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Estate in carcere. Don Grimaldi: “Serve una programmazione e non vivere questa stagione come un’eterna emergenza”

I detenuti trascorrono giornate al caldo, senza attività e senza la presenza del volontariato. Ancora una volta l’ispettore generale dei cappellani chiede attenzione, anche da parte della società

(Foto: ANSA/SIR)

Un’ennesima estate caldissima. Anche il 2023 si sta caratterizzando con alte temperature. E ci sono luoghi dove il tempo, il caldo, la solitudine pesano tanto, come le carceri. A fare il puto della situazione per il Sir è l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi.

(Foto: Ispettorato cappellani carceri in Italia)

Come sta andando quest’estate nelle carceri, don Raffaele?

L’estate, purtroppo, è un periodo difficile per i nostri istituti penitenziari, perché non c’è una programmazione adeguata che consenta di predisporre un’attenzione in più proprio per questa stagione che è molto delicata per chi vive in cella. Parecchie attività vengono accantonate temporaneamente per mancanza di personale, per addetti che vanno in ferie, allo stesso tempo tante volte non si riescono a coinvolgere volontari o altre persone che durante l’anno, invece, frequentano il carcere. Non ci sono corsi, la scuola chiude. Dopo un anno ricco di attività, il detenuto si trova a non far niente: stare in questa condizione 24 ore su 24 è deleterio, produce angoscia. In effetti, i detenuti avrebbero bisogno di un’attenzione in più in estate perché, oltre alla sofferenza per la lontananza dalla famiglia, c’è una sofferenza causata dal senso di abbandono e di profonda solitudine vissuto in estate.

Anche la temperatura non aiuta…

Certo, anche il caldo non agevola la vita nel carcere, soprattutto con il caldo che c’è questa estate e che è soffocante. Tra l’altro, molti nostri istituti sono di recente costruzione e sono fatti di cemento e quindi il caldo si fa sentire in modo ancora più pesante. Tante volte i cappellani spronano le direzioni degli istituti ad acquistare dei ventilatori o mettere nei corridoi dei frigoriferi per acqua più fredda. Queste sono delle soluzioni pratiche per aiutare il detenuto ad affrontare il periodo di caldo, già non facile per noi che siamo fuori, possiamo immaginare fino a che punto per loro che stanno dentro.

Ogni estate si ripresentano gli stessi problemi, perché non si provvede in qualche modo?

L’estate non dovrebbe essere ogni volta un’emergenza, ma un periodo da inserire nella programmazione annuale di tutti gli operatori perché a giugno, luglio e agosto vediamo l’esodo dai nostri istituti. Invece la programmazione, come dicevo prima, non c’è e subentra l’emergenza.

Serve invece stabilmente una programmazione a monte che consideri la criticità del periodo estivo

cercando di organizzare attività di volontariato, di gruppi che vengono da fuori, che animino mattinate e serate per aiutare i detenuti a vivere questo periodo nel modo più sereno e tranquillo possibile.

I familiari vanno a trovare i detenuti in questo periodo, di solito?

Spesso sono gli stessi detenuti a scoraggiare i congiunti ad andare in visita da loro in carcere per il troppo caldo, ma non vengono a mancare chiamate e videochiamate. In alcuni istituti, però, effettivamente diminuisce il contatto anche con il familiare: per mancanza di personale non viene assicurato questo servizio che è fondamentale per un detenuto.

Purtroppo, ci sono sempre tanti suicidi in carcere, anche se non abbiamo raggiunto i numeri dello scorso anno…

Rispetto a un anno fa, quando si registrò un picco di suicidi tra detenuti, la situazione sembra leggermente migliorata. Ma non bisogna dimenticare che tanti gesti estremi si sono comunque registrati nei primi sette mesi dell’anno. Mi auguro che dalla tragica esperienza del 2022 abbiamo imparato ad avere maggiore attenzione e più responsabilità per le persone più fragili, soprattutto detenuti con problemi psicologici e psichiatrici, persone sole, immigrati, senza fissa dimora, i più poveri, tutti coloro che non hanno contatti con l’esterno, con i familiari, e che spesso vivono con disperazione all’interno del carcere.

Voi cappellani ci siete sempre…

Sicuramente, resta il conforto spirituale offerto dai cappellani. Intanto, sono state spedite a 100 istituti italiani le 8mila bibbie donate dalla Cei, dopo le prime consegnate di persona dall’arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, a marzo alla Casa di reclusione di Paliano, in provincia di Frosinone. Il progetto si inserisce in quel cammino di attenzione della Chiesa verso chi è stato privato della libertà personale e di incoraggiamento per quanti operano nelle carceri, che si concretizzerà a livello locale con iniziative di preghiera e sensibilizzazione.

Vuole rivolge un invito?

Sì,

la società tutta deve avere uno sguardo attento verso il mondo carcerario.

Coloro che hanno sbagliato fanno anche un percorso di riabilitazione all’interno del carcere. Con l’aiuto e con l’accoglienza del mondo esterno, molti detenuti possono farcela, ma quando escono e vivono una maggiore emarginazione rischiano di delinquere ancora se non si sentono aiutati e accolti. Questo problema influisce negativamente soprattutto per quei detenuti, che non hanno famiglia o dei punti di riferimento.

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