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R.D. Congo, il conflitto più dimenticato al mondo. Nel Nord Kivu nuovi scontri tra esercito e milizie acuiscono le tensioni diplomatiche

Nella Repubblica democratica del Congo almeno 170.000 civili sono fuggiti da novembre 2021 ad oggi, soprattutto nelle regioni orientali del Nord Kivu e dell'Ituri. Gli effetti della pandemia e ora l’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi del cibo hanno fatto salire a 27 milioni le persone in stato di bisogno in tutto il Paese, 7 milioni e mezzo in più rispetto al 2021. Recenti scontri tra i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) e l’esercito congolese rendono questo momento davvero critico per la sicurezza del Paese: il conflitto rischia di evolvere verso una crisi regionale più ampia

(Foto Avsi)

Il conflitto nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo, nelle regioni del Nord Kivu e dell’Ituri, secondo un report recente è al primo posto tra i più dimenticati al mondo, nonostante 5,6 milioni di sfollati interni in tutto il Paese. 170.000 civili sono fuggiti da novembre 2021 ad oggi. Eppure negli ultimi giorni qualche allarmante notizia sugli scontri tra i ribelli M23 (Movimento del 23 marzo, di etnia tutsi, appoggiati dai rwandesi) e l’esercito congolese (Fardc – Forze armate della Repubblica democratica del Congo) ha trovato di nuovo spazio nelle agenzie di stampa, ad un anno dall’uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista del Programma alimentare mondiale (Pam) Mustapha Milambo. In questi mesi ci sono stati anche attacchi ai campi degli sfollati, con la morte di 185 persone, ad una radio comunitaria ed è caduta nelle mani delle milizie una città strategica, Buganana. È quindi un momento davvero critico per la sicurezza del Paese: un conflitto che si trascina da vent’anni rischia di evolvere verso una crisi regionale più ampia, coinvolgendo Rwanda, Uganda e Kenya. L’insicurezza, aggiunta ai problemi di salute, potrebbe aver motivato anche l’annullamento del viaggio di Papa Francesco in R.D. Congo e Sudan, previsto dal 2 al 7 luglio. La situazione è degenerata infatti il 25 maggio, quando i ribelli sono arrivati a 10/15 km da Goma, vicino all’area dove il Papa avrebbe dovuto celebrare la messa. Secondo l’Onu in questi giorni oltre 72.000 persone sono state costrette a fuggire dai territori di Rutsuru e Nyaragongo. L’esercito è riuscito solo a farli arretrare di una sessantina di chilometri. Altri 30.000 sono fuggiti a metà giugno, dopo la conquista strategica, da parte dell’M23, della città di Bunagana, al confine con l’Uganda e vicino al Rwanda.

“La popolazione si stava preparando alla visita del Papa, avevano già fatto i gadget, molti avevano preso prestiti per aprire attività in occasione dell’evento – racconta al Sir da Goma, la capitale del Nord Kivu, Daniele Mazzone, capomissione di Avsi nella R.D. Congo -. C’è delusione ma al tempo stesso un po’ se lo aspettavano. Perché da metà marzo la situazione della sicurezza ha iniziato a deteriorarsi. Tutti speravano in un messaggio di pace dal Papa che tirasse su il morale”. Intanto la popolazione fa i conti tutti i giorni con una dura quotidianità, tra violenza, sfollamento e sopravvivenza: “Gli effetti della pandemia e ora l’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi del cibo hanno fatto salire a 27 milioni le persone in stato di bisogno in tutta la R.D. Congo, 7 milioni e mezzo in più rispetto al 2021”. Mentre “la gente a Goma sta scendendo in piazza, manifestando forti sentimenti anti-rwandesi”.

Le ragioni dietro alla recrudescenza del conflitto sono intricate e complesse. Mazzone individua tre fattori principali, oltre ai noti interessi economici sui giacimenti d’oro, coltan e altri materiali preziosi: i cambiamenti geopolitici in conseguenza alle scelte dell’Uganda di costruire tre strade che collegano alle città di Beni, Goma e Butembo, nel Nord Kivu. Gli ugandesi hanno inviato truppe per proteggere i propri investimenti dagli attacchi dei ribelli. Questa nuova viabilità avrebbe un impatto importante sul commercio nell’area, togliendo spazi al Rwanda e spostandolo verso l’Uganda. La R.D. Congo è inoltre entrata da un solo mese nella Comunità dell’Africa orientale, che in teoria dovrebbe garantire dialogo e stabilità nell’area, ma visto l’appoggio del Rwanda all’M23 (escluso dai negoziati di pace in Kenya), molti politici ne stanno già chiedendo l’uscita, con il rischio di un aumento delle tensioni tra Paesi. Il terzo fattore è l’avvicinarsi delle elezioni politiche, che avverranno nel 2023.

Daniele Mazzone al lavoro a Goma – (foto: Avsi)

Si acuiscono le tensioni diplomatiche con Rwanda e Uganda. “Questi motivi hanno riacceso il conflitto tra esercito congolese, con il quale si stanno alleando altri gruppi armati, e l’M23 – spiega Mazzone -. Ora le tensioni, anche sul piano diplomatico, nei confronti di Rwanda e Uganda sono molto elevate. Purtroppo le basi per un conflitto regionale ci sono”. Tra gli scenari previsti, “nel migliore dei casi rimarranno in azione i soliti gruppi armati con l’appoggio dei due Paesi confinanti.

L’ipotesi peggiore vede l’ampliamento del conflitto a tutto l’Est Congo, con l’implicazione più massiccia di altri Stati, compreso il Kenya”.

In ascolto della popolazione congolese – (foto: Avsi)

Tra violenza e insicurezza alimentare. Tutto ciò ricade sulla popolazione, fortemente provata dal conflitto e dalla crescente insicurezza alimentare. L’Ong Avsi, presente nella R.D. Congo con 200 operatori umanitari e 9 sedi, soprattutto nell’Est ma anche a Sud e nel Tanganica, ha assistito nel 2020 circa 400.000 persone. “I bisogni sono in aumento – dice Mazzone -. Ogni giorno facciamo distribuzione di cibo, abbiamo progetti contro la malnutrizione e per la formazione del personale sanitario”. Un lavoro in condizioni di rischio altissimo, vista l’insicurezza dei territori. Avsi ha un dipartimento sicurezza che collabora con le agenzie Onu per evitare pericoli per gli operatori, ma l’accesso umanitario è difficilissimo: “In alcune aree possiamo andare solo dalle 9 alle 10 o dalle 13 alle 14. Ci si sposta con convogli o aerei dell’Onu, non abbiamo più privacy perché i nostri movimenti sono tutti registrati, c’è il coprifuoco alle 22. Anche se le misure di sicurezza sono rigide la presenza di milizie armate poco formate, con molto alcolismo tra le truppe, rende la situazione molto imprevedibile. La sicurezza principale per noi è la qualità dei nostri interventi che ci garantisce la protezione da parte della popolazione”.

Il cui bisogno principale, ora più che mai, “è che la sua voce sia ascoltata, per trovare pace e stabilità in quest’area dimenticata”.

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