Guerra in Congo. Mukwege (Nobel Pace) da Papa Francesco: “Se ci fosse lo stesso impegno politico visto in Ucraina, la guerra finirebbe domani”

Facendo seguito all’appello lanciato il 26 ottobre scorso durante l’udienza generale del mercoledì, chiedendo la preghiera e la mediazione internazionale perché cessi la guerra in Congo, Papa Francesco ha incontrato ieri privatamente Denis Mukwege, ginecologo ed attivista per i diritti umani, creatore di Panzi Hospital per soccorrere e curare le donne stuprate, Premio Nobel per la pace nel 2018, ascoltato subito dopo per parlare della situazione nel suo Paese e della visita di Bergoglio programmata dal 31 gennaio al 2 febbraio 2023

(Foto:) SIR/Marco Calvarese

Facendo seguito all’appello lanciato il 26 ottobre scorso durante l’udienza generale del mercoledì, chiedendo la preghiera e la mediazione internazionale perché cessi la guerra in Congo, Papa Francesco ha incontrato ieri privatamente Denis Mukwege, ginecologo ed attivista per i diritti umani, creatore di Panzi Hospital per soccorrere e curare le donne stuprate, Premio Nobel per la pace nel 2018, ascoltato dal Sir subito dopo per parlare della situazione nel suo Paese e della visita di Bergoglio programmata dal 31 gennaio al 2 febbraio 2023. “Questa udienza è stata per me una grazia particolare e un onore poter incontrare un uomo di fede, un uomo di pace, una persona che opera per la pace, la giustizia e l’inclusione in tutto il mondo. Nel contesto particolare di oggi, con crisi multiple, la sua visita nella Repubblica Democratica del Congo è un segnale forte che mostra, in modo molto semplice ai congolesi, la speranza e la solidarietà che il Papa testimonia per il nostro popolo, per un popolo martire da oltre 25 anni. Credo che ciò che noi ci aspettiamo, è che la sua presenza possa contribuire a far acquisire consapevolezza all’opinione pubblica mondiale, del dramma che il popolo congolese vive oggi. Speriamo anche che con la sua preghiera, la sua voce, possa aiutare a mettere fine a questa strategia che dura da 25 anni, con una tragedia di cui si parla molto poco qui in Europa”. Sono queste le parole del medico congolese che nel 1998, quando è iniziata la guerra nel suo Paese, si è impegnato per creare il Panzi Hospital, struttura nata per curare e soccorrere le vittime di stupri che proseguono ancora oggi, infatti proprio il 29 novembre, nel villaggio di Kishishe, più di 131 persone civili, disarmate, sono state massacrate, tra loro 27 donne violentate e oltre 60 che risultano disperse.

“Credo sia una crisi umanitaria e di sicurezza grave, forse devo anche dire, senza esagerare, che dopo la Seconda guerra mondiale è la crisi che è costata il più alto numero di vittime: 6 milioni di vittime. È gravissimo che non se ne possa parlare”.

Il medico congolese dichiara di essere rimasto molto colpito dall’incontro con Papa Francesco, definito un uomo di fede, umile e che comprende la situazione della sua popolazione, pronto ad impegnarsi per aiutarlo ad ottenere la pace. “La Chiesa ha un ruolo molto importante e credo che la parola profetica della Chiesa possa fare una grandissima differenza. Una Chiesa che sta zitta quando l’uomo soffre, non è una Chiesa che svolge il suo compito, e penso che il ruolo più importante della Chiesa sia quello di soffrire con il popolo che soffre. Penso che la visita del Papa si iscriva in questa logica, andare a soffrire con il popolo congolese che soffre. Quindi è totalmente la voce profetica della Chiesa che può fare la differenza”. La guerra nella Repubblica Democratica del Congo non è né religiosa né tribale, ma meramente economica, questo ci tiene a sottolinearlo Mukwege che spiega come il Ruanda abbia voluto creare caos nel suo Paese, invadendolo per impossessarsi delle materie prime di cui esso è ricco. “Oggi il Congo è il Paese che ha tutti i minerali che abbiamo nei nostri telefoni e nei nostri computer. È il Paese che ha una quantità enorme di cobalto per le batterie e purtroppo anziché avviare un commercio giusto si è in un commercio illegale di questi minerali ed è questa l’origine di questo conflitto. Se andate a leggere i rapporti, il Ruanda esporta minerali che non produce, e tutto il mondo sa, tutto il mondo sa però tace”. Un conflitto che potrebbe degenerare ed allargarsi, per questo motivo meraviglia come l’Unione europea, gli Stati Uniti e l’Onu, che hanno riconosciuto l’aggressione del Ruanda al Congo, non prendano posizione, introducendo sanzioni.

“Se tutto il mondo resta senza agire e nell’indifferenza, il numero di morti crescerà. Il sangue scorre e continuerà a scorrere, ed è un messaggio terribile per i congolesi, come se non si condividesse la medesima umanità”.

L’appello del Premio Nobel per la pace è ai media del mondo, ad attivarsi come nel caso della guerra in Ucraina, per la quale le notizie vengono presentate quotidianamente, raccontando anche come le vittime non siano solo i morti ma anche le donne stuprate che sono una vera e propria strategia che mira a distruggere bambini, feti e donne, in pratica un progetto per distruggere una comunità. “Panzi Hospital sta cercando di lavorare perché le nostre attività vadano oltre la presa in carico delle donne, affiancando altro al nostro servizio ai malati. Stiamo cercando di moltiplicare i centri di cura per una presa in cura olistica medica ma anche sociale, economica e legale”. Guardando all’Europa Denis Mukwege non può fare a meno di paragonare la guerra che da 25 anni assilla il suo Paese, a quella in Ucraina, notando le differenze di trattamento da parte della comunità internazionale che, mentre contro la Russia si è impegnata nell’utilizzare tutti gli strumenti giuridici ed economici possibili per cercare di mettere fine al conflitto, nulla sta facendo nei confronti del Ruanda. “Noi siamo contenti rispetto a quello che si sta facendo per l’Ucraina, perché c’è la volontà politica di fermare questa guerra, ma penso che se si potesse usare gli stessi strumenti legali ed economici nella Repubblica Democratica del Congo, la guerra si fermerebbe domani”. La denuncia del ginecologo ed attivista per i diritti umani congolese prosegue prendendo in esame i dati di un rapporto del Refugee Council, che stila la classifica delle guerre più dimenticate e pone al primo posto proprio quella nel Congo. “È dimenticata perché la stampa non ne parla, i media non ne parlano e quindi non c’è volontà politica internazionale e l’aiuto umanitario non arriva per i milioni di profughi e sfollati. Una crisi dimenticata. Per questo si prolunga così a lungo.

Oggi quello che noi diciamo è che bisogna fermare la politica di due pesi e due misure, l’umanismo a geometria variabile. Bisogna considerare che quando l’umanità soffre da qualche parte, tutti dobbiamo soffrire ed avere la medesima reazione”.

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