Ad una settimana dal sisma, card. López Romero, “ci vorranno anni per la ricostruzione. Che resti la solidarietà resti nel cuore”

Ad una settimana dal devastante sisma che ha colpito il Marocco, la sera di venerdì 8 settembre, è il card. Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat e Presidente di Caritas Marocco, a fare il “punto” sulla situazione. “Serviranno 2 o 3 anni per uscire dall’emergenza”, dice. “Avremmo bisogno di molti soldi per riparare, per ricostruire le scuole, le moschee, i presidi sanitari, le abitazioni per ogni famiglia”. “Ripeto quello che ho detto fin dal primo momento, che questa solidarietà che è davvero enorme, resti nel cuore”.

(Foto ActionAid)

“Di giorno in giorno le cifre delle vittime aumentano. Siamo arrivati a 3mila morti e 10mila feriti, molti dei quali gravi. Ma accanto a queste cifre, stiamo assistendo ad una valanga di solidarietà da parte della società civile marocchina e della comunità internazionale. Bisogna anche riconoscere la reazione delle autorità locali. Il governo marocchino è presente dappertutto”. Ad una settimana dal devastante sisma che ha colpito il Marocco, la sera di venerdì 8 settembre, è il card. Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat e Presidente di Caritas Marocco, a fare il “punto” sulla situazione. “C’è un’azione del governo molto forte. Si sono costruiti ospedali da campo e addirittura si stanno utilizzando i droni per portare cibo e medicine nei luoghi più reconditi. Tanti medici si sono spostati raggiungendo i luoghi più colpiti vicino all’epicentro del sisma. Si comincia anche a parlare di ricostruzione. Cercando di capire cosa fare e in quali condizioni perché una tragedia simile non si ripeta in queste enormità. L’azione del governo è dunque molto forte così come l’azione della società civile marocchina e internazionale”.

La gente come sta? Che notizie sta ricevendo dai suoi sacerdoti e dalla Caritas?

Ci sono persone che hanno perso tutto. Alcuni addirittura l’intera famiglia come un uomo che sotto le macerie ha perso la moglie e cinque figli. Ci sono quindi persone molto traumatizzate che necessitano non solo di tutto, ma anche di un sostegno psicologico e spirituale. C’è però anche una grande solidarietà tra le persone colpite dal terremoto. Vivono in comunità. Si lavora insieme perché non manchi il necessario. Il cibo non manca. Ma le persone hanno perso la casa e vivono nelle tende tipiche della popolazione nomade marocchine. Vivono in difficoltà, senza riuscire ancora a capire quanto tempo questo durerà perché non c’è una soluzione facile e rapida.

Serviranno 2 o 3 anni per uscire dall’emergenza.

Che cosa vi preoccupa di più in questo momento?

La ricostruzione. Avremmo bisogno di molti soldi per riparare, per ricostruire le scuole, le moschee, i presidi sanitari, le abitazioni per ogni famiglia. Si sta capendo se ricostruire le centinaia di piccoli villaggi che sono stati rasi al suolo dal terremoto o se si deve concentrare la popolazione colpita in un unico luogo, con centri per 500/600 persone. E’ una questione di politica urbanistica e demografica. Il governo sta cominciando a prendere le prime misure per indennizzare le persone e verificare i piani di ricostruzione.

Secondo la sua esperienza, questo terremoto con gli ingenti danni che ha causato, provocherà una ulteriore ondata di migrazione di marocchini verso l’estero? Devierà i flussi migratori che provengono dall’Africa dirottandoli dal Marocco verso altri paesi ? Insomma avrà un impatto anche su questo fronte?

Sul flusso migratorio africano e subsahariano nessuno. I migranti sub sahariani si trovano nelle grandi città e non hanno subito conseguenze. Non ritengo quindi che su questo tipo di flusso, ci sarà una grande differenza. Ma sulla migrazione marocchina che è già forte, può essere. Molte di queste persone che vedono distrutte le loro case, possono cominciare a pensare a migrare sia all’interno del Paese, sia all’esterno, in Spagna, in Italia, in Francia. Qualcuno certamente vuole restare là dove è nato e cercare di ricostruire ciò che il terremoto ha distrutto ma ci sono altri che vedono tutto distrutto e sono quindi spinti a migrare. Sono reazioni differenti. Quelli che si aggrappano a maggior ragione alle loro radici e quelli che soffrono talmente tanto che vogliono partire.

Vuole lanciare un appello all’Italia?

Ripeto quello che ho detto fin dal primo momento, che questa solidarietà che è davvero enorme, resti nel cuore. Il mio appello però è anche un altro ed è quello a diventare tutti solidali. Essere solidali più che fare solidarietà. Essere caritativi più che fare la carità. Facciamo in modo che questa tragedia trasformi la nostra vita, convertendoci tutti ad uno stile di vita che sia solidale e che questa solidarietà sia permanente. I bisogni sono molti, non soltanto in questo momento e in questo luogo. Sono tanti anche in Italia. Accanto a voi, ci sono dei poveri e tante persone che sono in pericolo e nel bisogno di aiuto. Occorre diventare tutti persone solidali.

In vista agli incontri Mediterranei di Marsiglia, che vocazione è chiamato ad avere questo Mare dove purtroppo si continuano a contare morti e morti anche di bambini di pochi mesi?

Bisogna costruire comunione attorno a questo mare.  Solo se il Mediterraneo unisce i popoli, potremmo vivere in pace, in fraternità e in comunione. L’auspicio è che il Mediterraneo non sia una separazione ma un elemento che unisce e un luogo di comunione dove la dignità umana è rispettata in tutti i paesi. Questo sarebbe una grande cosa.

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