This content is available in English

Striscia di Gaza. Appello al governo di Amnesty e delle Ong italiane: “Cessate il fuoco e protezione dei civili”

Dal 7 ottobre sono state uccise 1.402 persone in Israele. Da allora, secondo il ministero della Sanità di Hamas sono 6.546 i morti a Gaza, di cui 2.746 bambini, 17.439 feriti e 1 milione e 400.000 sfollati. Senza contare chi è rimasto sotto le macerie. Amnesty international e Aoi, l’associazione che riunisce una cinquantina di Ong italiane, hanno lanciato oggi un forte appello alle istituzioni italiane ed europee per “porre fine all’assedio totale della Striscia di Gaza e garantire l’accesso ai beni essenziali e agli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile”

(Foto: ANSA/SIR)

Un appello al governo e al parlamento italiano affinché mettano al centro dell’azione politica il rispetto dei diritti umani e della vita delle popolazioni civili, per “porre fine all’assedio totale della Striscia di Gaza e garantire l’accesso ai beni essenziali e agli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile nella Striscia”: è stato lanciato oggi a Roma da Amnesty international e oltre 50 organizzazioni non governative italiane riunite nell’Aoi (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale). Si chiede anche al nostro esecutivo “di promuovere il rispetto del diritto internazionale umanitario, astenendosi dal fornire armi a qualsiasi parte coinvolta nel conflitto e sostenendo pubblicamente l’operato della Corte penale internazionale nelle indagini sui crimini commessi nella regione”. Dal 7 ottobre sono state uccise 1402 persone in Israele. Da allora, secondo il ministero della Sanità di Hamas sono 6.546 i morti a Gaza, di cui 2.746 bambini, 17.439 feriti e 1 milione e 400.000 sfollati. Senza contare chi è rimasto sotto le macerie.

Yousef Hamdouna – (foto: SIR)

“Siamo arrivati ad un livello di ingiustizia in cui non si è mai arrivati nella storia. Stare sotto le bombe a Gaza vuol dire attendere il proprio turno, perdere ogni speranza. Perché il sangue di un bambino palestinese deve valere di meno? Quanti altri morti ancora per porre fine a tutto ciò?”. A portare un toccante testimonianza è stato Yousef Hamdouna, palestinese, operatore umanitario dell’associazione Educaid. Da beneficiario iniziale di progetti di solidarietà ora lavora per la propria terra. Era già in Italia prima dell’inizio dell’assedio ma ha tutta la famiglia a Gaza. Nel 2014 ha perso una figlia sotto le bombe israeliane: “Da allora non riesco a perdonare me stesso per non essere riuscito a salvarla”, racconta con voce straziata, mentre la sala è travolta da una ondata di commozione. Stanotte ha saputo della morte di familiari e amici, mentre tutti i suoi fratelli hanno le case distrutte dai bombardamenti. “È una situazione che non si può immaginare. Anche io sono vissuto sotto le bombe, ma stavolta è peggio.

A Gaza lo chiamano ‘il giorno del giudizio’, non hanno mai visto una cosa del genere”.

Una sua collega è stata salvata dalle macerie ma tutti i suoi familiari sono morti. “Mi ha detto: non so se sono stata fortunata o la mia famiglia è più fortunata di me. I numeri sono persone. Non ci vuole una scienza o una matematica per dire che ci sono civili che muoiono. Ci sono 2 milioni di persone che vogliono stare a casa loro ma nessuno li sta aiutando”.

(foto: SIR)

Ong italiane, a Gaza c’è bisogno di tutto. “Come abbiamo subito espresso una condanna netta della strage di Hamas oggi facciamo nostre le parole del segretario dell’Onu Antonio Guterres: ha ricordato che gli attacchi di Hamas ‘non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione’ e se è vero che ‘le sofferenze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas’, è altrettanto vero che ‘quegli attacchi spaventosi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese’”: lo ha detto Silvia Stilli, presidente di Aoi: “I nostri operatori ci raccontano che nella Striscia di Gaza c’è bisogno di tutto: carburante per ospedali e ambulanze, cibo e acqua, elettricità, beni essenziali e salvavita, equipe mediche. Gli ospedali sono sovraffollati, i medici sono costretti ad operare nei corridoi. Il valico di Rafah è stato aperto due giorni permettendo l’ingresso di pochissimi camion di aiuti umanitari, meno del 20% degli aiuti prima della crisi. È necessario aprire altri varchi”. Stilli si è rivolta direttamente alla premier Giorgia Meloni perché “si impegni per una immediata cessazione delle ostilità e la liberazione degli ostaggi.

Si blocchi subito la punizione collettiva di una intera popolazione innocente che viene identificata con Hamas. Cessate il fuoco, cessate il fuoco”.

Amnesty, “sono crimini di guerra. No a condanna e solidarietà selettive”. “È necessario chiamare le cose con il loro nome: sono crimini di guerra ed è violazione del diritto internazionale umanitario. Invece c’è una attenzione sugli attori e non sulle azioni, con narrazioni molto di parte”. Lo ha ribadito Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international: “In Occidente, anche sui media, si è scelto di guardare solo agli attori, con doppi standard e condanna e solidarietà selettive”. “Sono crimini di guerra quelli compiuti da Hamas e quelli della campagna militare israeliana, con attacchi aerei indiscriminati e senza preavviso. È fallace la dichiarazione di Israele che avvisa prima di bombardare – ha precisato Noury –. Abbiamo verificato 5 attacchi in cui non c’è stato preavviso e uno in cui le persone sono state mandate al mercato, a morire sotto le bombe”. Inoltre, ha aggiunto, “l’idea di dare aiuti umanitari senza giustizia non porta da nessuna parte”. “Pietà l’è morta”, ha aggiunto Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina: “Non è solo una questione umanitaria, l’occupazione militare è riconosciuta da tutta la comunità internazionale come una violazione del diritto internazionale. Cessate il fuoco, ma cessate anche l’occupazione militare a Gaza e in Cisgiordania”.

(foto: SIR)

Troppe armi inviate in Medio Oriente. Porre fine ad un conflitto senza che gli altri Paesi smettano di inviare armi è impossibile. “Negli ultimi 10 anni sono state inviate in Medio Oriente un terzo di tutte le esportazioni militare mondiali”, ha ricordato Maurizio Simoncelli, della Rete Pace e disarmo e coalizione “Assisi pace giusta”: “Il 54% arriva agli Stati Uniti, il 12% dalla Francia, l’8,6% dalla Russia e l’8,4% dall’Italia”.

“L’Italia ha le sue responsabilità: dal 2005 il nostro export è quadruplicato e il 30/40% delle armi esportate dal 2012 al 2022 sono destinate al Nord Africa e al Medio Oriente. Perciò non ci possiamo stupire di quello che è successo”.

Altri articoli in Mondo

Mondo