Cinema e piattaforme. Arrivano “The Old Oak”, la serie “The Crown 6” e il prequel di “Hunger Games”

Un weekend ricco di interessanti novità. Anzitutto il film di Ken Loach “The Old Oak”: una storia ambientata nell’Inghilterra del Nord, dove una comunità di ex minatori è chiamata alla sfida dell’accoglienza di profughi siriani. Svelati, poi, i primi 4 episodi “The Crown 6”, serie di punta di Netflix che racconta la corona inglese sotto Elisabetta II. Infine, “La ballata dell'usignolo e del serpente” diretto da Francis Lawrence, adattamento del romanzo di Suzanne Collins. Il punto Cnvf-Sir

(Foto: Lucky Red)

Un weekend ricco di interessanti novità tra cinema e piattaforme. Anzitutto in sala con Lucky Red l’ultimo, bellissimo, film di Ken Loach “The Old Oak”: una storia ambientata nell’Inghilterra del Nord, dove una comunità di ex minatori è chiamata alla sfida dell’accoglienza di profughi siriani. Ad appianare diffidenze sono dei pranzi della domenica organizzati dal proprietario di un pub e da una giovane siriana. Cinema di impegno civile, duro e poetico, che rimette al centro la speranza. Svelati, poi, i primi 4 episodi “The Crown 6”, serie di punta di Netflix che racconta la corona inglese sotto Elisabetta II: l’attenzione è rivolta a Lady Diana, al suo tragico incidente che ha sconvolto la famiglia reale e il mondo intero. La scrittura di Peter Morgan si conferma eccellente. Infine, l’atteso prequel della saga “Hunger Games” (2012-15): è al cinema “La ballata dell’usignolo e del serpente” diretto da Francis Lawrence, adattamento del romanzo di Suzanne Collins. Un racconto avventuroso serrato e feroce, con protagonisti Tom Blyth, Rachel Zegler, Peter Dinklage e una magnifica Viola Davis.

Il punto Cnvf-Sir

“The Old Oak” (al cinema dal 16 novembre)

Il regista britannico Ken Loach, all’età di 87 anni e con una filmografia densa di titoli significativi, due volte Palma d’oro a Cannes, non ha di certo bisogno di presentazioni. È un punto di riferimento nel cinema di impegno civile, attento alla condizione degli ultimi, tra lavoratori precari e disoccupati. Con i suoi precedenti titoli Io, Daniel Blake” (2016) e “Sorry We Missed You” (2019) ci aveva consegnato delle suggestioni struggenti sulla società inglese ed europea, un quadro senza apparente possibilità di salvezza. Nel 2023 il regista è tornato dietro alla macchina con “The Old Oak”, raccontando una storia di sofferenza ma anche di ritrovata fiducia. A firmare il copione è lo stesso Loach con il fidato Paul Laverty.

(Foto: Lucky Red)

La storia. Siamo nel 2016 in Inghilterra del Nord, in una cittadina un tempo legata all’attività mineraria e ora con un’economia implosa, segnata da povertà e diffusa disoccupazione. Quando arrivano delle famiglie di profughi siriani, gli abitanti rispondono con freddezza: c’è paura, non tanto del “diverso”, quanto di nuove bocche da sfamare. E così si verificano episodi di odio e intolleranza. A dare un cambio di passo alla situazione sono il proprietario di un pub della zona, TJ Ballantyne (Dave Turner), e una ragazza siriana, Yara (Ebla Mari). Insieme organizzano dei pranzi domenicali per la comunità. Da lì (ri)parte il dialogo, il cammino di convivenza solidale…

(Foto: Lucky Red)

Si esce ogni volta un po’ sottosopra, a livello emotivo, dalla proiezione di un film di Ken Loach. Il regista britannico picchia duro, invitandoci a guardare nelle zone d’ombra della società. Con “The Old Oak” Loach ci regala un altro magnifico quadro sociale, livido sì ma anche denso di speranza. Ci parla di ultimi, del nostro presente, tra lavoratori in affanno, nuovi poveri e migranti siriani. Un’umanità che sulle prime fatica ad andare d’accordo, a causa di pregiudizi e timori. A unire alla fine è il coraggio della speranza, quella di una giovane fotografa siriana e di un cinquantenne inglese. È una tavola imbandita di cibo e storie di radici, tradizioni, in un vecchio pub; lì si forma una nuova comunità, rigenerata e includente. Sboccia finalmente l’armonia, quella che ben riassume la frase ricorrente nel film: “When We Eat Together, We Stick Together”.

“Quando mangiamo insieme, siamo davvero uniti. Formiamo una comunità”.

Ken Loach si conferma un granitico avamposto per i diritti dimenticati, custode di un’umanità disgraziata; maestro di un cinema di impegno civile che scuote lo sguardo e cura l’animo distratto. “The Old Oak” è consigliabile, problematico, per dibattiti.

“The Crown 6 – Prima parte” (su Netflix, dal 16 novmbre)

Dal 2016 “The Crown” rappresenta una perla nella library di Netflix. La serie britannica, sul regno di Elisabetta II e la casa reale Windsor, firmata dalla penna geniale di Peter Morgan, è un unicum nel panorama televisivo del nuovo millennio, capace di unire la solidità di un racconto storico con il trasporto di un efficace e avvincente thriller politico-sentimentale. Nel 2023 Netflix ha deciso di dividere la sesta e ultima stagione in due parti: i primi quattro episodi dal 16 novembre e i restanti sei dal 14 dicembre. Alla base di tale scelta non c’è (solo) una strategia di marketing. Separare infatti il racconto in due atti permette di dare un’adeguata attenzione alla storia e figura di lady Diana, alla sua tragica scomparsa nell’estate del 1997, riservando alla seconda parte della serie il congedo da Elisabetta II.

(Foto: The Crown – Netflix)

La storia. Estate 1997, Lady Diana ormai lontana dal principe Carlo si ritaglia una vacanza con i figli William e Harry a Saint-Tropez, nella villa dell’imprenditore Mohamed Al-Fayed. Lì conosce suo figlio Dodi. I due vivranno una nascente intesa tallonati da plotoni di fotografi…

Si registra un felice cambio di passo rispetto alla quinta stagione di “The Crown”, un po’ sottotono rispetto alle precedenti. In “The Crown 6” ritroviamo tutta l’elevata qualità del racconto, come pure della messa in scena e della ricostruzione storica, della fotografia e delle musiche composte da Martin Phipps. A imprimere un sigillo di qualità è soprattutto la penna di Peter Morgan, puntuale, acuta ed elegante.

(Foto: The Crown – Netflix)

Punto di forza della serie sono di certo le interpretazioni. Elizabeth Debicki nel ruolo di Lady Diana è ancora più brava, capace di tratteggiare la principessa di Galles con maggiore controllo, attenta a tutte le sfumature emotive in campo. A ben vedere, l’altro grande protagonista di “The Crown 6” risulta il principe Carlo (un ottimo Dominic West!), che si mostra sì sovrastato dal dolore per la morte dell’ex moglie, ma anche capace di fronteggiare la reticenza della corona, della madre Elisabetta II, nell’approvare un funerale pubblico. E in questo si riscontra una parziale differenza rispetto alla traiettoria del film “The Queen” (2006) di Stephen Frears, dove veniva dato maggiore spazio all’intervento del primo ministro Tony Blair.

(Foto: The Crown – Netflix)

Infine, la regina Elisabetta II è ancora una volta Imelda Staunton: qui la grandissima attrice britannica sembra più consapevole del ruolo, più dentro al personaggio rispetto a “The Crown 5”, dove aveva impresso un eccesso di emotività alla sovrana. Nei primi episodi della sesta stagione la Staunton riesce con abilità a fondere introspezione e tempra regale, umanità e doveri istituzionali, ribadendo puntualmente che “the Crown must always win…”. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.

“Hunger Games. La ballata dell’usignolo e del serpente” (al cinema dal 15 novembre)

Otto anni dopo la fine della saga cinematografica “Hunger Games” (2012-15) ecco riaccendersi i riflettori sulla storia di Panem. È “La ballata dell’usignolo e del serpente”, prequel nato sempre dalla penna di Suzanne Collins che vede alla regia ancora una volta Francis Lawrence, al timone da “La ragazza di fuoco” del 2013. Nelle sale italiane con Notorius e Medusa Film.

(Foto: Murray Close)

La storia. Sessant’anni prima degli eventi che vedono protagonista Katniss Everdeen, a Capitol City è in corso la X edizione degli Hunger Games. Tra gli studenti più in vista della città c’è il diciottenne Coriolanus Snow (Tom Blyth), chiamato con alcuni suoi pari a fare da mentore ai ragazzi sorteggiati per i feroci giochi. Coriolanus dovrà preparare la combattiva Lucy Gray Baird (Rachel Zegler) proveniente dal Distretto 12, aiutandola a superare le difficoltà messe a punto dalla spregiudicata scienziata Volumnia Gaul (Viola Davis)…

Anche senza la presenza dell’eroina Katniss Everdeen, “Hunger Games” sembra funzionare abbastanza bene. “La ballata dell’usignolo e del serpente” si conferma un ottimo prequel per la qualità della messa in scena, la regia collaudata di Francis Lawrence, la caratterizzazione dei personaggi e le musiche di James Newton Howard. Tra gli interpreti spicca Viola Davis, in un ruolo scomodo, estremo. Il film, come ogni titolo del ciclo “Hunger Games”, offre una suggestione feroce della nostra società, un’allegoria livida di un’umanità senza bussola, deragliata, in un domani distopico.

(Foto: Murray Close)

L’opera affronta la genesi del male, la vertigine della corruzione interiore: approfondisce il momento in cui il giovane Coriolanus Snow, erede di una nobile dinastia caduta in povertà, decide di sposare il male senza ritorno per ribellarsi alla propria amara sorte. “La ballata dell’usignolo e del serpente” offre uno sguardo intenso e fosco giocato tra realismo e fantastico, con chiari rimandi al bellissimo e sfidante “Joker” di Todd Phillips. Un quadro angosciante, con timidi lampi di speranza. In questo, manca sì una figura luminosa come Katniss temperare il buio del racconto. Complesso, problematico, per dibattiti.

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