Contraddizioni della politica, ideologia della disinformazione, paradossali problemi logistici. E i vaccini tardano a partire

Riuscirà il Brasile, terzo Paese al mondo per contagi e secondo per numero di morti, a partire con i vaccini contro il Covid-19, a dispetto delle continue contraddizioni e contorsioni politiche del suo presidente Jair Bolsonaro? E i vaccini arriveranno anche in periferia, dando corpo alla richiesta della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, che nel messaggio d’inizio anno ha insistito sul fatto che il vaccino “è diritto di tutti”? È questo il tema del giorno in Brasile, e soprattutto nella principale città, San Paolo. Sulla campagna vaccinale, che coincide con il riesplodere della pandemia (circa 50mila casi e un migliaio di morti al giorno, con una situazione che è tornata drammatica a Manaus, capitale dell’Amazzonia) si incrociano questioni diverse, di ordine, sanitario, culturale e politico

(Foto ANSA/SIR)

Riuscirà il Brasile, terzo Paese al mondo per contagi e secondo per numero di morti, a partire con i vaccini contro il Covid-19, a dispetto delle continue contraddizioni e contorsioni politiche del suo presidente Jair Bolsonaro? E i vaccini arriveranno anche in periferia, dando corpo alla richiesta della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, che nel messaggio d’inizio anno ha insistito sul fatto che il vaccino “è diritto di tutti”?

È questo il tema del giorno in Brasile, e soprattutto nella principale città, San Paolo. Sulla campagna vaccinale, che coincide con il riesplodere della pandemia (circa 50mila casi e un migliaio di morti al giorno, con una situazione che è tornata drammatica a Manaus, capitale dell’Amazzonia) si incrociano questioni diverse, di ordine, sanitario, culturale e politico.

Non a caso, tutto è partito da San Paolo (epicentro dei contagi durante la prima ondata, meno in queste settimane), dove il governatore dello Stato, João Doria, ha chiuso ancora nei mesi scorsi un accordo con i cinesi per produrre il vaccino Sinovac attraverso l’istituto pubblico paulista Butantan e ha annunciato l’inizio delle vaccinazioni per il 25 gennaio. Bolsonaro era in trattativa con la Pfizer, ma vistosi scavalcato da quello che potrebbe essere per lui il rivale più insidioso alle prossime presidenziali, è andato “a rimorchio”, stabilendo che la campagna potrà partire il 20 gennaio e sarà, appunto, Sinovac-Butantan a fornire le dosi necessarie per tutto il Paese. Nel frattempo, è esploso il problema delle siringhe, diventate introvabili.

Vaccino, unica speranza per i poveri. Non tutti, intanto, salutano con entusiasmo l’arrivo del sospirato vaccino. Lo denuncia da San Paolo uno dei preti di strada più conosciuti del Brasile, padre Julio Lancellotti, responsabile della Pastorale del popolo di strada dell’arcidiocesi, in prima linea in questi mesi nell’informare, sensibilizzare e aiutare le fasce di popolazione più povere. Il suo esempio è stato pubblicamente citato da papa Francesco.

“In questo momento – dice al Sir padre Julio – la popolazione è divisa. C’è chi vuole vaccinarsi, e chi no. È l’effetto dell’ideologia, della disinformazione, della sfiducia della gente. Bolsonaro, con le sue dichiarazioni negazioniste, è ascoltato da molti”. Mentre continua a girare in lungo e in largo i quartieri raccomandando a tutti di proteggersi dal virus, ora il sacerdote è pronto a sensibilizzare sull’importanza di vaccinarsi: “Non importa da chi sia prodotto, da dove venga, oggi è l’unica speranza. Non credo che il problema sia il fatto che non venga distribuito a tutti, qui il servizio sanitario è pubblico e universale. Il problema, ripeto, è la falsa propaganda, anche di Stato, che abbandona il popolo”. Certo, “la gente è stanca, ora anche qui come in tutto il mondo è arrivata la seconda ondata. È importante la presenza, la vicinanza alla gente di strada”.

Tra politica e problemi organizzativi. Per cercare di dipanare questi complessi intrecci abbiamo interpellato alcuni analisti sociali e politici, a cominciare da Francisco Borba, docente alla Pontificia università cattolica di San Paolo, per la quale coordina il nucleo Fede e cultura, in collaborazione con l’arcidiocesi. “I problemi, rispetto al vaccino, sono vari. Ci troviamo, certamente, di fronte a un problema politico, una situazione molto difficile, che ha spaccato politicamente il Brasile: o si è con il Presidente o si è contro di lui. Il fatto è, però, che questo non dovrebbe essere un tempo di scontro. Invece i continui ‘stop and go’ del Governo, le divisioni anche dentro l’Esecutivo, hanno portato a un problema logistico e organizzativo. Mi verrebbe da dire che quest’ultima oggi è la questione più evidente. La politica, alla fine, la sua strada la prende. Bolsonaro ‘ne spara tante’, poi è costretto a fare marcia indietro. Ma questo contesto provoca, appunto, una grande disorganizzazione. Se un presidente lancia messaggi contraddittori, se non lascia agli esperti fare il proprio lavoro, si arriva a questo”.

Tante dunque le incognite, per il docente: la distribuzione in Amazzonia, il reperimento delle siringhe, “che il Governo voleva confiscare in tutto il Paese, ma su questo la Suprema Corte si è opposta”. Sullo sfondo, interrogativi rilevanti anche sul piano etico: “Per esempio, è giusto che San Paolo vada più veloce degli altri Stati della Federazione? Ma se a San Paolo si può iniziare, è giusto essere bloccati per aspettare le altre zone non ancora pronte? Il vaccino cinese è meno efficace rispetto a Pfizer o Moderna, scelti dai Paesi maggiori. Procediamo con un vaccino che ci possiamo permettere e arriva a tutti, ma è meno efficace?”. Domande che si sovrappongono ai dietrofront e alle letture “ideologiche”, spesso sull’orlo del negazionismo, del presidente.

“Certo – prosegue Borba – il sistema è pubblico e il vaccino arriverà a tutti, dalle favelas all’Amazzonia. Il problema, piuttosto, sarà di priorità. Alcune categorie, per esempio gli indigeni o i detenuti, sono particolarmente vulnerabili, ma dubito che saranno privilegiate”.

Una tradizione di sanità pubblica. Riflette un altro analista, lo storico e scrittore Célio Turino, vicino a movimenti di cittadinanza attiva: “Va detto che la creazione di questo vaccino è comunque una conquista del nostro sistema sanitario pubblico. Butantan è un istituto con 110 anni di storia, con molti scienziati brasiliani, al vaccino ha lavorato una squadra composta al 72% da donne. La scienza è una conquista importante, e va ricordato nel momento in cui è sotto attacco. Personalmente, ritengo quello di Bolsonaro il più grande laboratorio al mondo di necro-politica, e lo si è visto nel comportamento a zig-zag sui vaccini. La svalorizzazione della scienza è una delle componenti di questa politica”. Paradossale, secondo Turino, che “ci sia un problema di logistica mentre al Governo c’è un ministro della Sanità che è un generale dell’Esercito esperto proprio di logistica. O che ci siano problemi di siringhe dopo che il Brasile ne ha esportato ultimamente 70 milioni. Quanto ai vaccini, credo che la tradizione del nostro Paese abbia pochi rivali: dieci anni fa, in occasione dell’influenza suina H1N1, 80 milioni di brasiliani sono stati vaccinati in 90 giorni. In Brasile non manca la struttura di base”.

Il compito della Chiesa. Si torna, dunque, alle questioni politiche, culturali e ideologiche di oggi, rispetto alle quali anche la Chiesa ha un ruolo importante, come sottolinea il professor Borba: “Non tanto sul piano operativo, qui è lo Stato che deve dare risposte. Ma La Chiesa è chiamata a far presente un criterio di solidarietà nella distribuzione del vaccino”. Sullo sfondo, la necessità di incidere, a livello culturale, sulla complessa galassia di negazionisti, in gran parte conservatori, legati in molti casi a gruppi pentecostali, ma spesso anche a realtà cattoliche. Una sfida ardita e di lunga gittata, la cui importanza è confermata anche da questa emergenza.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

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