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Le difficoltà economiche, le migrazioni e il dialogo con Bruxelles: gli italiani in Tunisia raccontano un Paese a rischio default

Il Fondo monetario internazionale, un anno fa, aveva aperto una trattativa, oggi bloccata, con Tunisi per un prestito di quasi due miliardi di dollari. Ma "le condizioni poste sono riforme politiche, strutturali ed economiche che colpiscono persone già povere". Chi vive nel Paese descrive le conseguenze dell'instabilità politica e della crisi

(Foto ANSA/SIR)

Gli alimenti nei supermercati sono razionati, le coste di Sfax e di Mahdia invece popolate da persone pronte a mettersi in viaggio per l’Europa a bordo di un barcone. Tutto ciò, mentre la Commissione europea dialoga col presidente della Repubblica Saïed su un programma di “assistenza finanziaria”. I diversi volti della crisi tunisina toccano povertà, migrazioni e interessi internazionali. Uno scenario che ci raccontano alcuni italiani che vivono nel Paese, che si trova sulla soglia del default.
Giovanni Chiappisi, giornalista in pensione, vive da diversi anni a Djerba, un’isola sulle coste tunisine che guarda al Mediterraneo. Da lì, attraverso il suo canale Youtube, racconta il Paese transfrontaliero nelle sue delizie, tradizioni, personaggi e, oggi, anche nella crisi che sta attraversando. Ecco qualche numero.

I numeri della crisi. La Banca centrale tunisina ha fissato il tasso di sconto all’8 per cento. “Questo significa che è praticamente impossibile per le famiglie e per le imprese accedere al credito, perché pagherebbero una montagna di interessi su questi prestiti e non è detto che possano essere capaci di restituire il capitale”, spiega. Il debito pubblico è del 94 per cento rispetto al Pil, una cifra che sfiora i 35 miliardi di euro. L’inflazione, invece, è del 10 per cento, stabilita in base a un paniere, che “non è fedele alla situazione”. L’inflazione solo in relazione ai generi alimentari è del 16 per cento. “Attentati, Covid e impoverimento generale hanno frenato il turismo. Le rimesse degli emigrati danno il 20 per cento della valuta estera che entra qui”. Il tasso di disoccupazione è del 15 per cento. Nella fascia al di sotto dei 30 anni sfiora il 40 per cento. Il Fondo monetario internazionale, un anno fa, aveva aperto una trattativa con la Tunisia per dare un prestito di quasi due miliardi di dollari che sarebbero serviti a dare ossigeno al Paese. Trattativa bloccata, perché “le condizioni poste sono riforme politiche, strutturali ed economiche che, però, colpiscono persone già povere”.

Un Paese di immigrazione.  Le immagini degli sbarchi delle ultime settimane ci riconducono ai luoghi partenza di queste persone: la Tunisia, che si scopre essere anche un Paese di immigrazione. Non solo di emigrazione. “Vivono qui circa 7mila immigrati dalla Costa d’Avorio, 1.700 hanno chiesto alle autorità ivoriane di rientrare in patria. Gli altri migranti che vengono in Tunisia arrivano dalla costa atlantica, dalla costa subsahariana o scappano dai lager libici – spiega Chiappisi -. Lavorano in nero per alcuni anni in modo da mettere da parte un po’ di soldi e poi sfidare il Canale di Sicilia e arrivare in Europa”. È vero, in questo periodo, sono aumentate le partenze dei migranti dalla Tunisia, ma solo in piccola parte a lasciare il Paese sono i tunisini.

“Il 9 marzo le autorità tunisine hanno dichiarato di avere bloccato 25 partenze dalle proprie coste e di avere soccorso 1.008 persone in difficoltà a mare. Di questi, 954 erano provenienti da altri Paesi africani. Meno di cento erano tunisini”.

La trattativa con l’Europa. Uno strumento per risollevare le sorti delle finanze tunisine potrebbe essere il prestito del Fondo monetario internazionale. Che, però, ha delle condizioni che non sono molto gradite ai tunisini: sospendere gli aiuti di stato su alcuni generi alimentari base e sul prezzo del carburante e la riduzione degli stipendi pubblici, che “di per sé non sono alti”. “In Tunisia c’è tensione. Da una parte mancano i soldi, dall’altra quei soldi che potrebbero arrivare comporterebbero dei sacrifici a persone già al limite della sopravvivenza”. Europa e Stati Uniti, per ragioni diverse, spingono il Paese magrebino ad accettare le condizioni del Fmi. La prima perché teme una grande ondata di sbarchi; i secondi, per una maggiore stabilità mondiale. Nel frattempo, l’Ue è pronta a fornire aiuti e sovvenzioni. Il Commissario europeo per gli Affari economici, Paolo Gentiloni, ne ha discusso nei giorni scorsi con il presidente della Repubblica Saïed. Il timore diffuso è, però, che gran parte di questo denaro sia utilizzato non tanto per lo sviluppo del Paese, ma per acquistare mezzi per pattugliare le coste e fermare le partenze dei migranti alla volta dell’Europa.

L’instabilità politica. Non è un mistero che la crisi sia incentivata anche da un vulnus politico e da una situazione di instabilità. Il presidente Saïed e il nuovo parlamento è stato eletto con il 10 per cento di affluenza alle urne. “Un parlamento delegittimato, ma pur sempre legittimo. C’è una stretta su tutto. Perché governare è una situazione esplosiva, che non significa che esploderà. Ma non è facile per nessuno”. Da un lato Saïed è ancora appoggiato dalla maggioranza dei tunisini, ma all’estero e dai suoi oppositori viene visto come un freno a possibili riforme.

La vita quotidiana nel Paese. Da Djerba Giovanni Chiappisi lo conferma: “Che la situazione in Tunisia non sia buona è un dato di fatto. Però, è anche vero, come diceva il presidente Saïed, che i tunisini hanno una storia che dimostra la loro capacità di resilienza”.

“Gli stranieri che vivono qui, i pensionati o i turisti, al momento non hanno problemi. I supermercati non consentono di comprare più di due litri di latte alla volta o più di un chilo di farina. Riusciamo a vivere con questo razionamento, senza eccessivi allarmismi”.

Alice Marchese, invece, è tornata in Italia dalla Tunisia una ventina di giorni fa, dopo sei mesi trascorsi nella capitale per il programma doppio titolo proposto dalla facoltà di Cooperazione, Sviluppo e Migrazioni dell’Università di Palermo. Grazie a questo master in Relazioni Internazionali presso l’Università El Manar, ha avuto l’opportunità di conoscere la città in tutte le sue sfaccettature. “Tunisi sta attraversando un periodo decisamente complesso e uno dei motivi è legato alla crisi sia politica sia alimentare che la stanno logorando nel profondo – racconta -. Chiunque capiva la mia nazionalità, mi chiedeva costantemente la ragione per cui fossi lì e se fosse necessario rimanere per tutto il tempo previsto dal bando che vinsi mesi fa”. Tra le cose che le hanno detto più spesso: “la Tunisia non è più quella di un tempo” e che “la Rivoluzione del 2011 ha cambiato a tratti in modo irreversibile il Paese”.

Ma la certezza è che “a Tunisi non cucini ciò che vuoi, ma ciò di cui supermercati e botteghe dispongono”.

“Nonostante ci sia una quantità considerevole di centri commerciali e, dunque di supermercati, bisogna prestare la dovuta attenzione perché alcuni alimenti spariscono dal commercio oppure sono scarti, che non dovrebbero neanche essere venduti. Il primo giorno a Tunisi c’era caldissimo e mancavano acqua, zucchero, riso, latte e farina – ricorda -. Nel corso dei mesi questi prodotti a dir poco essenziali sono tornati sugli scaffali, tranne lo zucchero perché razionato”.

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