Nuovo record per l’occupazione. Tassinari (Acli): “Numeri in crescita, ma non illudiamoci. Il sistema-Paese è fortemente sussidiato”

“Se si fa un confronto col 2019, o comunque con i primi mesi del 2020, l’occupazione è cresciuta di circa 700mila unità. Questo è positivo, però bisogna fare un confronto serio: nel 2019 la spesa pubblica era inferiore di 170 miliardi di euro”, afferma il vicepresidente nazionale delle Acli con delega al Lavoro e al Terzo settore, commentando i dati diffusi ieri dall’Istat. “Se si analizzano nel dettaglio i numeri – spiega –, c’è tanta occupazione con bassi salari o poche ore lavorate. E questo riguarda soprattutto le donne”. E avverte: “La situazione è molto critica, anche perché siamo un Paese che sta deindustrializzando”

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

“I numeri dell’occupazione crescono ma questo non deve far illudere perché rispetto al 2019, considerato tutto lo sforzo che è stato fatto in questi anni per sostenere la nostra economia e il Paese, sono dati ancora bassi. Siamo in una situazione di crescita dell’occupazione, ma dentro un sistema-Paese fortemente sussidiato”. Così Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale delle Acli con delega al Lavoro e al Terzo settore, commenta al Sir i dati provvisori diffusi ieri dall’Istat su “Occupati e disoccupati” a febbraio 2024. Rispetto al mese precedente, sono aumentati gli occupati e i disoccupati, mentre hanno segnato una flessione gli inattivi. In un anno ci sono stati 351mila posti di lavoro in più, il che porta il totale degli occupati al record di 23,7 milioni; il tasso di occupazione è salito al 61,9%. L’aumento, sempre guardando al confronto annuo, coinvolge sia gli uomini (+1,4%) sia le donne (+1,6%) e tutte le classi d’età, eccezion fatta per i 15-24enni, categoria per la quale l’occupazione è in calo.

Come valutate i dati forniti ieri dall’Istat?
Se si fa un confronto col 2019, o comunque con i primi mesi del 2020, l’occupazione è cresciuta di circa 700mila unità. Questo è positivo, però bisogna fare un confronto serio: nel 2019 la spesa pubblica era inferiore di 170 miliardi di euro.

Nel 2023 lo Stato ha speso 1.150 miliardi di euro, di cui 120 in deficit, mentre nel 2019 ne aveva spesi 980. Nonostante questa sostanziosa differenza sono stati creati solo 700mila posti di lavoro, con una cifra così ne si sarebbero dovuti creare molti di più. Rapportandosi al periodo pre-pandemia, la nostra economia fa ancora molto fatica. E ne farebbe ancora di più se non fosse fortemente sussidiata.

I commenti ai dati sono stati in generale positivi. Condividete?
Se si analizzano nel dettaglio i numeri,

c’è tanta occupazione con bassi salari o poche ore lavorate. E questo riguarda soprattutto le donne.

Rispetto al 2019 non abbiamo recuperato quella che era la forza della nostra economia, perché i numeri che stiamo commentando sono fortemente “sussidiati”; è come se lo Stato avesse assunto direttamente, spendendo tantissimo ma assumendo poco. Se si fosse speso in maniera più mirata, per esempio sul piano straordinario dell’occupazione femminile, magari avremmo avuto una riduzione dello scarto del 18% tra occupati uomini e occupati donne.

Non c’è da essere troppo entusiasti, quindi…
Nonostante la rilevante spesa pubblica abbiamo grossissimi problemi dal punto di vista sociale; i dati evidenziano anche il fatto che non si è riusciti a colmare la distanza tra le percentuali di occupazione femminile e quelle di occupazione maschile. Questo polmone finanziario prima o poi finirà, anche perché il Pnrr si esaurirà; insomma

la situazione è molto critica, anche perché siamo un Paese che sta deindustrializzando.

Per quanto si sia ridotto il numero di occupati nell’industria sappiamo bene come sia un settore molto importante per la salute dell’economia del Paese; anche perché, mediamente, nelle industrie ci sono posti di lavoro più di qualità, meno sottopagati e meno precari. In altri settori, come nella ristorazione o nell’edilizia, c’è più nero.

C’è altro che vi preoccupa?

Un dato interessante che comincia a essere sottolineato in questi anni da diverse ricerche è che

c’è un calo della popolazione in età lavorativa: in quattro anni si è ridotta di 607mila persone, è come se ogni anno avessimo perso 150mila persone in età lavorativa. Alcune indagini dicono che da qua al 2036 ne perderemo 200mila l’anno. Questo avviene per il declino demografico ormai irreversibile del nostro Paese e porrà il problema, che crescerà sempre di più, della difficoltà per le aziende a reclutare mano d’opera.

Il declino demografico va a sommarsi al problema collegato alla formazione e alla specializzazione dei lavoratori, in un Paese nel quale negli ultimi 20 anni sono raddoppiati gli over 50 lavoratori, che ora sono circa 9,5 milioni. E poi non dobbiamo dimenticare un altro aspetto…

Quale?
Le aziende continuano a non trovare lavoratori. Si diceva che era colpa del Reddito di cittadinanza, ma una volta abolito proseguono comunque le difficoltà per le imprese. Questa fatica, in realtà, è figlia di una serie di fattori: primo fra tutti il declino demografico.

Con che conseguenze?
La nostra popolazione in età da lavoro comincia ad essere anziana e, per forza di cose, tendenzialmente meno incline ai cambiamenti, alle trasformazioni. Il Pnrr vuole affrontare le sfide della transizione ecologica e digitale, ma viene da chiedersi se abbiamo la popolazione predisposta. Un aspetto che sempre più accentuerà il proprio impatto.

Come Acli avete insistito molto sul lavoro povero…

Siamo convinti che il salario minimo, a livello europeo e quindi anche in Italia, vada introdotto immediatamente.

Le norme sul salario minimo europeo servono anche per frenare il dumping tra i Paesi ed evitare concorrenze sleali.

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