Bolivia. Popolazioni senz’acqua, a rischio denutrizione e sempre più povere

C’è forte preoccupazione per la situazione che si vive nel grande altopiano della Bolivia, a oltre quattromila metri sul livello del mare, una delle zone antropizzate più elevate al mondo. La carenza d’acqua si è già verificata altre volte, nella regione, ma forse mai in modo così acuto

(Foto: prelatura di Corocoro)

Senz’acqua, a rischio denutrizione, e sempre più povere. È la situazione che stanno vivendo le popolazioni del grande altopiano della Bolivia, che si trova a oltre quattromila metri sul livello del mare, una delle zone antropizzate più elevate al mondo. La carenza d’acqua si è già verificata altre volte, nella regione, ma forse mai in modo così acuto. C’è forte preoccupazione per il livello molto basso del Titicaca, il più alto lago navigabile al mondo, al confine con il Perù, fonte di vita e sostentamento soprattutto per gli indigeni Aymara. Bacini come il fiume Pilcomayo, il fiume Desaguadero, il lago Poopó e il Río Grande de Lipez – Salar de Uyuni sono anch’essi colpiti dalla siccità. A Sacaba, non lontano da Cochabamba, i laghi si stanno prosciugando.

Si stima che, entro i prossimi due mesi, l’acqua si esaurirà. La patata è il prodotto più colpito ed è il terzo prodotto più consumato dopo il riso e il grano dalla popolazione locale.

Colpiti i più poveri. Spiega al Sir Carla Cordero, esperta in Scienza sociali per la Fondazione Jubileo, collegata alla Chiesa boliviana: “Nel 2021, 4,3 milioni di boliviani erano poveri di reddito (36,3%), secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica (Ine). Tuttavia, il quadro diventa più complesso se si considera che un milione e 300mila persone si trovano in condizioni di povertà estrema (11,1%), ossia non sono in grado di coprire i loro bisogni alimentari di base, anche perché i prezzi dei prodotti alimentari minacciano maggiormente i poveri, con le famiglie del livello più basso che spendono circa il 41,8% della loro spesa totale per il cibo, rispetto al 17,2% per le famiglie del livello più elevato”. Una statistica di carattere nazionale, ma i numeri sono maggiori nelle zone rurali dell’altipiano.

I fenomeni climatici in Bolivia impattano su questo quadro preoccupante, “in particolare la siccità, che si è accentuata negli ultimi anni, causando carenza d’acqua per il consumo umano e per l’irrigazione, aggravando le condizioni sfavorevoli per la produzione agricola del Paese – prosegue la prof. Cordero –. Aumentano i prezzi, diminuisce la quantità e la qualità degli alimenti, incidendo sulla sicurezza alimentare, e quindi sulla povertà, soprattutto per quelle famiglie che vivono in condizioni di estrema povertà, che non hanno un reddito sufficiente per acquistare cibo nelle quantità e nella qualità necessarie a mantenere un’alimentazione adeguata.

La situazione è particolarmente grave per i produttori rurali, che perdono il loro raccolto e i loro mezzi di sussistenza,

considerando che quasi 7 lavoratori su 10 vivono nel settore agricolo in ambito rurale”.

Il progetto solidale della prelatura di Corocoro. La Chiesa fa il possibile per stare vicina a chi soffre e per creare consapevolezza in coloro che possono portare un cambiamento, a partire di stili di vita rispettosi del Creato. In particolare, la prelatura di Corocoro, un vasto territorio a sud di La Paz, ha avviato un programma per consegnare alla popolazione più povera generi di prima necessità, puntando a raggiungere almeno tremila famiglie. L’iniziativa è guidata personalmente dal vescovo della prelatura di Corocoro, mons. Pascual Limachi, che racconta al Sir: “Le statistiche sono relative e i numeri si possono manipolare, ma la realtà che io vedo visitando le comunità è che

l’ottanta per cento della popolazione vive in povertà. La siccità sta provocando una catastrofe umanitaria.

Qui si comincia a seminare ora, in agosto, per poi proseguire nei mesi successivi, fino a novembre. I poveri campesinos lo hanno fatto anche l’anno scorso, ma la terra era già secca. Ho visto con i miei occhi queste persone a tentare di raccogliere i miseri e piccoli frutti del loro lavoro, patate, avena, riso… quasi tutto il raccolto è andato perduto. Il prossimo anno le cose andranno anche peggio, qui l’ultima pioggia l’abbiamo vista in dicembre”.

Una vita dura, che viene condotta soprattutto da agricoltori ormai anziani, o da genitori con figli in tenera età. “I giovani emigrano, chi a la Paz, chi, soprattutto, nel vicino Cile, chi in Brasile o in Argentina. Qui restano anziani, poveri, famiglie numerose, come una, che ho conosciuto, con diciotto figli”. Il vescovo tenta di tenere viva la speranza, ricorda l’importanza “di pregare, di confidare nel Signore”. Ed è stato sempre mons. Limachi a prendere carta e penna, per chiedere aiuto: “Mi hanno risposto dalla Germania, da Adveniat, ed è stato possibile iniziare a portare nelle comunità cestini con elementi di base del paniere familiare, come zucchero, riso, pasta e olio. Ma cerchiamo anche di fornire materiale scolastico per i bambini, che spesso devono fare a piedi due o tre ore per arrivare alla scuola più vicina, e sono sprovvisti di tutto. È inaccettabile che ci siano bimbi che non possono accedere all’istruzione”. Per il futuro, sarebbero però necessari provvedimenti più radicali:

“Bisognerebbe scavare pozzi, raggiungere l’acqua che scorre nel sottosuolo, ma noi non abbiamo certo la possibilità di farlo da soli. Cerchiamo anche di fare rete con il Municipio, ma la politica si muove sempre lentamente, e a volte vede la Chiesa con sospetto”.

Servono politiche strategiche. Dato per assodato che

il cambiamento climatico colpisce i più poveri, sempre più,

secondo la prof. Cordero, “emerge la necessità di analizzare in profondità le sfide che la povertà comporta in termini di creazione e qualità dei posti di lavoro, inclusione sociale e, naturalmente, governance e sviluppo locale, nonché di valutare e proporre politiche pubbliche in ambito sociale, affinché siano più mirate e prioritarie per la popolazione più vulnerabile”. Fondamentale “un approccio territoriale che valorizzi l’importanza dell’articolazione tra aree rurali e urbane, rafforzando i legami tra i due spazi. Sono necessarie politiche pubbliche differenziate, come misure di credito produttivo per l’agricoltura familiare, normative specifiche per la costruzione di agroindustrie familiari, modelli di commercializzazione diretta, servizi ambientali su base comunitaria, educazione contestualizzata alle nuove esigenze”.

Soprattutto, assieme a tutto questo,

servono “politiche strategiche volte a superare i principali ostacoli allo sviluppo, come la disuguaglianza sociale, la povertà e l’assenza di un ambiente economico che mobiliti i settori produttivi verso uno sviluppo sostenibile. E questa azione richiede che i diversi attori (Governo, imprese private, organizzazioni sociali, mondo accademico e organizzazioni internazionali) attuino una strategia coordinata per promuovere la dinamizzazione sostenibile e inclusiva dei territori rurali in coordinamento con le aree urbane.

Per questo motivo, è essenziale che la Bolivia integri il cambiamento climatico nella pianificazione delle politiche pubbliche”.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

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