Giordania. Dalla parrocchia di Fuheis l’appello ai vescovi Usa e Ue: “Scuole cristiane antidoto all’estremismo”

Domenica di visite e di solidarietà dei vescovi dell’Holy Land Coordination (Hlc), a diverse parrocchie giordane di Amman e dei dintorni. I presuli hanno incontrato le comunità ecclesiali locali e ascoltato le voci dei fedeli. Sono emerse sfide come la crisi sociali e le tensioni regionali, l’esodo dei cristiani, la paura dell'integralismo islamico. Il commento di mons. Anselmi, delegato Cei all’Hlc 2023

Amman, Vescovi Holy Land Coordination 2023 (Foto Sir)

(da Fuheis) Una domenica trascorsa in diverse parrocchie giordane, della capitale Amman e dei dintorni, per incontrare, parlare e, soprattutto, ascoltare le comunità ecclesiali locali. A trascorrerla ieri sono stati i vescovi del Coordinamento delle Conferenze episcopali a sostegno della Chiesa della Terra Santa (Holy Land Coordination, Hlc) che proprio in Giordania stanno vivendo (14-19 gennaio) il loro annuale pellegrinaggio di solidarietà. Significativo, dunque, appare il tema scelto per questo anno: “Il ruolo e l’importanza della comunità cristiana in Giordania”. Tra le parrocchie più attive e vitali quella latina, dedicata al Cuore immacolato di Maria, di Fuheis, città di circa 20 mila abitanti, a larghissima maggioranza cristiana, situata 20 km a nord-ovest della capitale Amman. Vi fanno parte 1.500 famiglie, comprese 200 di rifugiati iracheni. Una parrocchia generosa e aperta come si sta mostrando, ormai da anni, la Giordania che, secondo Caritas Italiana, “attualmente ospita 1,3 milioni di siriani. A questi si aggiungono i rifugiati iracheni, yemeniti e di altri Paesi. La Giordania è di fatto il secondo Paese al mondo per presenza di rifugiati rispetto alla popolazione ospitante (10,4 milioni)”.

La visita a Fuheis. Qui è arrivata, di buon mattino, una delle delegazioni dell’Hlc, composta per l’occasione, dal vescovo di Cloyne (Irlanda), mons. William Crean, da quello francese, emerito di Evry-Corbeil-Essonnes, mons. Michel Dubost, dal sacerdote italiano don Giuseppe Manfreda, delegato Ccee, da Lucas Koach, direttore dell’Ufficio “Giustizia e pace’ dei vescovi Usa, e da Daniel Legutke, dell’Ufficio “Asia-Medio Oriente” della Conferenza episcopale tedesca.

P. Imad Twal, parroco Fuheis (Foto Sir)

Ad accoglierla il parroco latino, padre Imad Twal. Il suo non è stato un lamento ma una descrizione realistica delle condizioni in cui versano i cristiani locali, “un tempo il 25% della popolazione giordano, oggi solo il 2%”. “La mancanza di lavoro, la crisi economica, le tensioni che provengono dai Paesi vicini, Siria, Libano, Iraq, Palestina e Israele, che mettono a dura prova la stabilità politica giordana” sono, per il parroco, “le cause principali dell’esodo della comunità cristiana la cui presenza nel Regno Hashemita è sempre più a rischio”. Nonostante tutto “Fuheis può dirsi ancora una piccola oasi felice. I cristiani, cattolici e ortodossi, qui sono la maggioranza – ha spiegato al Sir il parroco – ed è una comunità impegnata a portare avanti molti progetti nel campo sociale, pastorale, giovanile e culturale. In questi ultimi anni ha finanziato di ‘tasca propria’ iniziative per un milione di euro”. Oggi nel grande piazzale antistante la chiesa si erge la scuola (con le sezioni Materna, Elementare, Primaria e Secondaria, ndr.) costruita dai Cavalieri del Santo Sepolcro, alla fine del 1800, e che ospita 1.160 allievi, tutti cristiani, di 11 denominazioni.

“Puntiamo molto sull’istruzione e sull’educazione dei nostri giovani. Solo così – ha sottolineato padre Twal – riusciamo a promuovere il dialogo, la tolleranza e ad aiutare gli studenti a sviluppare talenti e conoscenze che permetteranno loro di diventare cittadini virtuosi e cristiani impegnati. In altre parole li aiutiamo a scoprire il loro ruolo nella società”.

Giordania, Fuheis. Jamal Hattar  (Foto Sir)

La voce dei fedeli. Temi riecheggiati nell’omelia, durante una Messa partecipata e affollata, e poco più tardi in un meeting cui hanno preso parte moltissimi fedeli che hanno descritto alla delegazione dell’Hlc le loro condizioni di vita e le paure “per il futuro”. Come Jamal Hattar che ha ricordato come “la presenza cristiana qui in Giordania sia cruciale. Essa è infatti la testimonianza vivente della diversità presente nel Regno Hashemita e quindi un valore da difendere. La sfida – ha aggiunto – si gioca innanzitutto nelle scuole, nel mondo dell’istruzione e dell’educazione perché è attraverso di esse che riusciamo a far passare i valori evangelici di pace, tolleranza, perdono e convivenza. Sono un antidoto all’estremismo e all’intolleranza che si stanno affacciando pericolosamente anche qui da noi”. È di questi giorni la notizia che una statua del Cristo, posta al centro di un’aiuola, in una strada vicino alla parrocchia latina, sia stata vandalizzata da fondamentalisti musulmani, “probabilmente venuti da centri vicini Fuheis”. Un fatto che ha provocato sconcerto nella comunità cristiana locale. “Durante il periodo natalizio le Forze di sicurezza giordane e l’intelligence hanno lavorato molto per garantire la sicurezza delle chiese”, ha detto Hattar. “Purtroppo i conflitti nei Paesi confinanti gettano tensione anche in Giordania e questo spinge molti giovani e famiglie a partire. La prossima settimana – ha rivelato poi padre Twal – una giovane coppia di laureati emigrerà alla volta di Dundee, in Scozia. L’obiettivo è lo stesso di tanti altri giovani: un lavoro e un futuro sicuro e stabile”. Si sono levate anche le voci di donne che hanno lamentato “la poca attenzione del Governo alle politiche familiari e occupazionali femminili” e invocato “un cambiamento di rotta”.

Vescovi Hlc a Fuheis (Foto Sir)

Preoccupazioni condivise. I vescovi hanno ascoltato con attenzione quanto riportato dai fedeli presenti e ribadito il loro sostegno “materiale e spirituale”: “Siamo venuti per pregare ‘con’ e ‘per’ voi – ha detto mons. Crean – siamo qui come pellegrini per incontrare le ‘pietre viventi’ di questa Terra Santa, per ascoltarvi e per impegnarci a far conoscere la vostra situazione. Ognuno di voi è un segno di speranza e di testimonianza per le nostre comunità di origine”. “Condividiamo le vostre preoccupazioni – ha affermato, a sua volta, mons. Dubost – perché siamo figli di un unico Padre. Nel contesto critico in cui vi trovate a vivere

è importante non perdere la propria identità cristiana.

Ribadiamo il nostro sostegno spirituale e materiale riportando nei nostri Paesi quanto abbiamo ascoltato da tutti voi”.

Mons. Anselmi (foto Sir)

Dell’Holy Land Coordination fa parte, per la prima volta quest’anno, anche il vescovo di Rimini, mons. Nicolò Anselmi, che ieri ha celebrato nella parrocchia di Maria di Nazareth, (Sweifieh) di Amman. “Sono rimasto colpito – ha detto al Sir il delegato della Cei – dalla fede di queste comunità. Pur vivendo in un contesto reso difficile dai conflitti aperti e dalle crisi nei Paesi circostanti, esse mantengono un forte radicamento di fede. Le sfide loro poste dalle migrazioni, dall’insicurezza sociale e politica, vanno per questo da noi accolte e condivise secondo lo stile delle tre ‘P’, tipico dell’Hlc: “Con la Preghiera, con la nostra Presenza, per dire loro che non sono soli, e con la Pressione, da fare sulle nostre Istituzioni per far conoscere le questioni che riguardano la vita dei cristiani di questa regione”.

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