guerra mondiale in atto. Dopo la crisi in Ucraina è esplosa in tutta la sua virulenza la guerra in Terra Santa. Significa che lo Spirito di Assisi in questi 37 anni ha soffiato troppo debolmente?
Due considerazioni. La prima è che fino ad oggi siamo riusciti a sottoscrivere delle dichiarazioni, ad aprire degli spazi di dialogo in cui tutti siamo stati pronti ad affermare che non c’è un Dio della guerra e che anche secondo le prospettive delle diverse religioni e fedi, non è possibile trovare una giustificazione alla guerra. Fu detto in maniera chiara e precisa il 27 ottobre del 1986. E’ stato ribadito nelle diverse edizioni promosse dalla Comunità di Sant’Egidio e riaffermato ancora di più ad Abu Dhabi con la Dichiarazione sulla Fratellanza Umana sottoscritta dal Gran Imam al-Tayyeb e da Papa Francesco. Bisogna ammettere però che le dichiarazioni si sono scontrate con i fatti storici concreti, per cui se sugli intenti siamo d’accordo, sui casi specifici tolleriamo il ricorso alle armi e la “guerra giusta”. Credo sia arrivato oggi il tempo di compiere il grande passaggio dalla pace alla non violenza. Passaggio che Papa Francesco ha iniziato in qualche modo ad inaugurare, ma non è ancora portato a compimento.

Da dove cominciare?
E’ la seconda considerazione. Le dichiarazioni sono state fatte tra leader delle diverse fedi ma non sono riuscite a permeare le comunità e diventare strumenti di formazione, di educazione, di pastorale. Noi quindi dovremmo essere capaci di trasformare in itinerari educativi queste dichiarazioni.

Abbiamo assistito, soprattutto con Papa Francesco, anche a dei tentativi di tavoli diplomatici. Penso alla missione del card. Zuppi o alla telefonata del Papa al presidente Biden. Oltre che pregare e digiunare per la pace, cosa possono fare le religioni?
Intanto migliorare le relazioni tra loro e passare dal dialogo all’incontro. Penso, in concreto, quanto potrebbe essere utile e importante avere un luogo in cui le religioni si riconoscono e possono esercitare, in un clima di fiducia reciproca e di cooperazione, la solidarietà in maniera congiunta. Penso anche ad un ambito più diplomatico, di impegno interreligioso che lavori all’interno delle Nazioni Unite e possa servire come spazio comune per lavorare per la pace. 

 Sta pensando ad un’istituzione o a un tavolo o a un forum delle religioni per la pace?
Sì, una realtà però che non sia soltanto frutto della spontaneità o dell’iniziativa delle religioni, ma un tavolo che venga legittimato e riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Come si costruisce la pace di fronte all’impasse dell’odio e all’impasse della rincorsa delle armi?
L’unica volta in cui mi è stato concesso di entrare a Gaza, tra gli incontri più interessanti e profondi che ho fatto, c’è stato quello con uno psichiatra che cura i traumi di guerra. Lui mi diceva che per laurearsi in medicina e poi specializzarsi ha frequentato un’università israeliana dove ha incontrato ed è tuttora amico di tanti coetanei e colleghi israeliani. Il nodo sta qui. Le nuove generazioni di Gaza, purtroppo chiusi dalla nascita dentro la Striscia, non hanno mai incontrato un israeliano se non quelli in divisa o quelli che pilotano gli aerei che bombardano e distruggono la vita ordinaria di Gaza. Per loro, gli israeliani sono tutti nemici. E viceversa.

Questa è la mostruosità della guerra.

Questo vale anche per gli ucraini e i russi?
Si e aggiungerei tra due popolazioni che erano parte addirittura di un’unica Federazione. 

Cosa vuole dire?
Che le guerre vengono sicuramente permesse dalla produzione e dalla circolazione delle armi ma vengono alimentate dal sentimento dell’odio che va crescendo. Allora noi dovremmo essere in grado – e questo è un compito non solo delle religioni, ma anche della società civile, dei movimenti per la pace – di sentire ‘l’odore di bruciato’ come diceva Dossetti, e laddove l’inimicizia cresce, riannodare segni di pace e costruire ponti laddove altri costruiscono i muri.

 

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