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La parola dei Capi delle First Nations: “Momento storico, ma non finisce qui. È solo un inizio”

Parlano alla stampa i capi delle First Nations alla vigilia dell’arrivo in Canada di Papa Francesco. Un pellegrinaggio sui luoghi del dolore. Nella terra delle “scuole residenziali”, sostenute purtroppo anche dalla Chiesa cattolica in tutto il Paese per contribuire a quella politica di “assimilazione” che ha provocato vittime e traumi persistenti. Si stima che, a partire dal 1883, circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit siano stati obbligati a frequentare queste scuole e che a causa di malattie, fame, freddo, almeno 4 mila hanno trovato la morte

(Foto ANSA/SIR)

“È un momento storico importante per i sopravvissuti del sistema scolastico residenziale e del danno causato dalla Chiesa cattolica. Siamo stati colpiti tutti da questo sistema, direttamente o indirettamente. Queste scuse riconoscono quanto abbiamo vissuto e creano un’opportunità per la Chiesa di riparare ai rapporti con i popoli indigeni in tutto il mondo. Non finisce qui: c’è molto da fare. È un inizio”. Prendono la parola ad uno ad uno, per la prima volta in terra canadese, alla vigilia della visita di Papa Francesco. Sono i capi delle First Nations, Ermineskin Cree Nation, Louis Bull Tribe, Sioux Nation. All’incontro con la stampa, ci sono anche gli anziani e i sopravvissuti alle scuole residenziali. A parlare per primo è il Gran Capo George Arcand Jr., della Confederazione delle Prime Nazioni del Trattato n. 6 (Confederacy of Treaty Six). Le loro dichiarazioni vengono distribuite alla stampa dalla Conferenza episcopale canadese.

Il viaggio in Canada di Papa Francesco – dal 24 al 30 luglio prossimi – sarà un pellegrinaggio sui luoghi del dolore. Nella terra delle “scuole residenziali”, sostenute purtroppo anche dalla chiesa cattolica. Saranno numerosi gli incontri che il Papa avrà con le popolazioni indigene. A Maskwacis, comunità nel centro di Alberta, a circa 70 km a sud di Edmonton, Francesco incontrerà le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit, una rappresentanza delle quali era stata ricevuta in Vaticano dal 28 marzo al 1° giugno scorsi. A loro aveva promesso che sarebbe andato personalmente in terra canadese per esprimere parole di perdono e sostenere un percorso di riconciliazione. Nell’Arcivescovado a Québec, il Papa incontrerà per circa un’ora e mezza una delegazione di indigeni presenti nella città francofona. Da qui il Pontefice partirà in aereo per Iqaluit, capitale del Territorio Canadese di Nunavut, situata a sud del Circolo Polare Artico. Qui Francesco si recherà nella locale scuola elementare per incontrare privatamente un gruppo di alunni delle ex scuole residenziali. Si stima che, a partire dal 1883 fino agli anni ‘60 del secolo scorso, circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit sono stati obbligati a frequentare una delle 139 scuole distribuite in tutto il Paese, rompendo il legame con le loro famiglie, con la loro lingua e cultura. La decisione rientrava nel quadro della politica di assimilazione. A causa di malattie, fame, freddo, almeno 4 mila di questi bambini hanno trovato la morte.

“Molte delle nostre persone hanno chiesto al Papa di visitare le nostre terre e di porgere le scuse”, ha detto il Gran Capo George Arcand Jr. “Questo atto è una parte importante del loro viaggio di guarigione”. “Sono portatori di traumi inimmaginabili. Per molti, il riconoscimento di questo dolore è un passo importante verso la riconciliazione”. Il Gran Capo racconta di aver avuto l’opportunità di trascorrere del tempo con molte delle persone sopravvissute alle scuole residenziali. Ascoltare le loro storie e la sofferenza che hanno vissuto, è molto doloroso. Molti non sono riusciti purtroppo a tornare a casa. Nelle tombe recentemente ritrovate, molti corpi di bimbi giacciono senza nome. Il loro ritrovamento ha suscitato un’onda di choc e orrore in tutto il mondo. “Anche se questi danni non possono mai essere annullati, per dimenticare, credo che ci debba essere il perdono”, dice il Gran Capo. I popoli canadesi hanno voglia di voltare pagina ma sanno che “solo attraverso il perdono possiamo costruire nuovi ponti e ricostruire le nostre comunità”.

Il Capo Randy Ermineskin, della Ermineskin Cree Nation, chiede giustizia. È la nazione che ospiterà a Maskwacis una tappa della visita del Papa. “Anche se ci è voluto troppo tempo – dice – siamo grati che questo giorno sia finalmente arrivato e che si stia svolgendo nella nostra comunità”. Non sarà facile ricordare. “Come sopravvissuto, so che ciò che accadrà, sarà doloroso. Solo vedere le foto delle scuole, ricordare i corridoi, le aule, come siamo stati trattati, è doloroso”. “Cos’è la giustizia?”, chiede. “Vogliamo che la verità su ciò che è successo in queste scuole, sia condivisa con il pubblico. Tutti devono sapere cosa ci è successo in modo che non accada mai più”. Anche Desmond Bull, capo della tribù Louis Bull, è un sopravvissuto. “Sono stato derubato della mia lingua che ora sto lentamente reimparando”, dice. “Gli eventi della prossima settimana potrebbero pesare molto e aprire vecchie ferite. Chiedo ai sopravvissuti di essere forti”.

“Per alcuni del nostro Popolo, la visita di Papa Francesco evoca sentimenti complessi”, spiega Capo Tony Alexis, della Sioux Nation. “Alcuni Popoli delle Prime Nazioni sono cattolici praticanti e loro vedono questo incontro come un momento di festa e riconoscimento. Mentre alcuni membri della comunità sono arrabbiati e stanno ancora lottando, non vogliono perdonare la Chiesa perchè le sue azioni hanno cambiato per sempre la traiettoria delle loro vite. Per altri, le scuse sono una conferma della loro esperienza: segna l’inizio del loro viaggio di guarigione, li aiuta a trovare la conclusione di cui hanno bisogno per andare avanti”. “La mia speranza è che le scuse di papa Francesco portino guarigione ai sopravvissuti e alle loro famiglie. Sono un riconoscimento del ruolo della Chiesa nel danno e nel dolore causato ai popoli indigeni che vivono in Canada”. “Hanno cercato di portarci via lo spirito, ciò che ci rende forti”, dice l’anziano e sopravvissuto Rod Alexis, della Sioux First Nation. “Sono cattolico praticante e vado a messa. Ma a volte chiedo al Creatore: ‘Dio, mi senti? Perché siamo trattati così? Cosa abbiamo sbagliato? Abbiamo aperto i nostri cuori quando sono venuti in questa terra, abbiamo mostrato loro come sopravvivere, ma in cambio ci hanno mostrato qualcosa di diverso”. “Ringrazio il Papa per venuto tra noi. Porta il peso della fede cattolica, ma quelli che sono venuti prima di lui, in nome della fede cattolica, sono quelli che hanno fatto male. Questo è ciò di cui questo paese ha bisogno: non portateci via lo spirito, la tradizione e le nostre anime. Questo è quello che ci hanno fatto. Ci hanno portato via lo spirito. Dobbiamo guarire”.

Nei giorni scorsi, la Conferenza episcopale canadese ha fatto sapere che il Fondo per la riconciliazione indigena ha già raccolto 4,6 milioni di dollari dalle diocesi cattoliche in tutto il paese, come parte di un impegno nazionale volto a raccogliere 30 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. Il Fondo – assicurano i vescovi – è stato progettato per soddisfare i più elevati standard di trasparenza e buon governo ed è supervisionato da un Consiglio di amministrazione composto da leader indigeni di tutto il Canada. Al consiglio di amministrazione si è aggiunto recentemente anche Graydon Nicholas. È stata la prima persona indigena nel Canada atlantico a conseguire una laurea in giurisprudenza e ha prestato servizio come consulente in molti casi importanti che coinvolgono i diritti delle persone indigene. Il Fondo servirà per finanziare il processo di guarigione e riconciliazione, il lavoro di ricerca nei cimiteri sui siti di ex scuole residenziali, e la promozione di iniziative educative e e culturali.

 

 

 

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