Clima. Gerosa (università Cattolica): “Lo scioglimento in Antartide fa impressione”

La rompighiaccio italiana “Laura Bassi” tocca per la prima volta al mondo il punto più a Sud mai raggiunto da una nave. Si tratta di un luogo mai esplorato, all’interno della Baia delle Balene, nel Mare di Ross in Antartide. A bordo della imbarcazione intitolata alla scienziata del settecento, sono impegnati i ricercatori del Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra) per effettuare importanti campionamenti previsti nell’ambito del progetto “Bioclever” sulla distribuzione degli stadi larvali di pesci antartici. Quello però che la notizia testimonia per l’ennesima volta il riscaldamento climatico che ha permesso alla nave di penetrare la banchisa

(Foto Laura Bassi)

Il traguardo è storico ma c’è poco da festeggiare. La rompighiaccio italiana “Laura Bassi” tocca per la prima volta al mondo il punto più a Sud mai raggiunto da una nave. Si tratta di un luogo mai esplorato, all’interno della Baia delle Balene, nel Mare di Ross in Antartide. A bordo della imbarcazione intitolata alla scienziata del settecento, sono impegnati i ricercatori del Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra) per effettuare importanti campionamenti previsti nell’ambito del progetto “Bioclever” sulla distribuzione degli stadi larvali di pesci antartici. Quello però che la notizia testimonia per l’ennesima volta il riscaldamento climatico che ha permesso alla nave di penetrare la banchisa. E come dice Giacomo Alessandro Gerosa, ordinario di Fisica dell’Atmosfera dell’Università Cattolica della sede di Brescia, “sapere che una nave è arrivata alla Baia delle Balene fa impressione”.

Professore dobbiamo preoccuparci ancora di più per il cambiamento climatico dopo questa notizia?
È la conferma di ciò che sta succedendo. Di fatto assistiamo a una lenta regressione dei ghiacciai sia alpini sia antartici. Le previsioni scientifiche ci dicono che le posizioni alle più alte latitudini sono le più esposte al riscaldamento. Quello che era stato previsto si sta puntualmente avverando.

I ghiacci non scompariranno da un momento all’altro ma il processo di cambiamento climatico sembra incredibilmente veloce e inarrestabile.

Dello scioglimento della banchisa di Ross si parla già dagli anni 90 e sapere che una nave è arrivata alla Baia delle Balene fa impressione.

Nella comunità scientifica la notizia ha avuto eco?
Francamente poco perché gli scienziati hanno smesso di fare le Cassandre. Ci si limita a osservare i dati: il cambiamento climatico non si arresta e non si arresterà. Quello che dovremmo iniziare a fare è prevedere strategie di mitigazione. I ghiacciai alpini da qui a fine secolo non esisteranno più. Quelli artici saranno ridotti pesantemente, gli antartici meno. Le conseguenze, in particolare per lo scioglimento dei ghiacciai antartici, saranno soprattutto per l’innalzamento del livello dei mari e per il cambiamento delle correnti. Infatti

lo studio dei ricercatori sulla rompighiaccio italiana mira a osservare come cambiano le correnti marine che allontanano i ghiacci. Per la prima volta i ricercatori possono accedere a un pezzo di mare che è libero dai ghiacci cosa prima impossibile. Potranno costruire una batimetria e quindi la mappa del fondo oceanico. La cosa aiuterà a delineare i modelli per prevedere meglio il cambiamento climatico.

Che conseguenze dobbiamo immaginare in Italia fra meno di cento anni, una volta che scompariranno i ghiacciai alpini?
Nella peggiore delle ipotesi almeno nell’Italia Settentrionale, avremo un aumento delle temperature di 3 gradi. Il problema serio è che verranno meno le riserve idriche. Immagino problemi in primo luogo per l’agricoltura e per l’approvvigionamento idrico. Verranno meno le laminazioni degli estremi, i picchi di variazione termica aumenteranno. In Italia siamo in una fascia climatica particolare perché per due terzi la Penisola si trova nella zona mediterranea e per il restante in quella temperata. Nel mondo, nelle zone temperate si prevede un aumento di precipitazioni ma nel nostro Paese, a causa del riscaldamento a Sud, ci sarà un’estensione della regione tropicale. L’Italia e il Nord andranno in controtendenza e sperimenteranno una riduzione del 30% delle precipitazioni. Quindi oltre a perdere i ghiacciai perderemo anche l’acqua. Aldilà delle Alpi invece affronteranno il problema delle inondazioni.

Gli sforzi che stiamo cercando di compiere per abbattere le emissioni di Co2 servono a poco?
Poco. Dal momento che non facciamo quello che è necessario o lo stiamo facendo con estremo ritardo. L’allarme fu lanciato già nella Conferenza di Rio del 1992. Dopo 30 anni stiamo ancora discutendo sui limiti di riduzione che cercheremo di raggiungere domani. Continuiamo a spostare l’asticella sempre più avanti. La sensazione è che faremo fatica a stare dentro l’obiettivo posto dalla Cop di Parigi. Cambiare l’economia è complicato e difficile, richiede investimenti notevoli.

Se passassimo dall’oggi a domani, da una economia basata sul carbonio a una sulle rinnovabili, il riscaldamento globale non si fermerebbe di colpo. Il sistema climatico è come una macchina in corsa che arrestiamo mettendo in folle, lentamente l’attrito la ferma. Se smettessimo di usare il carbonio del tutto, il trend di innalzamento si invertirebbe non prima di 30-50 anni. Il sistema ha una fortissima inerzia. Per questo la sensazione è quella di fare poco e ciò non giova nemmeno sul piano dell’impegno.

Lei è responsabile dell’infrastruttura di ricerca micrometeorologica installata nel Bosco della Fontana a Marmirolo, in provincia di Mantova. Quali sono gli scopi?
Nella stazione misuriamo gli scambi di gas fra l’atmosfera e la biosfera. Monitoriamo da più di dieci anni gli assorbimenti di anidride carbonica da parte della foresta insieme alla rimozione di alcuni inquinanti come ozono e polveri. Facciamo parte della rete europea Icos che è una infrastruttura costituita da torri per l’osservazione degli scambi di carbonio che, come sentinelle, vanno a verificare il potenziale di assorbimento da parte di foreste, ecosistemi e oceani. Già stiamo vedendo delle variazioni significative. La nostra foresta, che dovrebbe emettere tanto carbonio quanto ne assorbe con la fotosintesi, sempre più spesso si trova in situazioni di sbilanciamento, specie nelle stagioni di mezzo, come autunni caldi e primavere precoci. La foresta si adatta, magari mettendo a repentaglio le riserve energetiche nelle radici. Cambierà la configurazione e lo farà lentamente. Questo è ciò che c’è da attendersi per il futuro.

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