Striscia di Gaza. Yuval Roth: “L’altro volto di Israele” che trasporta bambini palestinesi malati in Israele per curarsi

La storia dell'incontro, nella Striscia di Gaza, con Yuval Roth, fondatore di “The Road to recovery”, organizzazione umanitaria impegnata a trasportare, gratuitamente, in ospedale i palestinesi – per lo più bambini – di Gaza e della Cisgiordania bisognosi di cure mediche. "Per noi di The Road to recovery - racconta al Sir - è un modo per mostrare un altro volto di Israele che non è solo quello dei militari armati o dei coloni”. Il messaggio: "Non ci sono piani di pace e soluzioni che tengano se prima non viene rispettata la dignità degli uni e degli altri"

Yval cammina avanti e indietro dentro il terminal di Erez, punto di passaggio pedonale tra Israele e la Striscia di Gaza, guardando continuamente il suo smartphone per controllare chiamate e messaggi in arrivo. Il suo andirivieni non insospettisce i militari israeliani che sorvegliano a vista l’area. Qui Yval è oramai un volto conosciuto. Sono in molti a salutarlo, tra militari e addetti alla  sicurezza. Improvvisamente si ferma e rivolge lo sguardo verso il posto di controllo della Polizia di frontiera israeliana. Una nonna e la nipotina stanno terminando le procedure di uscita dalla Striscia. Un veloce cenno di saluto per avvisarle della sua presenza.

Su una poltroncina poco distante ci sono delle bottiglie di acqua e a terra delle buste con del cibo e dei piccoli giocattoli. Yuval raccoglie tutto e va verso le donne intanto uscite con in mano il prezioso timbro israeliano. Offre loro dell’acqua, dona un giocattolo alla piccola e dritti verso l’auto parcheggiata all’esterno del valico, direzione Tel Aviv dove la piccola è attesa per cure oncologiche.

Yval Roth

Un taxi solidale. Yval Roth è il fondatore di “The Road to recovery”, organizzazione umanitaria nata nel 2006 e composta da migliaia di volontari israeliani impegnati a trasportare in ospedale, gratuitamente con le loro auto, i palestinesi – per lo più bambini – di Gaza e della Cisgiordania che hanno bisogno di cure mediche. Gli ospedali palestinesi non sono, infatti, all’altezza di quelli israeliani così quando si tratta malati gravi per curarsi è necessario entrare in Israele. Cosa per niente facile. L’iter è piuttosto complicato: il malato palestinese deve prima consultare il medico locale che lo invia ad uno specialista che potrebbe decidere il trattamento in Israele. A questo punto l’ufficio sanitario dell’Autorità palestinese dovrà autorizzare le cure – non prima di aver ottenuto il permesso da Israele e trovato l’ospedale cui indirizzare il malato e pagare poi le spese per le cure effettuate. Un processo che potrebbe richiedere settimane o mesi e spesso capita che le autorizzazioni finali da parte dell’esercito israeliano vengano rilasciate solo un giorno prima dell’appuntamento mettendo a rischio la visita. Inoltre, il paziente deve essere accompagnato solo da una persona anch’essa autorizzata dalle Autorità israeliane. E il permesso non viene dato alle persone giovani, così a farsi carico dell’accompagnamento, se non può essere uno dei genitori, sono spesso i nonni.

(Photo The Road to Recovery )

Ma i problemi non finiscono qui: i pazienti palestinesi non possono muoversi in Israele con le proprie auto per questo, in moltissimi casi, sono costretti a prendere dei taxi che hanno prezzi proibitivi per le loro tasche. Tariffe che vanno, a seconda della distanza, dai 40 agli oltre 100 euro a tratta. Costoso ma anche vantaggioso poiché muoversi su di un’auto con targa ‘Il’ (Israele) e con un ‘driver’ israeliano significa evitare check point e lunghi controlli.

(credits The Road to Recovery)

Ed è qui che entrano in gioco i volontari di “Road to Recovery”. “Abbiamo coordinatori a Gaza e in Cisgiordania che – spiega Yuval – ci segnalano i casi più urgenti. Ogni settimana si programmano i trasferimenti ‘per e dall’ospedale’ prelevando i malati con relativi accompagnatori nei diversi check point. Tra Gaza e Cisgiordania riusciamo a portare e riportare anche 140 persone al giorno”. Sono i numeri a dare la consistenza del servizio operato dai 2000 volontari dell’associazione. “La distanza totale percorsa dai nostri volontari, nel 2019, è stata di circa 1.260.000 km, frutto di oltre 10 mila viaggi con più di 20 mila pazienti, in maggioranza bambini”. Sono passati oramai 14 anni dal primo viaggio di Yuval “con un paziente palestinese di Gaza fino ad Haifa”.

“All’epoca, era il 2005, ricorda – partecipavo agli incontri del ‘Parents Circle Families”, un forum composto da israeliani e palestinesi che hanno perso dei familiari nel conflitto. Mio fratello, infatti, era stato ucciso dai terroristi di Hamas nel 1993. In uno di questi incontri ho avuto modo di conoscere una donna palestinese che aveva il fratello malato. Mi chiese se potevo accompagnarlo in ospedale in Israele per le cure. Così feci”.

“Fu quello il primo mattone di questa organizzazione no profit che oggi è ‘The Road to recovery’. Da allora questa avventura si è allargata anno dopo anno grazie anche alla generosità di tante persone. Ricordo che uno dei nostri primi benefattori è stato il famoso cantante canadese Leonard Cohen, morto nel 2016”.

Photo The Road to Recovery

Ma cosa vi dite quando siete in auto? “Sono viaggi in auto – risponde Yuval – poveri di parole ma ricchi di sorrisi e di sguardi. Normalmente non conosciamo le persone che trasportiamo. Quasi nessuno tra noi conosce l’arabo, se non poche parole. Lo stesso vale per i palestinesi con l’ebraico. Così

la cosa più immediata è il sorriso,

lo sguardo tenero rivolto soprattutto ai bambini. Nel viso del loro accompagnatore, genitore o nonno che sia, appare allora un sorriso di gratitudine e soprattutto un desiderio comune, quello di vivere una vita normale, sicura, pacifica e dignitosa. Fianco a fianco”. Come a dire che “non ci sono piani di pace e soluzioni che tengano se prima non viene rispettata la dignità degli uni e degli altri”. Ma intanto gli anni passano e la pace resta solo un miraggio. “Se credo nella pace? Certamente – afferma Yuval -, credo nella pace 24 ore su 24, ogni giorno. Aiutare le persone è un modo efficace di costruire la pace. Vado spesso nelle scuole a raccontare ai giovani la nostra esperienza e a ribadire che i nostri vicini palestinesi sono esseri umani. Sono fortemente convinto, infatti, che la nostra missione può generare amicizia e conoscenza tra i due popoli. Per noi di The Road to recovery, inoltre, è un modo per abbattere barriere religiose, sociali, politiche, culturali e soprattutto per

mostrare un altro volto di Israele che non è solo quello dei militari armati o dei coloni”.

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