Gli incendi devastano il Paese: incuria e dolo tra le cause. La Chiesa locale soccorre e accompagna nel dolore

“Qui è tutto distrutto, almeno il 60% del vasto territorio della nostra comunità, 730 kmq prevalentemente rurali. Ho visto con i mei occhi 80 case bruciate, ma sono sicuramente molte di più. Centinaia di famiglie che hanno perso tutto. A fuoco anche quattro cappelle, le chiese punto di riferimento la vasta parrocchia, in una si è perfino fuso il cemento”. È un vero inferno, quello che descrive al Sir padre Ricardo Valencia, parroco dell’Immacolata Concezione, che coincide con l’ampio territorio comunale, nella regione del Biobío e nell’arcidiocesi di Concepción.

(Foto ANSA/SIR)

“Qui è tutto distrutto, almeno il 60 per cento del vasto territorio della nostra comunità, 730 kmq prevalentemente rurali. Ho visto con i mei occhi 80 case bruciate, ma sono sicuramente molte di più. Centinaia di famiglie che hanno perso tutto. A fuoco anche quattro cappelle, le chiese punto di riferimento la vasta parrocchia, in una si è perfino fuso il cemento”. È un vero inferno, quello che descrive al Sir padre Ricardo Valencia, parroco dell’Immacolata Concezione, che coincide con l’ampio territorio comunale, nella regione del Biobío e nell’arcidiocesi di Concepción. Attorno al sacerdote, attivo giorno e notte per portare aiuto e conforto alla popolazione, un cielo giallognolo, ormai da giorni, un fumo che impregna qualsiasi cosa, cadaveri in via di identificazione, persone che scappano e cercano un rifugio, animali agonizzanti, perché privi di cibo e acqua. “A tenerci viva, però, è la speranza, insieme alla consapevolezza di non essere soli”, aggiunge.

Santa Juana è l’epicentro di quell’immenso rogo che è diventato, nell’ultima settimana, l’intero Cile centro-meridionale: centinaia d’incendi nelle regioni di Biobío, Ñuble e Araucanía, dove è stato decretato lo stato di catastrofe. Roghi sono presenti anche nelle regioni del Maule e, in misura minore quelle più a sud di Los Ríos e Los Lagos. Un fronte di seicento chilometri, divampato negli ultimi giorni di gennaio, quasi sempre per cause umane, e divenuto incontrollabile per il grande caldo, sopra i quaranta gradi, e per i forti venti. In questa torrida estate, le regioni del centrosud hanno preso il testimone da quelle centrali di Santiago e Valparaíso, dove le fiamme si erano scatenate in dicembre, arrivando a distruggere un intero quartiere a Viña del Mar.

Numeri impressionanti, ma ancora provvisori. Ci spiega Catherine Mella, referente della Caritas cilena per il Programma ambiente, gestione dei rischi ed emergenze” (Magre): “Si tratta di un disastro che al di là delle nostre capacità come Paese, stanno arrivando aiuti da Spagna, Argentina, Messico e altri ancora. Come Caritas, siamo costantemente in contatto con il Servizio nazionale di prevenzione e risposta disastri (Senapred). I numeri sono in continua evoluzione”. Quelli aggiornati al 7 febbraio, riferiti all’attuale ondata di incendi, fanno riferimento a 180 incendi attivi, 27 morti (ma, solo a Santa Juana, si registrano numerosi dispersi), 1.100 case distrutte, più di tremila sfollati, 13 istituti scolastici e 3 infrastrutture ospedaliere completamente incendiate e più di 50.000 ettari andati a fuoco. “Quelle coinvolte – prosegue Mella – sono zone rurali, caratterizzate in molti casi di monocolture di tipo forestale, come pini o eucalipti. Tra gli abitanti, ci sono molti anziani, bambini, persone fragili. In gran parte, le fiamme partono per cause umane, non sempre intenzionali, ci sono testimonianze di persone viste ad appiccare il fuoco. È possibile, perché gli interessi sono molti, ma non ci sono conferme”.

In questo momento, “è urgente dotare la popolazione di cisterne d’acqua. Gli sfollati hanno bisogno di generi alimentari, di igiene personale, di prima necessità, oltre che di un’assistenza di carattere psicologico”.

Le voci dalle zone più colpite. Torniamo a Santa Juana. La descrizione di padre Valencia coincide con quella della referente Caritas: “Almeno il 60% della popolazione qui vive in zone rurali, sono persone molto vulnerabili, in media la scolarità è di tre anni, ci sono molti analfabeti. Inoltre, è difficile quantificare quanto sta accadendo, i collegamenti sono interrotti, molte case sono isolate”. Il sacerdote di dice commosso per la solidarietà che sta ricevendo, “mi stanno chiamando da tutto il Paese. L’arcivescovo è stato qui, c’è una forte collaborazione con le autorità locali”. Ma il dolore è grande, “tutti noi abbiamo amici, parenti, collaboratori pastorali, che sono coinvolti in questa tragedia”. Padre Valencia è convinto che alcuni roghi abbiano avuto causa dolosa, “abbiamo ricevuto testimonianze dirette. Ci sono persone che mettono gli interessi economici davanti alla vita umana, e senza avere memoria storica. Io sono qui da tre anni, e abbiamo già avuto incendi devastanti, anche se mai come stavolta”.

Il sacerdote, non si perde, però d’animo e ha ben chiaro l’ordine di priorità. Anzitutto l’accompagnamento, umanitario, spirituale, psicologico: “Domenica sono stato tra la gente, tra le persone che portavano soccorso, ho distribuito la comunione. Penso, che nella tragedia, il Signore voglia dirci qualcosa, ci chieda di essere una Chiesa spoglia, che annuncia l’essenziale”. Quindi, si tratta di organizzare i primi soccorsi: “Acqua, cibo, vestiti, ma anche estintori, di cui le abitazioni sono prive. Stiamo cercando anche di procurare foraggio, mangime per gli animali”. Quindi, si tratteràdi avviare la ricostruzione: “Sto lanciando l’idea che ogni famiglia che ha perso la propria abitazione sia ‘adottata’ da una o più famiglie”.

Santa Juana è l’epicentro di una situazione generalizzata, che dalla regione del Biobío si estende al confinante Ñuble. Anche qui la diocesi si sta attivando in ogni modo. Da giorni, suor Patricia Martínez, responsabile della Pastorale sociale e Caritas della diocesi di Chillán, percorre in lungo e in largo le campagne del territorio diocesano: “La situazione è molto complessa, abbiamo trascorso delle notti terribili. Ho visto persone disperate, che cercavano in ogni modo di bagnare la loro casa per salvarla. Almeno centodieci abitazioni, nel nostro territorio, sono andate distrutte. Finora non abbiamo avuto vittime, ma ci sono molti sfollati, persone che hanno perso tutto quello che avevano”.

La religiosa riflette su cosa ha portato a questa situazione: “Non abbiamo mai avuto temperature così alte, superiori ai 40 gradi. Ma la gran parte degli incendi è provocata dalle persone. Molte volte partono per incuria, per mancanza di prevenzione, perché le persone accendono un fuoco per scaldare l’acqua o per cucinare qualcosa. Sono cose che quarant’anni fa si potevano fare, ora non più. Per questo, oltre che sulla solidarietà, la Caritas cerca anche di fare prevenzione”.

“I responsabili vengano giudicati”. L’arcivescovo di Concepción, mons. Fernando Chomali ha avuto parole molto dure sulle cause di questa situazione, denunciando che “molti di questi incendi sono causati dalle persone. Tutti noi speriamo che vengano identificati e che vengano giudicati di conseguenza. Un incendio è devastante, genera molti danni e paura e comporta anni di lavoro per recuperare ciò che è andato perduto. La perdita di vite umane è irreparabile. Queste persone saranno ricordate per sempre nella mente e nel cuore dei loro cari”. Ha invitato la società cilena e gli organi di governo a prepararsi “di più e meglio per affrontare l’estate e soprattutto a organizzarsi in modo diverso per impedire a persone senza scrupoli di fare tanti danni”.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

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