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Khartoum vive nel terrore, popolazione senza cibo e rischio bombardamenti

Da sabato scontri feroci soprattutto attorno alla capitale fra esercito regolare e paramilitari del Rapid Support Forces stanno insanguinando uno dei Paesi più poveri al mondo. Due anni fa il golpe, da allora la democrazia è stata annientata in Sudan. Intanto la gente fa i conti con le difficoltà della vita quotidiana. Appelli della Comunità internazionale per il cessate il fuoco. Il racconto in presa diretta del missionario comboniano Diego Dalle Carbonare

Immagini di guerra dalla capitale sudanese Khartoum (Foto Ansa/SIR)

Dopo una notte relativamente calma ma insonne, a Khartoum stamani “l’artiglieria pesante dell’esercito ha ripreso a bombardare”, lo spazio aereo è stato chiuso e i morti sono quasi un centinaio. “Sembra che i paramilitari abbiano perso il controllo di diversi avamposti fuori dalla capitale, mentre l’esercito fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan è tornato in possesso delle sue basi aeree”. A parlarcene, fornendo aggiornamenti costanti sul conflitto in corso da sabato scorso in Sudan, è padre Diego Dalle Carbonare, comboniano in missione da anni nel Paese del Corno d’Africa, ma al momento in Egitto.

Padre Diego Dalle Carbonare (Foto profilo FB)

Corsa violenza al potere. Padre Dalle Carbonare, in contatto con i confratelli a Khartoum, parla di un conflitto interno tra esercito e paramilitari per il controllo strategico del terzo Paese più grande d’Africa. Attesa e preannunciata da almeno un anno e mezzo, la guerra civile tiene in ostaggio un intero popolo, e si combatte tra l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan (a capo del Consiglio Sovranazionale che guida il governo di transizione), e i paramilitari delle Rsf, le Rapid Support Forces, guidate da Mohamed Hamdan Degalo. “Il popolo è diviso tra chi sostiene i paramilitari, pensando che possano poi cedere il potere ai civili, e quanti ritengono invece che essi vogliano soltanto fare i propri interessi e prendersi tutto il potere”, spiega padre Diego, aggiungendo che i paramilitari sono nati come mercenari. In ogni caso nei prossimi giorni “ci si attende una prosecuzione degli scontri nella capitale, con bombardamenti aerei – dice padre Diego –. Preghiamo per la popolazione civile. Molte zone non hanno elettricità da sabato, con problemi di acqua e cibo”.

Si rischia anche la fame. Il comboniano fa notare che in questo momento nella regione dell’Africa orientale che confina con l’Egitto a nord, Eritrea ed Etiopia ad est, si è nel periodo più caldo dell’anno: “con temperature massime ben al di sopra dei 40 gradi, circostanza che acuisce la sofferenza della popolazione senza cibo da due giorni”. Sabato scorso e fino a domenica pomeriggio, inoltre, duecento studenti tra i sei e 18 anni del Comboni college (la scuola primaria e secondaria gestita dai comboniani a Khartoum), erano rimasti nel seminterrato dell’edificio, “impossibilitati ad uscire perché si sparava ovunque, anche nella zona adiacente alla scuola”. Poi domenica fortunatamente la buona notizia: “i nostri ragazzi sono riusciti a dirigersi verso le loro case, lontane dal centro città dove si continua a sparare”, spiega padre Diego.

Epilogo annunciato. Il missionario assicura che i padri suoi confratelli sono in salvo, almeno per ora, ma la situazione è molto fluida e in rapida evoluzione. “Temevamo da tempo questo epilogo – spiega –; l’esercito e i paramilitari hanno cominciato a farsi la guerra da pochi giorni ma c’è una forte tensione da gennaio del 2022”. Esattamente in quel periodo, tra gennaio e febbraio del 2022, il missionario raccontava a Popoli e Missione: “ci sono almeno due o tre manifestazioni a settimana e i militari rispondono bloccando strade e ponti, affinché la gente non raggiunga i palazzi del potere”. Era la sfiancante resistenza della società civile sudanese contro il golpe militare che il 25 ottobre 2021 aveva deposto il premier legittimo, Abdalla Hamdok. I militari il 25 ottobre del 2021 avevano prelevato dalla sua abitazione il primo ministro Hamdok, portandolo nella residenza del generale Buran. Poi avevano arrestato altri ministri e tentato di formare un nuovo esecutivo. Buran aveva dichiarato lo stato di emergenza e sciolto il governo di transizione, gettando il Paese nel caos più totale. I militari avevano più volte tentato di negoziare “segretamente” col ministro tenuto in cattività: sono state settimane di attesa, anarchia e violenza in tutto il Paese. Va fra l’altro notato che nel Paese circolano armi fornite anche dai Paesi europei. E che la destabilizzante situazione del Sudan rischia di coinvolgere gli Stati dell’intera regione. Dalla Comunità internazionale arrivano appelli – finora inascoltati – ad abbandonare le armi e a intavolare negoziati per la tregua e la ricostruzione della democrazia.

(*) “Popoli e Missione”

 

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