Un Brasile diviso sceglie tra Lula e Bolsonaro. La fame tema “dimenticato” dalla campagna elettorale

Domani sarà il giorno più lungo del Brasile, da molti anni a questa parte, con l’ultima tappa dello scontro frontale tra l’ex presidente Luis Inácio Lula da Silva, sostenuto da una variegata coalizione di progressisti e moderati, e l’ultradestra del presidente uscente Jair Bolsonaro. A preoccupare è soprattutto il clima di divisione che si respira nel Paese, a tutti i livelli, con pesanti incognite su quello che potrebbe succedere dopo lo scrutinio. L’appello del presidente dei vescovi: “Mettiamo fine ai sentimenti che stanno contaminando il processo elettorale, dividendo le famiglie e rompendo le amicizie”

(Foto: ANSA/SIR)

“Mettiamo fine ai sentimenti che stanno contaminando il processo elettorale, dividendo le famiglie e rompendo le amicizie”. L’appello di dom Walmor Oliveira de Azevedo, arcivescovo di Belo Horizonte e presidente della Conferenza nazionale dei vescovi dei Brasile arriva alla vigilia del ballottaggio delle presidenziali brasiliane (e dei ballottaggi per i governatori in diversi Stati della Federazione). Domenica 30 ottobre sarà il giorno più lungo del Brasile, da molti anni a questa parte, con l’ultima tappa dello scontro frontale tra l’ex presidente Luis Inácio Lula da Silva, sostenuto da una variegata coalizione di progressisti e moderati, e l’ultradestra del presidente uscente Jair Bolsonaro. Lula, lo scorso 2 ottobre, ha raggiunto il 48 per cento, circa cinque punti percentuali e sei milioni di voti in più rispetto al rivale. Ma i sondaggi, in occasione del primo turno, si sono rivelati errati, perché sottostimavano Bolsonaro. Perciò, pochi si fidano di ciò che dicono le inchieste, in Brasile consentite fino all’ultimo giorno, che mediamente danno a Lula un vantaggio che oscilla fra i tre e gli otto punti.

Giorni di “odio, intolleranza e violenza”. Ma a preoccupare è soprattutto il clima di divisione che si respira nel Paese, a tutti i livelli, con pesanti incognite su quello che potrebbe succedere dopo lo scrutinio. Papa Francesco, mercoledì scorso, dopo l’udienza generale, ha usato tre parole forti: odio, intolleranza e violenza. E ha pregato la Vergine di Aparecida di liberare il popolo brasiliano da questi tre atteggiamenti. Parole riprese dal presidente dei vescovi, nel messaggio di ieri.

L’arcivescovo ha ricordato che i templi sono stati profanati, i sacerdoti all’altare non rispettati (è accaduto in molti luoghi del Paese). “Situazioni gravi che rivelano l’assenza di senso critico, una cieca idolatria delle persone, rendendo impraticabile il corretto esercizio della cittadinanza”. In questo senso, l’invito è a “un esame dei nostri atteggiamenti, per verificare se, nei fatti, c’è coerenza con il Vangelo, il Vangelo di Gesù, che ci chiede di impegnarci nell’amore fraterno, nella non violenza, nel servizio instancabile i poveri e gli esclusi”. Dom Oliveira de Azevedo conclude, sempre in riferimento all’idolatria: “La nostra riverenza come discepoli non può essere dedicata a questo o quel candidato, al mercato o al denaro, ma a Gesù Cristo, unico maestro e principe della pace”.

Fame, la grande dimenticata della campagna elettorale. Queste ultime settimane sono trascorse, e non era facile, in modo ancora peggiore delle precedenti. Se Lula è stato accusato di aver stretto un patto con Belzebù in persona, di Bolsonaro si è detto che consuma carne umana. Ed è paradossale che, in entrambi i casi, gli interessati abbiano diramato un comunicato ufficiale per smentire le accuse. Come ha fatto notare il gruppo di analisi congiunturale dell’episcopato, “gruppi di varie denominazioni hanno presentato una sorta di battaglia tra il ‘bene’ e il ‘male’, cosa che impedisce qualsiasi confronto razionale e civile tra i candidati”.

Le questioni sociali e le soluzioni economiche rispetto ai gravi problemi brasiliani sono quasi del tutto scomparse dai dibattiti elettorali.Per esempio, si è parlato pochissimo di povertà, di politiche sociali, della vera e propria fame, di cui oggi soffre il 15% della popolazione brasiliana. Nello Stato di Alagoas, nel nordest del Paese, la percentuale sale addirittura al 36,7 della popolazione: si tratta di 2,6 milioni di persone che sono in una situazione di grave insicurezza alimentare, secondo la Rete di ricerca brasiliana sulla sovranità e sicurezza alimentare (Pensam). Un triste primato nazionale.
Significativa la denuncia, al Sir, di Rosário de Fátima da Silva, vicepresidente della Caritas arcidiocesana di Maceió, capitale dello Stato: “Per quattro anni non abbiamo visto nessuno, in queste settimane abbiamo sentito tante promesse, ma gran parte della classe dirigente locale è composta da politici corrotti, i voti vengono comprati”. Insomma, è quasi certo che anche per i prossimi quattro anni, in pochi si occuperanno dei poveri di questa zona. “Il numero altissimo di chi soffre la fame è collegato al numero dei disoccupati, il 40% della popolazione. Noi, come Caritas, facciamo il possibile per alleviare questa situazione, ma in molti casi si tratta di un palliativo. Servono posti di lavoro, investimenti, politiche pubbliche strutturali”.
Come accennato, i progetti promossi dalla Caritas sono molti, dalla distribuzione di pasti all’assistenza di cinquanta famiglie nella parrocchia di San Giuseppe Lavoratore. Una delle ultime iniziative è “Bem-vindo Bebê!” (“Benvenuto bimbo!) – Salviamo i nostri figli prendendoci cura delle nostre famiglie”. I volontari hanno iniziato a mappare le famiglie, soprattutto i bambini, che vivono in condizioni di estrema povertà.
Prosegue la vicepresidente: “Negli ultimi quattro anni, la situazione della povertà in città è molto aumentata, soprattutto dopo la pandemia. E gli ausili episodici non sono sufficienti”. La fiducia nella politica è al minimo, anche se l’Alagoas, come tutto il Nordest, ha votato in modo massiccio per Lula. “L’idea è che con lui, per lo meno, non mancherà la cena”. In ogni caso, conclude, “con il nostro maestro Paulo Freire diciamo che la nostra grande speranza è quella di non disperarci, e di stare uniti”.

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