Come vogliamo vivere quest’anno?

Immaginiamo la nostra vita che si snoda su una strada. Se analizziamo il nostro comportamento, ci accorgiamo che spesso camminiamo distratti e non ci poniamo delle domande. Solo quando rientriamo in noi stessi, siamo capaci di chiederci dove stiamo andando e dove ci porta il cammino

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

Immaginiamo la nostra vita che si snoda su una strada. Se analizziamo il nostro comportamento, ci accorgiamo che spesso camminiamo distratti e non ci poniamo delle domande. Solo quando rientriamo in noi stessi, siamo capaci di chiederci dove stiamo andando e dove ci porta il cammino.
Incominciando ad ascoltare il profondo, possiamo trovarci sulla soglia del Mistero ed accogliere le domande che interrogano la nostra esistenza. Allora avvertiamo l’urgenza di prendere la vita tra le nostre mani per qualificarla, per darle un senso. Scopriamo, lungo il cammino, che di tanto in tanto bisogna fermarsi, riguardare le coordinate geografiche del nostro esistere per confermare, rettificare o addirittura cambiare strada e chiederci se la via imbroccata è quella che ci permette di raggiungere la pienezza di vita.
Noi che facciamo parte dell’oggi di Dio e dell’umanità, siamo chiamati ogni momento a scegliere se vivere per noi stessi o secondo il Vangelo di Gesù Cristo. Se prendiamo la vita sul serio, non possiamo arrenderci di fronte ad una mentalità corrente che propone di far lievitare il nostro io a dismisura, di vivere uno sradicamento relazionale umano che ci permette di navigare da un luogo all’altro, senza avere un contatto reale con gli altri, con la terra.
Se Papa Francesco, rivolto ai giovani a Panama, afferma che “è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra e che è facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi”, domandiamoci quali sono le nostre radici.

Consumare il presente, senza un obiettivo da raggiungere, è non percepire la bellezza della vita che scorre nel qui e ora. Il rischio di collocare in uno spazio il proprio io, e non la persona, ci porta pian piano a diventare padroni di tutto ciò che incontriamo, di identificarci con il potere che consente di controllare nell’area ogni mossa percepita.

Quale significato ha per noi cristiani l’affermazione di Papa Francesco riguardo al tempo che è superiore allo spazio (EG 222-225)?
Vivere la propria esistenza nel tempo è immettersi nelle coordinate nell’infinto di Dio e ciò richiede fede, fiducia e abbandono. La fede è riporre la nostra vita nel cuore di Qualcuno che ci ama di amore eterno. La fiducia fa sentire sulla pelle che possiamo fidarci di Dio, poiché in tanti momenti ci ha fatto sperimentare la sua reale vicinanza, anche quando non abbiamo capito gli eventi. L’abbandono è lasciarsi guidare costantemente dal Signore che ha progetti di pace e veglia sempre sul nostro cammino.
La sosta è importate per ritrovare il senso della propria vita e raddrizzare l’orientamento esistenziale alla presenza di Dio. É la condizione per rimanere in relazione con il Figlio suo e con tutti, incarnando il Vangelo ovunque.
Tenendo lo sguardo fisso su Gesù, ci accorgiamo del superfluo che rallenta il nostro percorso, di ciò che ci rende incapaci di silenzio, di attenzione, di ascolto, di contemplazione, di stupore, di relazioni.

L’accumulo di tesori fatui non ci fa cogliere la bellezza nel creato, né ci rende consapevoli dei nostri isolamenti abitudinari che abbrutiscono la condizione umana, della nostra indifferenza verso gli altri e soprattutto della vita che ci sfugge dalle mani…

Dedicando del tempo alla riflessione, scegliamo di liberarci di tutto ciò che non consente di vivere per Qualcuno, senso delle relazioni e motivo trainante per custodire il bene comune.
Spesso anche noi cristiani viviamo secondo il pensiero fluido. Siamo alla ricerca della realizzazione individuale, di chi ci conferma, di chi ci applaude. Tutto parte da noi e tutto finisce con noi: chi non appartiene alla schiera idolatrante viene rifiutato come scarto.
Facciamo fatica a camminare con gli altri per aprire insieme dei processi che consentono non solo di vivere il Vangelo, ma anche di portare ovunque la prossimità, la fratellanza, la gioia, la giustizia e la pace…Spesso stiamo a guardare e non ci sporchiamo le mani per amore!
In questa tempo anche per noi credenti spesso non c’è posto per Dio: viviamo di religiosità e non riusciamo più ad integrare la fede con la vita.
È giunto il momento propizio per fermarci per capire dove ci troviamo. La sosta ci permetterà di scoprire che non siamo soli nel cammino della vita, perché, come i discepoli di Emmaus, siamo accompagnati da Gesù, anche quando non ci accorgiamo. Egli ci fa cogliere la presenza degli altri, ci spinge a chiedere loro di camminare insieme, per colmare di bene i vuoti che possiamo incontrare lungo la via, scoprendoci fratelli e sorelle a servizio di un mondo che ha fame e sete di umanità, di Dio.
Il Signore ci apre continuamente la strada: sta a noi scoprirla e percorrerla.

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