Venezia80. In Concorso “Lubo” di Giorgio Diritti e “Holly” di Fien Troch

Penultimo giorno di Concorso alla Mostra del Cinema. Al Lido arriva il sesto e ultimo regista italiano, Giorgio Diritti, che presenta il film “Lubo” dal romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore. È il racconto, attraverso la figura del nomade Lubo, delle sofferenze e discriminazioni della comunità Jenisch in Svizzera tra la Seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra. Ancora, a Venezia80 è il giorno del dramma mistico-adolescenziale “Holly” della regista belga Fien Troch. Il ritratto di una ragazza che sembra avere un dono speciale. Infine, il regista, sceneggiatore e produttore Mario Martone viene insignito del Premio Robert Bresson

(Actor_Franz_Rogowski__Credits_Francesca_Scorzoni)

Penultimo giorno di Concorso alla Mostra del Cinema. Al Lido arriva il sesto e ultimo regista italiano, Giorgio Diritti, che presenta il film “Lubo” dal romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore. È il racconto, attraverso la figura del nomade Lubo, delle sofferenze e discriminazioni impartite alla comunità Jenisch in Svizzera tra la Seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra. Diritti compone un affresco dolente, che accosta note da thriller storico a sguardi sociali ed esistenziali giocati tra il mélo e il poetico. Protagonisti Franz Rogowski e Valentina Bellè. Ancora, a Venezia80 è il giorno del dramma mistico-adolescenziale “Holly” della regista belga Fien Troch. Il ritratto di una ragazza che sembra avere un dono speciale: è capace di lenire le sofferenze delle persone con il solo tocco della mano. Nella piccola comunità in cui vive Holly è vista in primis con sospetto poi come riparatrice delle fratture dell’anima. Nel film trovano posto anche temi come solitudine e bullismo. Infine, il regista, sceneggiatore e produttore Mario Martone viene insignito del Premio Robert Bresson. Il commento di Massimo Giraldi. Il punto Cnvf-Sir.

“Lubo” – In Concorso
Bolognese classe 1959, il regista-sceneggiatore Giorgio Diritti in quasi vent’anni di attività cinematografico ha diretto solo una manciata di film, tutti accolti con grande successo da critica e pubblico: dall’acclamato “Il vento fa il suo giro” (2005) a “L’uomo che verrà” (2009), non dimenticano il pluripremiato “Volevo nascondermi” (2020), biopic sul pittore Antonio Ligabue, con cui ha ottenuto un premio alla Berlinale e ben sette David di Donatello, compreso quello per il miglior film. A Venezia arriva in gara con “Lubo”, dal romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore, adattato per lo schermo dallo stesso Diritti insieme a Fredo Valla.

La storia. Svizzera 1939, Lubo è un nomade Jenisch che sta viaggiando con la moglie e i suoi tre figli di città in città, cimentandosi in spettacoli come artista di strada. Lungo la via l’esercito elvetico gli intima di abbandonare la famiglia e di presentarsi alla leva obbligatoria. Sotto le armi Lubo tenta la fuga, rubando l’identità di un commerciante austriaco: vuole a tutti costi ricongiungersi con i figli, forzatamente reclusi in istituti per l’infanzia. Inizia così un viaggio sotto mentite spoglie che si protrarrà nel corso del decennio ’50, dove Lubo farà i conti con le sue bugie ma anche con scomode verità ai danni della popolazione Jenisch.

(Actor_Franz_Rogowski__Credits_Francesca_Scorzoni)

“La lettura del romanzo ‘Il seminatore’ – racconta il regista – mi ha svelato vicende poco conosciute accadute in Svizzera per cinquanta anni, portandomi a riflettere sul senso di giustizia, sulle istituzioni, sul senso dell’educare e dell’amare. Ne è nato il film Lubo, da cui nello svolgersi degli eventi emerge quanto principi folli e leggi discriminatorie generino un male che si espande come una macchia d’olio nel tempo, penetrando nelle vite degli uomini, modificandone i percorsi, i valori, generando dolore, rabbia, violenza, ambiguità…”.

Diritti firma un’opera dove alterna racconto storico, indagine civile e sguardi introspettivi. Pedinando la figura del nomade Lubo si sposta con lo sguardo, la macchina da presa, tra memoria storica della guerra e sofferenze del singolo, un rifiutato dalla società. Lubo è il “diverso”, perché nomade, dunque apprezzato solo per far numero in battaglia ma non per godere di diritti civili. Gli vengono strappati i figli senza motivazioni, senza mai fornire scuse. L’uomo precipita in una vertigine di sofferenze che lo portano a lasciarsi contaminare dal male: viene ferito dalla vita e al contempo ferisce senza esitazione. Il film “Lubo” è una storia drammatica di vinti, senza che ci sia una chiara identificazione tra buoni e cattivi, tra giusti o sbagliati.

Diritti affascina per la qualità della sua regia, dal respiro contemplativo e poetico. Il modo in cui dirige è sempre il punto di forza del racconto, perché sa imprimere intensità e lirismo alle immagini. L’opera nell’insieme sconta però un’eccessiva lunghezza, ben 180 minuti, e anche una narrazione un po’ ondivaga, limitando la messa a fuoco del tema portante. Per l’attore Franz Rogowski è l’occasione della carriera. Ottima anche la prova di Valentina Bellè, nel ruolo della cameriera Margherita amata da Lubo. Film complesso, problematico, per dibattiti.

“Holly” – In Concorso
Belga classe 1978, la regista-sceneggiatrice Fien Troch è di casa a Venezia. Nel 2016 ha partecipato alla sezione Orizzonti con “Home” vincendo il premio per la miglior regia. A distanza di sette anni torna al Lido nel Concorso principale presentando il dramma dalle sfumature mistiche “Holly”. Protagonista la giovane Cathalina Geeraerts.

La storia. Belgio oggi. Holly è una quindicenne solitaria, che condivide le sue giornate insieme ai fratelli. Un giorno avverte uno stato di malessere e chiama la scuola comunicando l’impossibilità di andare; in quello stesso giorno si verifica un incendio a scuola in cui perdono la vita diversi studenti. Subito dopo si diffonde la voce che Holly abbia poteri di premonizione e di guarigione dai traumi dell’anima, così piano piano la comunità scolastica e locale farà la fila per accostarsi alla giovane, per ricevere una sua carezza. Ma accanto a questo esplodono anche isteria e bullismo che rendono la vita di Holly claustrofobica.

“Holly – sottolinea Fien Troch – è ambientato in una comunità che ha appena subito un forte trauma. In questo contesto la comunità proietta inconsciamente sul personaggio di Holly i propri bisogni e le proprie convinzioni. Credo che la dinamica di gruppo sia fondamentale in questo processo. Volevo dare vita a un’esperienza filmica schizofrenica combinando il dolore con la pazzia dei personaggi e delle situazioni”.

La regista realizza un affresco della società belga odierna attraverso un’istantanea drammatica che si muove tra sospetto e misticismo. Non ci permette di capire pienamente chi sia davvero Holly e quali poteri speciali possegga. Il dato chiaro è lo sguardo della comunità locale, che da un lato si aggrappa alla fragile speranza che questa ragazza possa essere una guaritrice di anime dall’altro le riversa contro astio, paure e invidie. Holly è sia l’amuleto che il bersaglio comune.

Fien Troch orchestra un film enigmatico che genera sulle prime fascino ma alla lunga stanchezza, perché non riesce ad alimentare adeguatamente la storia con contenuti convincenti. Il ritmo del racconto è abbastanza lento, perdendosi qua e là in lungaggini. Non è male lo sguardo in chiaroscuro sull’adolescenza, sulle esperienze di emarginazione dal gruppo e manifestazioni di violenza che sfociano in allarmanti episodi di bullismo. Film complesso, problematico, adatto per dibattiti.

La nota critica di Massimo Giraldi. A Mario Martone il Premio Bresson
“Importante e giusto il tributo – indica Massimo Giraldi, presidente Cnvf – che il regista Mario Martone ha ricevuto oggi alla Mostra con il prestigioso Premio Robert Bresson. Il riconoscimento conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, con il patrocinio dei Dicasteri della comunicazione e dell’educazione della Santa Sede, è un omaggio alla sua lunga e articolata carriera che spazia tra teatro, cinema e Tv. Tra i titoli più noti del regista napoletano si ricordano ‘L’amore molesto’ (1995), ‘Noi credevamo’ (2010), ‘Il giovane favoloso’ (2014), ‘Qui rido io’ (2021) e ‘Nostalgia’ (2022). Un autore che ha saputo fondere l’amore per la sua città, Napoli, la tradizione della letteratura e del teatro con un racconto sociale di viva attualità”.

Nel ricevere il Premio Bresson Martone ha dichiarato: “Non mi aspettavo un’emozione del genere. È un premio che ti pone delle domande: la mia storia è politicamente lontana dal mondo cattolico, è chiaro che quando ho ricevuto la notizia mi sono sorpreso. Le domande hanno anche delle risposte, quindi sono molto contento di questa apertura così importante. Oggi c’è un Papa, Francesco, che ha un’importanza enorme per tutti noi: abbatte frontiere, fa incontrare esseri umani”. Presenti alla cerimonia mons. Davide Milani (presidente, Ente dello Spettacolo), Paolo Ruffini (prefetto, Dicastero della comunicazione), il card. José Tolentino de Mendonça (prefetto, Dicastero cultura ed educazione), Roberto Cicutto (presidente, La Biennale), Alberto Barbera (direttore artistico, Venezia80) e la senatrice Lucia Borgonzoni (sottosegretaria, MiC).

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