Afghanistan. L’angoscia di una madre

Continua il racconto del giovane scrittore afghano, Gholam Najafi, tornato nel suo Paese natale con il sogno di costruire una scuola per i bambini nei pressi di Herat

Herat (Foto Gholam Najafi)

(Herat) Nei giorni scorsi, camminavo con i miei nuovi vicini di casa. Un loro figlio l’anno scorso era venuto dalla Germania per visitarli, ed era stato testimone del rovesciamento della politica afghana. Così era fuggito clandestinamente verso l’Iran, da dove poteva proseguire fino alla sua casa in Germania. I contrabbandieri non erano stati bravi a fargli passare il confine al primo tentativo. Il giovane, insieme a tanti altri, era stato respinto ed era ritornato a casa. Dopo qualche settimana aveva riprovato, ma la madre aveva vissuto settimane di terribile angoscia, fino a ridursi alla disabilità: non poteva più muovere le mani e i piedi, giorno e notte a pensare alla sorte del figlio. Ora ha un lento recupero, ma è troppo mal ridotta.

Il figlio poi era arrivato in Iran sano e salvo al secondo tentativo, ma la madre probabilmente rimarrà disabile per il resto della sua vita. Per fortuna è vivo il marito anziano che la può sostenere per fare due passi intorno alla casa con i nipotini. L’anno scorso era lei a portare in lavanderia i vestiti del marito, quest’anno invece è lui che lava e stende sotto il sole i suoi vestiti. Ecco, quanto una madre pensa a noi e come noi siamo in cerca di una buona madre come lei, dolce come un fiore. Quando gli altri suoi familiari vanno in luoghi lontani, lei rimane da sola a casa a pensare, di notte non dorme dai troppi pensieri perché il figlio non può tornare spesso e lei non può uscire.

Io ho continuato la mia passeggiata fino al grande santuario di Sayed Morteza, quest’anno i lavori della costruzione sono completati rispetto alle mie vecchie fotografie, l’anno scorso ero venuto in un momento in cui potevano accedere a questo santuario solamente le donne mentre ora tutti possono farlo, dunque una piccola ripresa di socialità. Intorno a questo santuario sorgono tantissime tombe di martiri, cammino sulle tombe per studiarne la cronologia, nomi, cognomi, i luoghi degli avvenimenti durante le varie battaglie combattute. Normalmente due giorni alla settimana qui arrivano parecchie persone, il mercoledì perché è il giorno giusto per chiedere il perdono dei propri peccati e il venerdì perché è il grande giorno della settimana per pregare dall’alba al tramonto. In questi due giorni arrivano tanti in pellegrinaggio, all’ingresso ti controllano e ricontrollano in modo che gli attentatori non abbiano la possibilità di entrare e distruggere di nuovo quanto ricostruito. In un angolo c’è la cucina per preparare i cibi e il pane da distribuire a tutte e tutti.

Davanti alla cucina dove mi trovo sono accatastati dei vecchi libri. Da qui posso osservare il desiderio dei bambini e di molte persone analfabete di prendere in mano uno di questi libri usati. Ogni bambino e ogni donna vorrebbero imparare a leggere il messaggio del padre o del marito o di altri cari, ma chi può davvero capire i desideri nel loro petto? Sono tutti libri che riguardano la religione sciita perché questo è un santuario per gli sciiti. In un altro angolo restano i segni di quattro antichi minareti di cui non si sa bene la storia né i motivi della loro distruzione durante chissà quale guerra. Dovrei studiare molto per conoscere meglio la sua pianta. Uscendo fuori mi imbatto in un gruppo di anziani venditori ambulanti, una intera famiglia che vive con quel lavoro. Al ritorno incontro una giovane ragazza che tornava dalla raccolta di zafferano dalla città di Khâje Sabur. Questa è la stagione dei suoi bei fiori.

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