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Crescono i cristiani ma non i cattolici. Per annunciare il Vangelo resta essenziale la testimonianza

In base al rapporto che annualmente l'Agenzia per gli affari culturali del Giappone redige e pubblica per "contare" il numero di aderenti alle diverse istituzioni religiose presenti nel Paese, e relativo ai dati del 2021 comunicati dei diversi gruppi, solo quello classificato dall'Agenzia come "cristiani" ha registrato un aumento rispetto all'anno precedente con 52.290 membri in più raggiungendo un totale di 1.967.584 unità. Una crescita che si ripete per il secondo anno consecutivo ma che tuttavia non riguarda la Chiesa cattolica che con 431.100 fedeli ne perde 3983, pur rimanendo in testa alla galassia delle confessioni cristiane

foto SIR/Marco Calvarese

Tokyo – Si chiama “shūkyō nenkan” ed è il rapporto che annualmente l’Agenzia per gli affari culturali del Giappone redige e pubblica per ’contare’ il numero di aderenti alle diverse istituzioni religiose presenti nel Paese, suddivise in quattro raggruppamenti principali: shintoisti, buddisti, cristiani ed altre religioni. In base all’indagine 2022, resa nota quest’anno e relativa ai dati del 2021 comunicati dei diversi gruppi, solo quello classificato dall’Agenzia come “cristiani” ha registrato un aumento rispetto all’anno precedente con 52.290 membri in più raggiungendo un totale di 1.967.584 unità. Una crescita che si ripete per il secondo anno consecutivo ma che tuttavia non riguarda la Chiesa cattolica, che con 431.100 fedeli ne perde 3983, pur rimanendo in testa alla galassia delle confessioni cristiane che spaziano dalle innumerevoli diramazioni delle chiese protestanti, alla chiesa ortodossa giapponese e ad altri gruppi che si richiamano al cristianesimo.

Shintoisti e buddisti sono le realtà più numerose, rispettivamente con 87.236.585 e 83.242.856 aderenti, ma hanno comunque subito un calo, come pure la categoria “altre religioni”. Anche nello ‘shūkyō nenkan 2022’, come in quelli degli anni precedenti, il numero complessivo dei membri dei quattro gruppi, pari a 179.560.113 unità, ha superato il totale della popolazione giapponese che conta circa 126 milioni di abitanti. Un dato solo apparentemente incongruo se si considera il particolare approccio dei nipponici alla religione, che consente la contemporanea adesione a shintoismo e buddhismo senza necessità di alcun rito particolare di iniziazione e senza limiti di sovrapposizioni, creando così una sorta di cortocircuito statistico.

Sebbene la presenza cristiana in Giappone rappresenti poco più dell’1% dell’intera popolazione di cui uno 0,34% circa di cattolici, i giapponesi hanno familiarità con la cultura cristiana. Già a scuola ricevono qualche nozione sulla storia del cristianesimo e tutti conoscono personalità come Madre Teresa di Calcutta da adulti si appassionano all’arte e alla musica cristiana, gospel e Ave Maria di Schubert in testa, e nei loro viaggi all’estero desiderano visitare chiese e musei dove sono conservate i capolavori degli artisti cristiani. Il Natale poi è ben radicato tra le persone di tutte le età che, anche se non battezzate, spesso partecipano alla Messa di Natale. Ugualmente molte coppie non cristiane vogliono celebrare le loro nozze secondo lo ‘stile’ cattolico e per soddisfare tale esigenza si rivolgono ad aziende specializzate, che ripropongono in edifici ristrutturati come cappelle per cerimonie con tanto di professionisti che, vestiti da sacerdoti, le presiedono recitando le formule proprie della liturgia del matrimonio cattolico. In un articolo apparso qualche anno fa su un quotidiano online si leggeva: “I giapponesi sono interessati ad un cristianesimo senza il ‘Vangelo’”. Nonostante le tre arcidiocesi e le 14 diocesi presenti nell’arcipelago nipponico, dove secondo un sondaggio un giapponese su dieci ha frequentato nel corso della sua vita scuole o università cattoliche, “è difficile trovare un successo tangibile nelle attività missionaria” affermava l’arcivescovo di Tokyo Tarcisio Isao Kikuchi in una intervista rilasciata al Catholic News Agency nel 2019. In un documento di due anni dopo, i vescovi nipponici descrivevano la comunità cattolica in una situazione di ‘stallo’, “conseguenza del calo delle nascite, dell’invecchiamento della popolazione, dei cambiamenti nell’ambiente familiare, dell’indebolimento del senso della fede e dell’allontanamento dei giovani dalla Chiesa”, determinando inoltre una diminuzione delle vocazioni. In tale contesto vengono individuate come fondamentali per il futuro della comunità cattolica nipponica la cura pastorale dei giovani e quella dei battezzati stranieri per accoglierli nelle parrocchie e per diffondere tra i fedeli la consapevolezza che la Chiesa in Giappone non è una chiesa giapponese, ma una chiesa universale.

Tuttavia, per ridare slancio ad una pastorale missionaria che gli stessi Vescovi definiscono indebolita, accanto alle scuole e dalle università cattoliche, la cui identità si sta peraltro affievolendo, ed alla presenza fondamentale di istituzioni assistenziali come la Caritas Japan, che con il suo servizio testimonia i valori evangelici a molte persone che non hanno avuto contatti con il cristianesimo, diventa “importantissima la testimonianza di persone e famiglie cattoliche che si sono trasferite missionario in Giappone” secondo l’arcivescovo di Tokyo Kikuchi.

Proprio la testimonianza, traduzione del termine greco ’martyría’, ha accompagnato sin dalle origini l’annuncio del Vangelo in questa terra che don Antonello Iapicca missionario da trent’anni nel Sol Levante ha definito in una intervista “società gentilmente Cristo-repellente”. Anche lui intendeva sottolineare con questa espressione la difficoltà dell’evangelizzazione chi spiegava così: “È molto difficile che il Cristianesimo possa penetrare perché l’educazione ricevuta, di stampo buddista, forma un cittadino perfetto che, naturalmente, viene prima del cristiano”. Ed individuava nella testimonianza la via privilegiata per annunciare la Buona Notizia: “Vedere oggi una famiglia cristiana con tre o quattro figli in Giappone è una testimonianza di una forza dirompente. Avere dei cristiani che vanno dal capoufficio e dicono ‘io domenica non posso lavorare perché la famiglia viene prima’ è una rivoluzione enorme”.

Papa Francesco nella Pentecoste del 2017 diceva “La Chiesa è missionaria per natura, se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire”. Anche la Chiesa giapponese ha urgente bisogno di recuperare questa sua natura originaria. “Riteniamo che la ‘dimensione missionaria’ del servizio dei sacerdoti – dicono i vescovi – debba essere rafforzata. Per questo motivo, è necessario invitarli a cercare modi per raggiungere oltre la comunità dei credenti i cuori di coloro che aspettano il Vangelo. Questo significa cambiare il modello da “amministratore” a “pastore”, da “pastore” a “missionario” ”.

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