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Da Maiduguri a Idlib, la Pasqua di silenzio dei cristiani nigeriani e siriani

La Pasqua in Nigeria e in Siria, nelle comunità cristiane sotto scacco dei terroristi di Boko Haram e dei jihadisti di Tahrir al-Sham. Accomunate dalla paura di attentati, rapimenti, discriminazioni e abusi di vario genere, costrette a vivere la fede all’interno delle loro chiese e delle loro case, alla paura rispondono con il coraggio della fede. La certezza è che “non esiste vittoria senza sofferenza e non c’è Sepolcro vuoto senza Calvario”. Vivranno la Pasqua “come pecore in mezzo ai lupi, prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”

(Foto ANSA/SIR)

Da Maiduguri, capitale dello stato federale di Borno (Nigeria), culla del gruppo jihadista affiliato all’Isis, Boko Haram, a Idlib, nel nord-ovest della Siria, ultima roccaforte dei jihadisti di Jabhat al-Nusra oggi Tahrir al-Sham, e bastione di altre milizie legate ad Al-Qaeda e Isis, opposte al regime del presidente siriano Bashar al Assad. Seppur lontane migliaia di chilometri, le comunità cristiane di Nigeria e Siria sono accomunate dalla paura di attentati, rapimenti, discriminazioni e abusi di vario genere, che le spingono a vivere la  fede all’interno delle loro chiese e delle loro case. Paura che cresce nei tempi forti come Natale e adesso, Pasqua. “Come pecore in mezzo ai lupi, prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”: è il passo del Vangelo (Mt.10,16) che forse meglio di ogni altro definisce la vita di queste comunità e dei loro pastori. Vivere in queste aree per un cristiano è duro, richiede coraggio e fede. Alla violenza dei terroristi si risponde con le armi del bene e della preghiera.

Nigeria. Don Joseph Bature Fidelis è il parroco di san Patrizio, a Maiduguri. Il sacerdote nigeriano, nel 2014, durante l’offensiva terroristica lanciata da Boko Haram per trasformare il nord della Nigeria in Califfato, scelse di restare con i propri fedeli nonostante, racconta, “fossi stato minacciato per due volte e avessi visto persone uccise e tagliate a pezzi. Credo che questi attacchi non cancelleranno la fede del nostro popolo”. Sebbene la minaccia di Boko Haram incomba ancora su Maiduguri, la comunità di don Joseph si prepara alla Pasqua con lo spirito di sempre: “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.

Don Joseph Bature Fidelis, Nigeria

“Siamo sotto pressione – racconta al Sir – ogni volta ci aspettiamo un attacco. La Pasqua, così come il Natale, sono tempi favorevoli agli attentati perché i terroristi sanno bene che attaccarci adesso avrebbe una eco notevole. Per questo motivo prestiamo molta attenzione alle celebrazioni, soprattutto ora in Settimana Santa”. Prima cosa, dunque, la prudenza: “è necessario garantire la sicurezza dei nostri fedeli, non esporli a rischi inutili. Tutti sappiamo che non dobbiamo restare troppo tempo fuori da casa e in luoghi aperti dove è più facile subire attacchi, come chiese e ambienti collegati”. Per questo motivo, dichiara il parroco, “i riti pasquali saranno celebrati in maniera essenziale e senza dilungarci troppo. Davanti le chiese avremo presidi delle Forze dell’Ordine con i nostri giovani che conoscono i membri della comunità”. Le funzioni si svolgeranno tutte in orario pomeridiano e nel pieno rispetto delle norme anti Covid-19. “Siamo abituati a sopportare questa situazione – aggiunge don Joseph – ma siamo anche coscienti che

non possiamo arrenderci alla paura. La sfida è ardua ma dobbiamo essere coraggiosi perché la Pasqua ci parla della vittoria della vita sulla morte.

Sappiamo anche che non esiste vittoria senza sofferenza e sacrificio, non c’è Sepolcro vuoto senza Calvario. Patiamo questa persecuzione nella certezza che i frutti alla fine saranno di gioia e di vittoria in Cristo”.

“Non siamo circondati solo dal male, intorno a noi anche tanta gente, tanti fratelli di altre fedi con cui stiamo costruendo un futuro di pace e convivenza”.

Siria. Nel Governatorato di Idlib, nel nordovest della Siria, vive una esigua comunità cristiana, poco più di 210 famiglie, sparse in tre villaggi situati nella Valle dell’Oronte, Knaye, Yacoubieh e Gidaideh. Con loro due frati della Custodia di Terra Santa, il parroco di Knaye, padre Hanna Jallouf, e il suo confratello padre Louai Bsharat. Sono gli unici religiosi rimasti nella zona. Da 10 anni portano avanti la loro missione “tra i nostri fedeli e i fratelli delle altre fedi che sono nel bisogno”.

Knaye, la comunità cristiana

“Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono fuggiti dopo la distruzione e il saccheggio di molte chiese e luoghi di culto da parte dei miliziani” dice al Sir padre Hanna che nel 2014 fu rapito dai jihadisti di Jabhat al-Nusra insieme ad altri 16 parrocchiani e poi liberato. A Idlib si fronteggiano l’esercito siriano, supportato dalla Russia, e le forze ribelli che fanno capo ai jihadisti di Tahrir al-Sham (ex Al Nusra) e all’Esercito Nazionale Siriano, sostenuto dalla Turchia. Una situazione che impedisce di muoversi: “Tutte le strade chiuse, non possiamo uscire dalla provincia né recarci a Damasco, ad Aleppo o Latakia” dice padre Hanna. Questo rende la vita ancora più difficile perché “la nostra comunità è composta da persone anziane, molte sono malate e avrebbero necessità di curarsi altrove. Inoltre il Covid-19 ha colpito  quasi l’80% della nostra comunità.

Siria, Knayeh convento di san Giuseppe

Abbiamo avuto anche due morti. Grazie a Dio sono tutti guariti e anche i centri Covid adesso stanno chiudendo perché non c’è più gente malata. Tra i nostri fedeli c’è anche qualche coppia di giovani con bambini. Aiutiamo tutti con viveri e gasolio, cercando di offrire anche un po’ di istruzione e di educazione religiosa”. “Una delle nostre parrocchie è dedicata a san Giuseppe, e come il padre putativo di Gesù lavoriamo nel silenzio” sottolinea padre Hanna. E silenzio da queste parti significa anche che “le nostre campane non possono suonare, che non possiamo indossare il nostro saio per uscire, che non possiamo avere croci sui campanili e immagini sacre esposte all’esterno, che i nostri riti devono essere celebrati solo nel chiuso delle chiese. Sarà così anche per questa Pasqua”.

“Nonostante tutta questa sofferenza siamo consapevoli di vivere un momento di grazia  che vogliamo condividere anche con chi ci è vicino e ci sostiene”.

 

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