Coronavirus, salute o libertà?

Dopo insistenti interrogativi espressi sul web da parte di molti utenti per conoscere la situazione della pandemia in Cina, visto che era scomparsa dalle notizie che nei mesi di gennaio-febbraio erano invece state abbondanti e dettagliate, qualche organo di informazione si è preso la briga di verificare. Sono così apparsi diversi servizi che ci mostrano una situazione di normalità in quello che era stato l’epicentro: la città di Wuhan. Un giornalista del New Yorker, Peter Hessler, ha trascorso nove giorni a Wuhan per constatare di persona.

(Foto: Save the Children)

Dopo insistenti interrogativi espressi sul web da parte di molti utenti per conoscere la situazione della pandemia in Cina, visto che era scomparsa dalle notizie che nei mesi di gennaio-febbraio erano invece state abbondanti e dettagliate, qualche organo di informazione si è preso la briga di verificare. Sono così apparsi diversi servizi che ci mostrano una situazione di normalità in quello che era stato l’epicentro: la città di Wuhan. Un giornalista del New Yorker, Peter Hessler, ha trascorso nove giorni a Wuhan per constatare di persona. Ha quindi pubblicato un lungo articolo sulla sua testata nel quale afferma che la vita a Wuhan oggi è tornata a “una relativa normalità”, molto più normale di quella della maggior parte dei paesi europei: non vengono registrati contagi da mesi, e pian piano hanno ripreso anche gli eventi che prevedono assembramenti al chiuso, dalle serate in discoteca alle partite nei palazzetti con il pubblico.
Come hanno fatto i cinesi a sconfiggere la diffusione del contagio?
“Tra il 23 gennaio e l’8 aprile – racconta il giornalista – Wuhan fu sottoposta a un lockdown durissimo, come non se ne sarebbero visti nemmeno nei paesi che presero le misure più severe come l’Italia. Le immagini degli abitanti positivi al coronavirus trascinati fuori dalle loro case da funzionari statali vestiti con tute e mascherine generarono polemiche all’estero e sofferenze tra chi le subì. L’architetto Kyle Hui ha raccontato a Hessler che sua madre morì di COVID-19 a gennaio. Dopo aver raggiunto la città per la cerimonia di cremazione, Hui tornò a casa nella provincia di Jiangsu. Pochi giorni dopo Wuhan fu messa in lockdown, e un gruppo di funzionari gli sigillò il portone con del nastro che indicava che ci era stato di recente. All’inizio Hui protestò, ma gli fu detto che in alternativa sarebbe stato portato in un centro di isolamento. Successe un po’ ovunque così, in Cina. Quelle rigidissime misure furono necessarie e risultarono efficaci.
Della stessa opinione, circa l’efficacia di queste misure, una persona che divide il suo tempo tra Cina e Italia da me incontrata di recente, il quale ha sottolineato l’obbedienza dei cittadini cinesi alle disposizioni delle autorità e il rispetto, innato nella popolazione, che si deve avere verso gli altri quando ci sono situazioni di possibile contagio di qualsiasi natura, non solo di coronavirus. Insomma una esaltazione del metodo cinese.
Guardando dentro casa nostra in Italia vediamo il senso di irresponsabilità di molte persone, nonostante i dati drammatici della pandemia che ogni giorno ci vengono comunicati, le proteste e le rivolte urbane alle disposizioni delle autorità circa le necessarie chiusure. Forse le misure cinesi saranno più efficaci, e sappiamo che la salute è un bene primario e indispensabile, ma non siamo disposti a perdere le libertà conquistate invocando l’istaurazione di un regime di polizia. Un po’ più di senso civico e di cooperazione da parte dei cittadini però non guasterebbe!

(*) direttore “Settegiorni dagli Erei al Golfo” (Piazza Armerina)

Altri articoli in Mondo

Mondo