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Contro la pandemia, a San Paolo del Brasile la vera “task force” è quella dei preti di strada

Il ruolo fondamentale del "preti di strada" a San Paolo del Brasile dove la gente si ammassa ancora sui mezzi pubblici. Sono proprio i sacerdoti a svolgere un ruolo fondamentale per accogliere, informare, sensibilizzare, aiutare i poveri, le categorie meno protette, gli abitanti delle favelas della più grande megalopoli del Sudamerica, fin dall’arrivo del coronavirus nel continente diventata la “capitale” latinoamericana del Covid-19. Chi opera con i poveri ha una sola preoccupazione: che il contagio non arrivi nelle strutture di accoglienza

La vera “task force” la stanno facendo loro: in una San Paolo del Brasile dove, al di là dei diversi proclami politici, la gente si ammassa ancora sui mezzi pubblici, i “preti di strada” hanno un ruolo fondamentale per accogliere, informare, sensibilizzare, aiutare le persone di strada, i poveri, le categorie meno protette, gli abitanti delle favelas della più grande megalopoli del Sudamerica, fin dall’arrivo del coronavirus nel continente diventata la “capitale” latinoamericana del Covid-19. A San Paolo, infatti, si sono verificati i primi casi di contagio e qui ci sono state le prime vittime. Ancora oggi, nel momento in cui il virus si è allargato a molte altre zone del Paese (il Nordest e in particolare il Pernambuco e la città di Manaus, nell’Amazzonia) le statistiche ufficiali dicono nello Stato di San Paolo ci sono circa 1.700 vittime sulle 4.300 di tutto il Paese e si concentra circa un terzo dei 63mila casi di contagio. Ma su San Paolo si concentra anche la polemica politica, tra il governatore João Doria e il presidente della Repubblica Jair Bolsonaro, che si ostina a minimizzare la portata della pandemia e ha licenziato nei giorni scorsi il ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta, fautore invece di una politica restrittiva.

Con la Missione Belém un intero palazzo per accogliere le persone di strada. In questo contesto, chi opera con i poveri ha una sola preoccupazione: che il contagio non arrivi nelle strutture di accoglienza, o nelle popolose favelas. “Sarebbe una catastrofe”, dice al Sir padre Giampietro Carraro, veneziano d’origine e fondatore della Missione Belém, attraverso la quale ha dato vita a 170 casa di accoglienza in tutto il mondo, 140 solo nell’immensa San Paolo, 60 nell’area centrale della città.

Padre Gianpietro Carraro

“In tutto ospitiamo 2.200 persone e 700 sono già malate, vogliamo in tutti i modi evitare che il virus arrivi al loro”.

Nelle scorse settimane Missione Belém ha aperto un centro per accogliere le persone di strada e mantenerle in isolamento, in un palazzo di dieci piani messo a disposizione dall’arcidiocesi. Lì è stata allestita anche un’infermeria con 72 letti e cinque medici volontari. Un servizio prezioso, nel momento in cui le autorità avevano invece deciso di chiudere un luogo di accoglienza nei pressi della cosiddetta Cracolândia, “la terra del crack” una specie di “buco nero” nel centro di San Paolo, alcune centinaia di metri quadrati diventate il regno degli spacciatori. Prosegue padre Carraro: “I dati che forniscono le autorità non sono veritieri, i numeri sono almeno quattro volte più alti, ce lo confermano alcuni medici che lavorano negli ospedali. Inoltre si fanno pochissimi tamponi, solo a coloro che hanno sintomi significativi, a coloro che vengono portate in terapia intensiva. Le altre persone che vanno in ospedale vengono solitamente rimandate a casa. Ci sono persone che muoiono, ma nessuno ha diagnosticato loro il Covid-19”.

Nessuna precauzione nell’inferno di Cracolândia. Difficile, allora, capire se e quanto il virus arrivi a chi vive sulla strada e nelle zone più degradate. “La strada – prosegue padre Carraro – non è quel luogo ‘poetico’ che qualcuno vorrebbe dipingere, qui da noi essa è sinonimo di alcol e droga. Nella Cracolândia non c’è alcuna prevenzione al contagio, girano alcol e droga, nessuno ha mascherine, ci possono essere anche 500 persone che insieme prendono il ‘crack’. Se poi uno resta a terra, mica si può sapere se c’entra anche il virus”.

Il sacerdote esprime preoccupazione per il servizio sanitario nel suo complesso, “anche se a San Paolo esistono i migliori ospedali dell’America Latina. C’erano 700 posti letto in terapia intensiva, hanno creato dei padiglioni in due stadi, per altri duemila posti di quella che possiamo chiamare terapia intensiva ‘light’. Duemila respiratori possono sembrare tanti, ma bisogna ricordare che San Paolo ha 14 milioni di abitanti, con l’hinterland si arriva a 35 o 26 milioni.

Il parroco nella favela di Paraisópolis. Dalla Cracolândia, passiamo alle favelas e in particolare a una delle più grandi di San Paolo, Paraisópolis, 98mila

Padre Luciano Borges

abitanti stimati, dove è parroco padre Luciano Borges, sacerdote dal grande entusiasmo e carica emotiva: “Siamo molto preoccupati – ci dice ricordando con commozione il periodo passato in Italia e la situazione attuale del nostro Paese -, Bolsonaro ha sbagliato, ha detto alla gente di andare a lavorare, ha pensato all’economia, è andato contromano. Qui la popolazione non ha capito l’importanza di stare in casa, di non muoversi. Per fortuna, finora non ci sono stati molti casi di Covid-19, ma si tratta di un virus molto pericoloso per la nostra gente. Se il contagio di diffondesse qui, non si saprebbe proprio cosa fare. Qui non esiste un ospedale, o un centro medico”. Una decina di contagi, in realtà già ci sarebbero stati e ci si prepara al peggio.

Difficile, del resto, “restare” in casa in un luogo di incredibile densità abitativa, con baracche di lamiera e abitazioni fatiscenti accatastate l’una sull’altra. “Qui il Governo non è mai intervenuto, non ha mai fatto niente e anche in questo frangente continua a non fare niente – prosegue padre Luciano -. Mancano infrastrutture, fognature, servizi igienici, il popolo soffre ed è malato, ci sono problemi di sicurezza e di droga”.

Paraisopolis, San Paolo del Brasile

Così, nelle favelas, paradossalmente, oltre ad alcuni lodevoli tentativi di auto-organizzazione, sono solo due gli attori, chiaramente non accostabili tra loro, che fanno qualcosa per mantenere l’ordine e alcune attenzioni:

o i gruppi di narcotrafficanti e spacciatori, o la Chiesa.

Come avviene a Paraisópolis, dove, spiega padre Borges, “nella parrocchia di San Giuseppe ci siamo organizzati per distribuire borse di alimenti e prodotti per la pulizia e l’igiene personale. E poi cerchiamo di fare opera di informazione e sensibilizzazione, oltre all’aspetto pastorale. Diffondiamo la Messa via Facebook e sono passato con il Santissimo, in automobile, per le strade della favela, a benedire il popolo”. Conclude il sacerdote: “Ho pregato e abbiamo pregato anche per l’Italia, ho vissuto in Toscana e ho chiesto alla Madonna di Aparecida di proteggere il vostro popolo”.

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