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La grande fuga dei profughi, al collasso le frontiere con i Paesi andini. Il grido d’allarme della Chiesa

“Sono soprattutto famiglie, donne, bambini, mamme incinte, disabili, perfino in persone in carrozzina”. È quello che ti dicono tutti, quando chiedi di descrivere chi sono i venezuelani che continuano a fuggire, a migliaia, dal loro Paese, trovando sempre più spesso l’esercito ad attenderli e a bloccarli ai passi di frontiera. All’inizio erano intellettuali, oppositori politici, persone laureate. Poi hanno cominciato ad andarsene i padri di famiglia, i giovani. Ora fuggono tutti. I viaggi della disperazione investono tutto il Sudamerica e in particolare i Paesi andini. È forte il grido d’aiuto che arriva al Sir dagli operatori della Pastorale dei migranti, da religiose, religiosi, missionari.

“Sono soprattutto famiglie, donne, bambini, mamme incinte, disabili, perfino in persone in carrozzina”. È quello che ti dicono tutti, quando chiedi di descrivere chi sono i venezuelani che continuano a fuggire, a migliaia, dal loro Paese, trovando sempre più spesso l’esercito ad attenderli e a bloccarli ai passi di frontiera. All’inizio erano intellettuali, oppositori politici, persone laureate. Poi hanno cominciato ad andarsene i padri di famiglia, i giovani. Ora fuggono tutti. I viaggi della disperazione investono tutto il Sudamerica e in particolare i Paesi andini, che stanno affrontando la seconda ondata della pandemia. La Colombia, la più esposta con gli oltre 2.200 chilometri di frontiera, è la Colombia, dove già vivono almeno 1.700mila venezuelani. Nei giorni scorsi, il Governo ha deciso di concedere loro lo statuto di protezione temporanea. Una scelta che ha avuto il plauso di papa Francesco, all’Angelus del 14 febbraio.

Molti venezuelani, però, proseguono verso sud, attraversano l’Ecuador (dove sono circa 415.000) e puntano a raggiungere il Perù (le presenze stimate sono 1.200mila) o il Cile (circa 700mila). Da tempo trovano ostacoli di tipo legale. Nelle ultime settimane hanno trovato l’Esercito. Ma le frontiere militarizzate sono il miglior favore che si possa fare ai trafficanti senza scrupoli. È forte il grido d’aiuto che arriva al Sir dagli operatori della Pastorale dei migranti, da religiose, religiosi, missionari.

Bomba umanitaria in Ecuador.  “In Ecuador le frontiere sono chiuse per tutto febbraio, ma è probabile un prolungamento. Nel Paese l’80% delle presenze è costituita da irregolari – racconta Enzo Rubinetti, attivo nella Pastorale sociale Caritas della Chiesa ecuadoriana -. Soprattutto alla frontiera sud con il Perù c’è una completa militarizzazione. Quella a cui stiamo assistendo è una bomba umanitaria. Molti sono bloccati a Huaquillas, al confine con la regione peruviana di Tumbes. La situazione igienica e sanitaria è precaria, in quelle zone la presenza del virus dengue è endemica. Vivono in strada”. Altri migranti, invece, hanno cercato rotte alternative. “In trecento sono, più a sud, a Macará, nella provincia ecuadoriana di Loja. Lì non esistono case di accoglienza, la Caritas di Loja è riuscita a distribuire 200 kit di igiene”. La Caritas, continua Rubinetti, “è attiva in otto province del Paese, con un’attenzione che è insieme umanitaria, giuridica e psico-sociale, in sinergia con altri organismi e congregazioni religiose”.

Tra queste, particolarmente attive le suore scalabriniane. La loro responsabile in Ecuador, suor Leda dos Reis, racconta: “Il nostro lavoro è ogni giorno più difficile, le frontiere sono chiuse, il Governo ha preso una serie di provvedimenti per ostacolare il soggiorno e la regolarizzazione dei rifugiati, inoltre aumenta la xenofobia. Ne siamo stati testimoni a Ibarra. Lo scorso anno una giovane è stata uccisa da un venezuelano, la gente era inferocita, ha cominciato a entrare nelle case dei venezuelani, a dare fuoco alle loro cose”. Le scalabriniane continuano nella lor opera a tutto campo, di accoglienza nelle loro case in varie località frontaliere, nell’attenzione legale, nel sostegno alle vittime di tratta e violenza, nella sensibilizzazione politica. Le tre case di Tulcán, Ibarra e Santo Domingo vogliono essere le tappe di una “strada dell’accoglienza”. “È centrale nella nostra azione l’aspetto dell’incidenza politica, insieme ad agenti comunitari, per sensibilizzare le comunità locali”, conclude la religiosa.

Famiglie e disabili entrano in Perù. La situazione è, se possibile, ancora più difficile in Perù, che diversamente dall’Ecuador è anche un Paese di destinazione per i venezuelani, oltre che si transito verso il Cile. È stato proprio il Perù il Paese che ha schierato l’esercito alle frontiere in modo massiccio. Un provvedimento dovuto anche all’arrivo della seconda ondata del Covid-19 in un Paese già fortemente segnato dalla pandemia (-13% di Pil nel 2020). L’arrivo di altri venezuelani è una “bomba” in un contesto di questo tipo, e non va dimenticato che il Paese sta vivendo una lunga campagna elettorale per le presidenziali (come del resto il Cile). Spiega padre Luiz Do Arte, direttore della casa Beato Juan Bautista Scalabrini a San Miguel, nella zona di Lima: “La situazione è molto preoccupante sia per chi è già nel Paese che per coloro che arrivano. Ottenere il visto è difficilissimo, anche se ora è possibile fare le pratiche via internet. Ma molti migranti non hanno mezzi e competenze. Le frontiere sono militarizzate. Da nord entrano per i passi irregolari famiglie intere, persone con disabilità psichiche e fisiche. A sud il Cile sta ugualmente respingendo i venezuelani, che ora stanno cercando di entrare nel Paese passando per la Bolivia”.

Quelle peruviane, prosegue Beatriz Pérez Marcassi, responsabile per il Perù del Simn (Scalabrini international migration network), “sono frontiere porose, sono molte le ‘trochas’. Molti se ne approfittano, alcuni vengono contattati già in Colombia dai trafficanti, che offrono veri e propri ‘pacchetti’. Pagano anticipatamente, con la promessa di essere portati a destinazione”. In tale contesto, continua padre Do Arte,

“è impressionante la fiducia che i migranti nutrono nella Chiesa,

per prima cosa bussano sempre alle parrocchie ed è grande l’impegno delle congregazioni, come quello delle Figlie di Sant’Anna, a Tumbes”. Si tratta comunque, aggiunge Beatriz Pérez, “di un aiuto spontaneo, pur nella difficoltà della situazione vanno registrati anche i fatti positivi.

Cile, confini con Perù e Bolivia al collasso. Eccoci, infine, in Cile. Anche in questo caso, come accennato, la frontiera tra la peruviana Tacna e la cilena Arica, in un territorio desertico, è totalmente militarizzata, “però i migranti giunti qui, così come nella città di Iquique, un po’ più a sud, sono in aumento e nelle ultime settimane sono aumentate le difficoltà”, racconta al Sir il vescovo di Arica, mons. Moisés Atisha Contreras. Naturalmente, essendo chiuse le frontiere, la gente entra in modo irregolare. “Da un lato – prosegue il Vescovo – sarebbe da incentivare l’arrivo con modalità regolare e in ogni caso la frontiera viene controllata anche per evitare altri tipi di attività, come narcotraffico e contrabbando. D’altra parte, c’è preoccupazione e livello umanitario e anche per il fatto che molte persone con capiscono le motivazioni che spingono queste persone a migrare e si crea così un clima di rifiuto”. La Chiesa, dal canto suo, “ha rafforzato la rete di centri d’accoglienza dove queste persone possono trascorrere la quarantena, le mense, per quello che è possibile in questo tempo di pandemia, grazie al servizio di alcune congregazioni come gli scalabriniani e i gesuiti. L’aiuto è di carattere materiale, ma anche di assistenza nel presentare la documentazione per ottenere lo status di rifugiati”.

Resta il fatto che la situazione è difficile e, in alcuni casi estrema, come spiega Delio Cubides, segretario esecutivo dell’Incami (Istituto cattolico cileno per le migrazioni). “Visto che la frontiera è bloccata, in migliaia stanno cercando di entrare in Cile dalla Bolivia. Il comune frontaliero di Colchane, è al collasso. Si tratta di una località a 3.700 metri d’altitudine, dove si vive in condizioni estreme. Ma le persone tentano il tutto per tutto, dicono che piuttosto che morire in Venezuela è meglio morire durante il viaggio, oppure di Covid-19. Confermo che arrivano famiglie, moltissime donne con bambini, che cercano di ricongiungersi ai mariti”. Per Cubides, “il Governo ha cancellato da dicembre molti visti di responsabilità democratica, molti migranti sono rimasti privi di regolarizzazione. Il Governo preferisce una gestione mediatica della vicenda”.

 

*Giornalista de “La vita del popolo”

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