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Coronavirus Covid-19: dal Caritas Baby Hospital di Betlemme. Suor Corradin: “Andrà tutto bene!”

In una Betlemme "zona rossa", a lottare in prima linea contro il Coronavirus è il Caritas baby Hospital, l'unico ospedale pediatrico della Cisgiordania. Scelto dal Ministero della Sanità palestinese come uno dei laboratori certificati per i test diagnostici, nel nosocomio prestano da oltre 40 anni le suore terziarie francescane elisabettine di Padova. La testimonianza di suor Lucia Corradin

“Andrà tutto bene”: lo ripete più volte al telefono suor Lucia Corradin, religiosa veneta, da 18 anni a Betlemme dove presta la sua missione come Dirigente infermieristica presso il Caritas Baby Hospital, l’unico ospedale pediatrico della Cisgiordania.

Suor Lucia Corradin (Caritas Baby Hospital, Betlemme)

Uno slogan che sta accompagnando la quarantena di milioni di Italiani costretti in casa dalla epidemia di Coronavirus e che la religiosa fa suo anche per Betlemme. Soprattutto adesso che il Ministero della Sanità palestinese ha incaricato il laboratorio del Caritas Baby Hospital di effettuare i test per individuare eventuali positività al Covid-19 nel Governatorato di Betlemme.

In prima linea contro il Covid-19. “Le analisi vengono eseguite in locali predisposti, separati dall’ospedale pediatrico, applicando rigorosamente tutti i protocolli prescritti sia in ordine alla prevenzione del contagio sia al rispetto della privacy” spiega suor Lucia che appartiene alle suore terziarie francescane elisabettine di Padova, istituto che da oltre 40 anni porta avanti la sua missione nel Caritas Baby Hospital. “Così facendo l’ospedale pediatrico continua a funzionare regolarmente. Il Ministero della Sanità ha fiducia nella nostra struttura, nelle capacità del personale specializzato che vi opera. Per fare fronte all’emergenza coronavirus abbiamo messo a disposizione due nostri tecnici di laboratorio, altri tre sono stati mandati dal Ministero locale. Il servizio è garantito tutti i giorni”.

Le cifre dei contagi. Il numero dei contagi, riferito al 16 marzo dalle Autorità locali e confermati anche dalla religiosa, parla di 39 casi in Cisgiordania, di questi ben 37 solo nella zona di Betlemme. Cifra che trova spiegazione nella presenza, nei primi giorni di marzo, a Betlemme di un gruppo di pellegrini greci, trovati positivi al loro rientro in patria. La notifica della positività delle Autorità greche a quelle palestinesi ha spinto queste ultime a ritracciare tutti coloro che, a Betlemme, erano stati in contatto con i pellegrini ellenici.

I due casi restanti riguardano la città di Tulkarem. Per evitare la diffusione del contagio l’Autorità Palestinese ha messo in atto una serie di misure drastiche tra cui la chiusura della città di Betlemme. Anche moschee e chiese, come la basilica della Natività, sono state chiuse. Sforzi condivisi anche con Israele che ha denunciato, a sua volta, 277 contagi al 16 marzo. Ma, a differenza di Israele, i palestinesi non possono contare su strutture mediche adeguate e i pazienti vengono messi in quarantena, se non addirittura curati, negli hotel locali, oramai vuoti di pellegrini.

“Noi ci siamo”. Considerata la gravità della situazione, l’Autorità̀ nazionale palestinese ha deciso di aprire i laboratori certificati per i test diagnostici. Per il distretto di Betlemme, la scelta è caduta su quello del Caritas Baby Hospital, uno dei centri medici di eccellenza della Cisgiordania, le cui porte sono aperte, ogni giorno, senza interruzione, dal 1952 per bambini ammalati e per le madri, indipendentemente dalla loro religione e dalla loro estrazione sociale. Ogni anno dal poliambulatorio del Caritas Baby Hospital passano 48.000 bambini. Nei 74 letti dei reparti vengono accolti quasi 5.000 piccoli degenti. La promessa, “Noi ci siamo”, del suo fondatore, il prete svizzero Ernst Schnydrig, del medico palestinese Antoine Dabdoub e della cittadina svizzera Hedwig Vetter, continua ad essere mantenuta anche ora in piena emergenza sanitaria da Coronavirus.

Una guerra silente. “Sono a Betlemme da 18 anni – racconta la suora -. Sono arrivata subito dopo l’assedio della basilica della Natività. Trovai la città distrutta, segnata dalla guerra, dall’occupazione, costretta al coprifuoco. Oggi viviamo un altro tipo di guerra, non sentiamo gli spari, non vediamo le case distrutte, non vediamo i carri armati, ma

sentiamo questo virus strisciare in maniera silente, nascosta, pronto a colpire e fare le sue vittime tra la gente.

Nonostante ciò voglio osservare tutto questo con gli occhi della fede e della speranza, è un momento per andare più in profondità e riscoprire l’essenziale della vita e crescere in umanità, in solidarietà”.

Insieme ce la faremo. “Non nascondiamo la nostra preoccupazione per quanto sta avvenendo, soprattutto in Italia – dice suor Lucia – vi siamo vicini con la preghiera.

Questa emergenza ci coinvolge tutti. A Betlemme è nata la storia della salvezza e sentiamo tutta la responsabilità di portare nel cuore e nella preghiera quotidiana tutte le realtà toccate da questo flagello”.

“Anche noi – aggiunge – siamo in una zona rossa, non possiamo uscire, ma ci siamo. Non possiamo tradire chi ha creduto e crede in noi, le famiglie, i bambini, i malati. Ci stiamo impegnando a fondo e ringraziamo Dio per la sua presenza. Siamo certi che tutto passerà, anzi come dite in Italia, ‘Andrà tutto bene’. L’augurio è di rincontrarci qui, a Betlemme, dove tutto è nato, una volta che tutto sarà passato. È il nostro augurio, che vi giunga in Italia, che ci ha sempre sostenuto.

Insieme ce la faremo, la solidarietà e la condivisione tra i popoli vinceranno questo flagello”.

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