Piantedosi: “Nuovo Patto su migrazione e asilo per superare le regole di Dublino”

Intervista al ministro dell’Interno, che guarda avanti: il fenomeno migratorio è cambiato. Ma rivendica i decreti del governo La preoccupazione per la sicurezza interna dopo l’attacco di Hamas

(Foto ANSA/SIR)

A oltre 20 anni dalle norme quadro introdotte dalle leggi Turco-Napolitano e modificate dalla Bossi-Fini, i tempi sono maturi per un nuovo testo unico sull’immigrazione? Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi risponde così: “Il fenomeno migratorio è cambiato nel tempo, come le cause che lo alimentano. Le leggi che lo regolano possono quindi essere cambiate ed adeguate ai tempi, purché questo non avvenga solo per sterili posizioni ideologiche”. Le regole sul Paese di primo ingresso per la richiesta d’asilo? Cambieranno, perché “il nuovo Patto su migrazione e asilo su cui abbiamo trovato l’intesa costituirà il sostanziale superamento delle regole di Dublino, definite antistoriche anche dal nostro presidente Mattarella”. Il titolare del Viminale è in continuo movimento. Passa da un vertice europeo a un comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. Quando Avvenire lo ricontatta per concludere un colloquio a distanza iniziato nei giorni scorsi, sta per decollare verso Reggio Calabria. Nelle stesse ore, il conflitto scoppiato in Israele ha fatto salire il livello di prevenzione antiterrorismo: “C’è grande attenzione sul fronte della prevenzione. Il contesto internazionale è critico e preoccupante e ci attende una fase difficile – considera il titolare del Viminale -. C’è il massimo impegno degli apparati dello Stato per tutelare la sicurezza dei cittadini. Tutte le prefetture hanno già disposto il rafforzamento delle misure a protezione degli obiettivi ritenuti sensibili e del dispositivo di prevenzione generale”. Da qui, il colloquio si dipana lungo la direttrice delle politiche migratorie, cardine del programma del governo Meloni e fra gli ambiti di competenza dell’Interno. Per Piantedosi, i risultati del Consiglio europeo informale di Granada – nonostante il muro alzato da Polonia e Ungheria – sono un passo in avanti dell’Ue verso un cambiamento di paradigma nella gestione dei flussi di profughi e richiedenti asilo: “Abbiamo ottenuto che decisioni importanti non venissero prese senza il voto dell’Italia, che ha saputo svolgere una funzione determinante in un contesto in cui bisogna trovare delicati ed equilibrati punti di mediazione. La nuova prospettiva europea in tema di immigrazione è importante – afferma Piantedosi – perché fa riferimento alla necessaria solidarietà nei confronti dei Paesi di primo ingresso. I punti declinati dalla presidente Von der Leyen a Lampedusa costituiscono i cardini della futura azione dell’Europa, concordati col governo italiano”. E si fondano “prioritariamente sull’obiettivo della prevenzione della partenze, prefigurando” pure, sostiene, “la possibilità di una missione navale europea”. L’esecutivo continua a insistere sul fatto che bisogna arrestare i flussi. Ma, superata quota 130mila arrivi da gennaio, la stessa premier Meloni ha ammesso: i risultati non sono quelli che speravamo.

Perché? Cosa non sta funzionando nel programma del governo, ministro?
Condivido le valutazioni della premier Meloni, che trovano evidenza nei numeri delle persone arrivate sino ad oggi. Stiamo affrontando una delle più gravi crisi sociali ed economiche in alcuni Paesi del continente africano. E gli ingressi irregolari sono crescenti anche sulle rotte che interessano altri Paesi europei di primo ingresso. Abbiamo gestito questo afflusso straordinario con efficaci misure mai adottate in precedenza. L’obiettivo che continuiamo a prefiggerci è quello della prevenzione delle partenze.

Davvero lo ritiene possibile?
Il grande lavoro che stiamo svolgendo sugli scenari internazionali, in particolare da parte del presidente Meloni, porterà quanto prima a quelle soluzioni stabili e durature a cui la stessa premier ha fatto riferimento.

Nel frattempo in Italia il governo continua a varare norme restrittive a suon di decreti. Ma i tribunali – da Catania a Firenze – le bocciano, perché in contrasto col quadro costituzionale ed europeo. Non ritenete necessarie correzioni di rotta?
Le decisioni balzate all’attenzione della stampa sono circoscritte, anche territorialmente, e limitate a casi per i quali faremo impugnazione. In generale, nell’assoluta maggioranza dei casi, le decisioni da noi assunte trovano riscontro anche in sede giudiziaria.

Dunque non cambierete approccio?
I provvedimenti del governo sono ponderati nell’ambito della cornice europea, in un bilanciamento tra esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali delle persone. E continueranno ad esserlo.

La sentenza di Catania ha portato con sé uno strascico polemico, relativo alla presenza della giudice Apostolico in una manifestazione del 2018, ripresa in alcuni video. Come escono fuori quelle immagini, 5 anni dopo?
Ci sono diversi video, effettuati da più parti in quella che era una manifestazione “pubblica”. Ogni ipotesi di dossieraggio o cose simili è pertanto priva di fondamento. Ed è singolare invocare garanzie di privacy in relazione ad occasioni “pubbliche”. Se un magistrato, un funzionario pubblico o chi svolge una funzione caratterizzata da terzietà non vuole apparire “di parte”, non deve fare altro che evitare di manifestare le proprie opinioni su argomenti divisivi.

Alcune sentenze ritengono la Tunisia un Paese “non sicuro”. Ciò non smonta uno dei cardini dell’impalcatura di governo? Cosa accadrà se i 14mila tunisini giunti da gennaio ricorreranno contro decisioni avverse delle commissioni territoriali, in caso di protezione negata?
Come osservato da autorevoli giuristi, non compete a un singolo giudice definire un Paese sicuro o meno. La Tunisia è ritenuta tale in base a una determinazione interministeriale, adottata secondo la legge italiana che si richiama alla normativa europea e che costituisce l’esito di un’articolata istruttoria.

E la cauzione di 5mila euro chiesta a richiedenti asilo per evitare il trattenimento non le pare beffarda?
Si è resa necessaria per adempiere ad una previsione della normativa europea. Trovo singolare la disinvoltura con cui si passa da una richiesta di rispettare l’ordinamento europeo a valutazioni tese, invece, a prescinderne, se non si condividono quelle stesse norme.

A Marsiglia Papa Francesco ha definito “gesti di odio” quelli di chi “impedisce” alle navi delle ong di andare in mare per salvare i migranti. Perché il governo italiano continua a ritenere problematica l’attività degli enti umanitari che effettuano salvataggi in mare?
Non si è mai trattato di pregiudizio, ma solo della necessità di dare regole ad una attività, quella della ricerca e del salvataggio in mare, caratterizzata da particolare delicatezza. Nulla di più.

Le tensioni a Ventimiglia con la Francia sono terminate?
A Ventimiglia abbiamo rinnovato piena collaborazione con la Francia per controllare quel tratto di frontiera. E col collega francese Darmanin ho sottoscritto a Palermo un’intesa di cooperazione per la costituzione di una cabina di regia tra le nostre forze di polizia.

Riguardo alla stesura della mappa dei nuovi Cpr, la contrarietà di alcuni governatori e sindaci non pare superata…
I Cpr sono prescritti anch’essi dalla normativa europea. Sono strutture utili per rimpatriare cittadini stranieri irregolari che hanno manifestato elementi di pericolosità o hanno commesso reati, secondo una valutazione sul trattenimento che viene sottoposta al vaglio della autorità giudiziaria. Andremo avanti nella realizzazione del piano, ricercando il più possibile la condivisione degli amministratori delle località interessate.

Com’è noto, il governo ha varato un decreto flussi triennale per l’ingresso di 452mila lavoratori immigrati. Ma non c’è il rischio che le pratiche siano lente come quelle della sanatoria 2020 per carenza di addetti del Viminale?
La rete territoriale delle prefetture ha dato prova di una buona capacità di lavoro nella gestione dell’ultimo decreto flussi, anche grazie ad alcune semplificazioni procedurali introdotte col decreto legge Cutro. Prima di noi, si facevano le sanatorie ma poi si aggravavano le procedure. Noi siamo contrari alle sanatorie, ma semplifichiamo le procedure per gli ingressi regolari. Ciò detto, gli obiettivi di rafforzamento delle strutture del ministero dell’Interno sono tra i primi posti degli obiettivi dell’esecutivo e saranno valutati nella prossima legge di bilancio.

Lei è finito nella bufera mediatica per affermazioni come “carico residuale” o come quelle sui “viaggi pericolosi” da non intraprendere, all’indomani del naufragio di Cutro. C’è qualcosa che le piacerebbe chiarire?
Ho capito che, se una frase viene decontestualizzata o modificata ad arte, può diventare veicolo di messaggi opposti rispetto al contenuto che si voleva esprimere. L’espressione “carico residuale” non l’ho letteralmente mai usata, è una artificiosa forzatura che tradisce il senso di quanto avevo detto. Alcuni giornali hanno persino sostenuto che avrei usato quest’espressione riferendomi ai superstiti del naufragio di Cutro, avvenuto mesi dopo. Se ne stanno occupando i miei avvocati. Per il resto, la mia storia personale parla da sola.

Gli scontri a Torino hanno mostrato ancora una volta scene di agenti di polizia che manganellano manifestanti. Per il prefetto di Torino Cafagna, era “un intervento dovuto”. Condivide quella valutazione?
Non c’è alcun interesse a utilizzare la forza pubblica, se non in casi estremi in cui si è costretti a farlo per tutelare la libertà di manifestare da parte di tutti e la libertà di tutti di esprimere il proprio pensiero pacificamente. A Torino, l’intervento si è reso necessario per garantire il regolare svolgimento di un evento pubblico, a cui partecipavano autorità istituzionali e numerosi cittadini. A volerlo impedire era una minoranza di trecento persone. La Polizia ha saputo contenere al minimo il rischio di incidenti nonostante le provocazioni di alcuni noti agitatori, che hanno cercato di strumentalizzare i giovani manifestanti. E alcuni agenti sono rimasti feriti.

Dica la verità: si sente ancora un “tecnico prestato alla politica”? E Matteo Salvini è tuttora il suo ancoraggio politico alla maggioranza?
Il ruolo del ministro dell’Interno è inevitabilmente a forte caratterizzazione politica. Ciò detto, mi sembra un tema inconsistente, come le illazioni sulla presunta maggiore vicinanza all’uno o all’altro leader politico oppure, al contrario, sulla distanza che mi separava dagli uni o dagli altri, fino ai presunti “commissariamenti” e altre sciocchezze del genere. Ne sorridiamo nelle riunioni di governo, nella consapevolezza che si tratta di tentativi per minare la compattezza tra noi. Una volta la notizia di una mia presunta rottura con un collega di governo ci raggiunse mentre, con lui stesso, eravamo a cena con comuni amici: potete immaginare l’ilarità che ne seguì.

(*) Avvenire

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