Israele: familiari degli ostaggi nelle mani di Hamas, “Il Papa ci ha dato forza per continuare a sperare nel loro rilascio”

Udienza ieri del Papa alle famiglie di quattro ragazzi israeliani, due militari, caduti in combattimento nell’operazione Protective Edge (2014), e due civili con disabilità psichica. La voce delle madri degli scomparsi: "Il Papa conosce bene il nostro dolore perché siamo mamme di ‘desaparecido’".

Papa Francesco con i familiari degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas (Foto Amb. Israele presso Santa Sede)

Una sola accorata richiesta: riportare a casa “i nostri figli vittime di Hamas”. A lanciarla a Papa Francesco, durante un’udienza privata loro concessa, sono state ieri le famiglie di quattro ragazzi israeliani, due militari, caduti in combattimento nell’operazione Protective Edge (2014), e due civili con disabilità psichica. Di loro, da circa 8 anni, non si hanno più notizie. I corpi dei due militari non sono mai stati restituiti, e anche per questo motivo che le famiglie sperano siano ancora in vita. Lo stesso per i due civili, penetrati a Gaza dopo aver attraversato la barriera che separa la Striscia da Israele. “Hamas – secondo quanto riferito dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede – in violazione del diritto internazionale, continua a negare le proprie responsabilità, impedendo l’accesso ai rappresentanti della Croce Rossa e privando le famiglie di qualsiasi informazione e contatto con i loro cari”. La sensazione, nemmeno troppo taciuta, è che Hamas intenda negoziare il rilascio o la riconsegna delle salme con Israele.

“Incertezza devastante”. “L’incontro con il Pontefice – ha affermato Zeava, madre di Oron Shaul, uno dei due militari ostaggi di Hamas – è stato profondo e commovente. Sono certa che il Pontefice farà il possibile per aiutarci a riportare a casa mio figlio Oron e gli altri ostaggi. Oron è stato sequestrato quando era ancora in vita, l’Esercito poi lo ha dichiarato morto. Per me vivere in questa incertezza è devastante. Non vivo più, non dormo più – aggiunge la donna, malata di cancro al seno -. Spero di poter riabbracciare mio figlio che spero sia ancora vivo. Non ho molto tempo davanti a me. Mio marito è morto due anni dopo la scomparsa di Oron per il troppo dolore. Come tutte le madri che hanno perso il proprio figlio, lotto ogni giorno per riaverlo, ricordarlo. Facevamo tante cose insieme, ho perso tutto. La mia casa è vuota per questo ogni sera accendo una candela, per avere un po’ di luce e di forza”. Zeava rivolge il suo pensiero alle mamme che hanno i figli in guerra: “La guerra in Ucraina finirà ne sono certa. Il nostro conflitto continuerà. Il mio finirà solo quando riavrò mio figlio. In questi giorni celebriamo l’Hanukkah, la festa delle luci: io spero che la luce possa invadere la vita di tante madri, non solo israeliane, e prego Dio che nessuna debba piangere più un proprio figlio. Siamo arrivati fino al Papa per chiedere aiuto. La sua è una voce ascoltata da tanti leader politici e religiosi, di tutte le fedi. L’Hanukkah è anche la festa dei miracoli. Io credo nei miracoli”.

Diritto ad una degna sepoltura. Leah è la madre di Hadar Goldin, l’altro militare scomparso a Gaza in seguito ad un attacco di Hamas avvenuto poco dopo l’entrata in vigore di un cessate il fuoco tra i due contendenti. “Da anni – racconta la donna – cerchiamo di riavere indietro il corpo di nostro figlio per dargli una degna sepoltura. L’incontro con Papa Francesco è stato qualcosa di speciale, egli ci ha fatto sentire tutta la sua vicinanza e partecipazione. Sono certa che farà il possibile per aiutarci. Il Papa conosce bene il nostro dolore perché siamo mamme di ‘desaparecido’. Nel 2019 abbiamo incontrato anche il Segretario dell’Onu, Guterres, adesso Papa Francesco. Siamo stati al Parlamento europeo, al Consiglio di sicurezza dell’Onu, al Parlamento canadese. Non ci fermeremo fino a quando non avremo riportato nostro figlio a casa. Abbiamo il diritto di piangere sulla tomba di nostro figlio. Dare una degna sepoltura ai nostri cari riguarda tutte le religioni”.

Questione umanitaria. Si appellano al fattore “umanitario” le famiglie dei due civili, Hisham Al-Sayed, di origini beduine, e di Avera Mengistu, etiope di origine, immigrato in Israele all’età di 5 anni. “Sono due ragazzi affetti da problemi mentali” spiegano Shaban Al-Sayed, padre di Hisham e Ilan, fratello di Averea. “È incettabile che Hamas tenga in ostaggio i nostri congiunti dei quali non abbiamo notizie certe”. Lo scorso 28 giugno Hisham è stato mostrato in video con una maschera di ossigeno e sofferente. Da allora non si è saputo più nulla. “Nutriamo molte speranze da questo incontro con Papa Francesco – dice Shaban -. Mio figlio soffre di schizofrenia e se c’è un luogo che lo attira vi si reca. Così è stato per Gaza purtroppo non ha messo in conto i rischi. Il fatto che sia un israeliano lo ha reso una merce di scambio per Hamas. Chiediamo il loro rilascio, si tratta di civili e per giunta malati. È una questione umanitaria. Purtroppo Hamas non è nuova a questo genere di comportamento”.

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