Narcotraffico e violenza, un binomio tragico. Mons. Martín: “La società è malata. Abbiamo di fronte un grande compito di evangelizzazione”

“Quando sono arrivato qui, nel 2014, già Rosario era famosa per il narcotraffico e i suoi livelli di insicurezza”, racconta al Sir monsignor Eduardo Eliseo Martín, arcivescovo della città argentina sul fiume Paraná. La città, che si trova 300 chilometri a nord di Buenos Aires, con oltre un milione di abitanti, è la terza dell’Argentina. Un luogo molto pericoloso, dove si è assistito ad un'escalation di fatti di sangue che, di recente, non hanno risparmiato neppure una bimba di 18 mesi, colpita durante una sparatoria. Una violenza, spiega mons. Martín, che emerge da “una società che ha iniziato a considerare naturale il consumo di sostanze stupefacenti e non ha lavorato nella prevenzione e nell’assistenza delle persone che ne soffrono”

L’ha definita una “violenza cieca”, in una lettera pastorale pubblicata qualche settimana fa. Monsignor Eduardo Eliseo Martín, arcivescovo di Rosario, non ha taciuto di fronte all’escalation di fatti di sangue che, di recente, non hanno risparmiato neppure una bimba di 18 mesi, colpita durante una sparatoria. Mentre, infatti, l’Argentina si trova ormai da marzo in uno stato di quarantena permanente, che ha a lungo frenato i contagi ma non è riuscita a impedire il loro dilagare nelle ultime settimane di fine inverno, il consumo e il traffico di stupefacenti e altre sostanze non si sono ormai fermati.

“La società è malata”

avverte l’arcivescovo, secondo il quale questa violenza emerge da “una società che ha iniziato a considerare naturale il consumo di sostanze stupefacenti e non ha lavorato nella prevenzione e nell’assistenza delle persone che ne soffrono”. Anzi, “da anni sembra che ci sia una legalizzazione di fatto del traffico di droga, che ha un proprio sistema finanziario, e con un’organizzazione criminale superiore a quella a disposizione dello Stato per rispondere”.

Escalation di violenza. Parole forti, che l’arcivescovo, intervistato dal Sir, spiega e approfondisce: “Quando sono arrivato qui, nel 2014, già Rosario era famosa per il narcotraffico e i suoi livelli di insicurezza”. La città, che si trova 300 chilometri a nord di Buenos Aires, con oltre un milione di abitanti, è la terza dell’Argentina. Il suo porto sul fiume Paraná, la rende strategica a livello commerciale. “In questi anni la situazione è peggiorata, soprattutto nei quartieri popolari e più poveri, dove la gente vive ammassata e ogni situazione diventa naturale. In questi anni abbiamo avuto 190 morti per il narcotraffico, solo nell’ultimo mese di settembre la violenza ha causato una ventina di vittime. Mesi fa era stato ucciso un bambino, più recentemente una ragazza di 14 anni, che studiava in una scuola parrocchiale gestita dagli scalabriniani”.

In questo contesto, “non si vedono nella società e nella politica avanzare azioni decise, questo vale non solo per le autorità della Provincia e della città, ma anche per quelle nazionali. Il traffico dilaga, ma questo accade perché la gente consuma droga, si parla sempre si più, per esempio, di consumo ricreativo”. Domanda e offerta, come è naturale, aumentano insomma insieme. Inoltre, riprende mons. Martín, “Il narcotrafficante spesso diventa un modello per i ragazzi dei quartieri. Spesso i giovani entrano nella spirale della droga perché non hanno alternative”.

Già papa Francesco, già anni fa, aveva parlato di “messicanizzazione dell’Argentina”, e oggi, afferma l’arcivescovo, “stiamo andando in quella direzione”. Tutto questo, prosegue, “ci sfida come comunità cristiane. Abbiamo di fronte un grande compito di evangelizzazione, siamo chiamati a portare un nuovo sguardo sulla vita, una risposta di riconciliazione. È successo che, a un ritiro da noi organizzato, un padre che voleva vendicare la morte del figlio, abbia consegnato materialmente le armi. Il nostro è un compito necessario”.

L’arcidiocesi è attiva anche nel recupero di chi è caduto nelle dipendenze, con la presenza delle associazioni Nazareth e Padre misericordioso. “Non dobbiamo perdere la speranza”, conclude mons. Martín.

Il dramma dei giovani e l’interruzione delle azioni di prevenzione. La gravità della situazione, ma anche la necessità di una più forte azione a livello di prevenzione ed educazione, viene confermata al Sir da Solange Rodríguez Espinola, docente dell’Università cattolica argentina e ricercatrice nell’Osservatorio del disagio sociale istituito dallo stesso ateneo. “In particolare, Rosario è una realtà molto difficile – afferma -. Gli ultimi dati dell’Osservatorio sul consumo di droga sono del 2017. Ma durante questi mesi di quarantena si è assistito a un aumento soprattutto di alcol e tabacco, e la droga ha continuato a girare”. Il fenomeno della tossicodipendenza, prosegue la docente, “attraversa tutte le classi sociali e si differenzia per tipi di sostanze consumate, si va dalla droga sintetica dei più ricchi fino ai residui, ai derivati consumati dai giovani più poveri, sostanze che provocano dipendenza molto rapidamente. Tra i consumatori continua ad abbassarsi l’età media, ci sono sempre più giovani. E le sostanze si possono reperire facilmente nelle scuole o nelle loro vicinanze”.

A tale realtà, si affianca “la sempre più comune convinzione che la marijuana non sia nociva, che si possa assumere tranquillamente”. Ed è fortissimo l’aumento del consumo di alcol, anche tra i minorenni: “È concentrato nel weekend, dentro al gruppo, prevale la logica del provare. Spesso alcol e varie droghe vengono prese insieme, assistiamo sempre più al consumo di sostanze associate”.

In questi mesi di pandemia “anche se prevale meno il ritrovo dei giovani in gruppo, lo stato di ansia e precarietà favorisce il consumo. La domanda resta alta e pure l’offerta, la droga si trova e il narcotraffico arriva ovunque”. Ed è sempre più difficile il compito di chi è chiamato a educare, prevenire e curare. Conclude la professoressa Rodríguez: “il sistema sanitario ha sospeso gran parte dei trattamenti, si è interrotto tutto. E non ci sono in questo momento campagne di prevenzione, esiste solo la pandemia. Ma narcotraffico e delinquenza non cessano, e anzi aumentano”.

*Giornalista de “La vita del popolo”

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