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Terremoto in Turchia e Siria: Aleppo, la testimonianza dell’arcivescovo Jeanbart “è un miracolo se sono vivo”

Da Aleppo l'arcivescovo emerito dei greco-cattolici melchiti, mons. Jeanbart, ricostruisce al Sir i secondi drammatici del terremoto del 6 febbraio scorso che ha seminato distruzione in Turchia e Siria. Nel crollo della sua palazzina è morto il confratello, padre Imad Daher.

Aleppo, i resti dell'abitazione di mons. Jeanbart (Foto J. C. Jeanbart)

“Sono stato svegliato dal sisma. Una scossa terribile che pareva non finire mai, cui ne sono seguite altre, per un minuto, forse due, non saprei. Impressionanti. Sono rimasto immobile, incapace di muovermi, allora ho chiesto aiuto al Signore”. Mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo emerito dei greco-cattolici melchiti di Aleppo, prova a ricostruire al Sir i secondi drammatici del terremoto del 6 febbraio scorso che ha seminato distruzione in Turchia e Siria, con oltre 41mila morti e decine di migliaia di feriti. Il suo episcopio è stato letteralmente sbriciolato dalle scosse al punto che oggi parla di “un vero e proprio miracolo se sono ancora in vita”. “Purtroppo – aggiunge con tristezza – non posso dire la stessa cosa per il confratello, che abitava nel mio stesso palazzo, don Imad Daher, che è morto nel crollo”.

Mons. Jeanbart, Aleppo. foto SIR/Marco Calvarese

“Un vero miracolo”. “Niente mi faceva presagire quello che di lì a poco avrei visto con i miei occhi – racconta mons. Jeanbart -. La porta della mia stanza era rimasta chiusa ma non riuscivo ad aprirla. Quando con fatica l’ho sbloccata ho visto davanti a me solo un metro di pavimento rimasto e il resto del palazzo crollato. Non c’era più nulla, i sei piani che lo componevano collassati uno sull’altro, come un castello di carte. A quel punto mi sono reso conto di essere rimasto illeso, mi sono messo addosso degli indumenti e ho cercato di trovare una via di uscita”. Fasi concitate accompagnate da “una sequenza ininterrotta di telefonate di preti e amici che volevano verificare se ero in vita o meno. Alcuni di loro – mi hanno poi detto – avevano visto crollare l’immobile e temevano per la mia vita”.

“Con un po’ di fortuna sono riuscito ad arrivare al balcone rimasto integro. Qui i soccorritori – in quei momenti ho pensato fossero degli angeli – mi hanno raggiunto con delle scale, estratto dalle macerie che avevo intorno e messo in salvo. È stato un miracolo, ho riportato solo un graffio insignificante”.

“Ho 79 anni e mai avevo visto una simile distruzione, nemmeno durante la guerra di Aleppo. Dopo qualche ora è stato recuperato il corpo di padre Daher del quale, nei giorni scorsi, abbiamo celebrato i funerali qui ad Aleppo, davanti a 1500 fedeli e poi tumulato nel suo villaggio nel sud del Libano”.

“Non partiamo da zero”. Il pensiero di mons. Jeanbart, adesso al  sicuro presso la parrocchia latina, corre alla popolazione aleppina che paga, dice, “tributi enormi di sangue per la guerra, per la povertà, per il Covid e adesso per il terremoto. Io stesso – confida – avrei voluto passare il resto dei miei anni a pregare, a scrivere, a meditare, a trovare i miei familiari, a riposare dopo 53 anni di intenso lavoro. Ma ora sento che bisogna ricominciare di nuovo. Lo abbiamo fatto durante la guerra lo faremo di nuovo ora ricostruendo Aleppo”.

“La distruzione è enorme, impressionante – ammette l’arcivescovo – e farebbe vacillare chiunque. Ma non partiamo da zero”.

La voce di mons. Jeanbart riacquista tono e vigore quando rivela che “tutti gli edifici che abbiamo costruito in questi anni per i cristiani e per i più vulnerabili della città sembrano essere rimasti in piedi, lo stesso vale per i centri clinici, di formazione professionale, l’emporio solidale. Si tratta di riattivarli non appena possibile e ripartire. È segno che sono stati costruiti bene” chiosa con un sorriso.

Aleppo (Foto parrocchia latina)

Il patrimonio di Aleppo. Negli anni in cui è stato arcivescovo per i melkiti di Aleppo, mons. Jeanbart, grazie all’aiuto di tante Chiese, come quella italiana e di organismi ecclesiali come Caritas e Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), ha promosso una lunga serie di progetti, oltre 20, che hanno portato alla costruzione o alla ristrutturazione di diverse centinaia di alloggi, “le ultime 94 case sono state consegnate solo un mese fa ad altrettante giovani famiglie cristiane” dice il presule. Sono state fondate scuole, centri clinici diurni e laboratori di formazione professionale per infermieri, estetiste, falegnami, meccanici, idraulici e elettricisti, dove si sono formati migliaia di giovani. “Questo è il patrimonio di Aleppo oggi, non le macerie. Sono persone che possono dare il loro apporto alla ricostruzione post sisma perché professionalmente preparati” afferma con orgoglio l’arcivescovo. “Il futuro di Aleppo passa per queste persone ma – avverte – è importante che restino. Il terremoto spinge le persone a fuggire, a emigrare. Questo mi fa paura”.

“Sperare contro ogni speranza”. Se la tradizione biblica attesta che la Siria è la terra di san Paolo allora questo, sottolinea il presule, “è il momento di sperare contro ogni speranza”.

“La sfida che abbiamo davanti è restare per ricostruire”.

“Moltissima gente dorme in auto o nei centri di accoglienza perché ha paura, manca di tutto, acqua, cibo, energia elettrica, carburante. Le Chiese stanno facendo il massimo sforzo per dare sollievo materiale e morale ai terremotati, gli aiuti stanno arrivando ma serve rinsaldare la fiducia e la speranza della popolazione che vive nell’angoscia”. “Un passo importante – ricorda mons. Jeanbart – sarebbe rimuovere le sanzioni. Toglierle significherebbe rilanciare il nostro Paese che deve essere aiutato ma che ha tutta la forza umana e la capacità di tornare a camminare da solo. Speriamo che il terremoto apra il cuore della comunità internazionale”. Su questa speranza, conclude mons. Jeanbart, “voglio ringraziare tutte le Chiese per gli aiuti profusi in questi anni. Ringrazio la Chiesa italiana che ci è sempre stata vicina e continua a farlo. Ho saputo della Colletta promossa il 26 marzo prossimo per i terremotati. Sono gesti importanti che rafforzano il senso di comunione e di unità. A poco più di 10 giorni dal terremoto, guardando la distruzione che ci circonda ho maturato questa certezza: Aleppo deve risorgere”.

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