Dalla Social card all’Assegno di Inclusione: assicurare a chiunque cada in povertà il diritto a una vita decente

Una misura contro la povertà deve essere universale, cioè assicurare a chiunque cada in povertà il diritto ad una vita decente, indipendentemente dalle caratteristiche demografiche e dal profilo professionale, ed essere continuativa nel tempo, fino a quando persiste la condizione di bisogno. È quello che accade in ogni Paese europeo, dove la misura di reddito minimo è un diritto di tutti i poveri. Queste misure - inclusa la card che di fatto non si collega ad esperienze già in atto come ad esempio gli empori solidali - non coinvolgono adeguatamente la sussidiarietà locale, fondamentale per l’inclusione delle persone in un processo radicato nei territori, collettivo, in rete, integrato, capace di andare oltre l’aiuto materiale in un percorso di accompagnamento e sotto certi aspetti anche educativo

(Foto ANSA/SIR)

“Dedicata a te”. È la nuova card per le famiglie in povertà. Una prepagata da 382,50 euro da spendere entro fine anno in generi alimentari e dare così un po’ di sollievo alle famiglie. Quali? Le principali condizioni sono sostanzialmente tre: essere un nucleo di almeno tre componenti – se con figli minori si salirà in graduatoria -, avere un Isee che non superi i 15mila euro presentato entro maggio, essere iscritto ad una anagrafe comunale. La misura non può sommarsi ad altri interventi di sostegno al reddito, mentre è compatibile con aiuti materiali, come ad esempio i pacchi alimentari.
Inoltre a questa somma c’è la possibilità di aggiungere gli sconti del 15% negli esercizi commerciali che stipulano un accordo ad hoc con il Ministero dell’Agricoltura.

Di sicuro potrà essere un sollievo per alcune famiglie – secondo le stime del Governo 1,3 milioni – e di positivo c’è anche la semplificazione burocratica: la carta si ritira direttamente negli uffici postali attraverso un codice recapitato alle famiglie che ne hanno diritto sulla base degli elenchi trasmessi dai comuni all’Inps.

Ma è una misura categoriale – ovvero rivolta a una fascia ben definita di popolazione, cioè le famiglie con figli – un sussidio una tantum che proprio per questa sua caratteristica richiama altre misure simili adottate in passato nel nostro paese, prima dell’introduzione del Reddito di inclusione. Tutto questo poi mentre si sta archiviando il Reddito di Cittadinanza che, pur con le criticità più volte segnalate, rappresentava comunque una misura universale di sostegno alle persone in povertà, come lo sono tutti i redditi minimi in ogni Paese d’Europa.
Il RdC sarà sostituito da due nuovi strumenti: il Supporto per la formazione e il lavoro, teoricamente rivolto ai più occupabili, che partirà a settembre 2023 e l’Assegno di inclusione, per le famiglie in povertà con carichi di cura, in vigore da gennaio 2024. Se è da vedere con favore il passaggio a due distinte misure, dobbiamo anche ribadire che l’Assegno di Inclusione copre solo alcune categorie specifiche di persone in povertà – in particolare famiglie con minori, con over 60 e con persone con disabilità e con anziani non autosufficienti– e dall’altro il Supporto per la formazione e il lavoro adotta il requisito anagrafico, tra i 18 e i 59 anni, che non sempre è un criterio di maggiore probabilità di trovare un lavoro. In questa fascia di età si trovano infatti persone che hanno fragilità e vulnerabilità tali da rendere necessari interventi di supporto psico-sociale specifici piuttosto che di attivazione al lavoro. Basti pensare alle persone senza dimora o a persone single molto lontane dal mercato del lavoro.

Una misura contro la povertà deve invece essere universale, cioè assicurare a chiunque cada in povertà il diritto ad una vita decente, indipendentemente dalle caratteristiche demografiche e dal profilo professionale, ed essere continuativa nel tempo, fino a quando persiste la condizione di bisogno. È quello che accade in ogni Paese europeo, dove la misura di reddito minimo è un diritto di tutti i poveri.

Altro rilievo è che tutte queste misure – inclusa la card che di fatto non si collega ad esperienze già in atto come ad esempio gli empori solidali – non coinvolgono adeguatamente la sussidiarietà locale, fondamentale per l’inclusione delle persone in un processo radicato nei territori, collettivo, in rete, integrato, capace di andare oltre l’aiuto materiale in un percorso di accompagnamento e sotto certi aspetti anche educativo.
Tutto allora dipende dalla risposta che si dà a una domanda a monte: la lotta alla povertà è una priorità per il Governo e per il futuro del Paese? Colmare lacune, ingiustizie e ritardi nella redistribuzione delle risorse economiche da parte delle persone in difficoltà, in primo luogo combattendo la povertà e l’esclusione sociale, per noi resta l’obiettivo da rimettere al centro, rimodellando su questo scelte operative e priorità.
Per farlo, il Governo dovrebbe adottare un approccio non basato sulla gestione dell’esistente ma che guardi al futuro superando le difficoltà del presente, con progettualità ed ambizione, soprattutto in un momento storico come l’attuale in cui, come ci ricorda Papa Francesco nel Messaggio per la VII Giornata mondiale dei poveri del prossimo 19 novembre “il volume del richiamo al benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà” e “la fretta, quotidiana compagna di vita, impedisce di fermarsi, di soccorrere e prendersi cura dell’altro”.

(*) direttore di Caritas Italiana, articolo pubblicato dai settimanali diocesani del Triveneto

Altri articoli in Italia

Italia