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Codice di Camaldoli: la storia è maestra di vita

Ogni generazione in fin dei conti ritorna a Camaldoli. E al codice di Camaldoli, estate 1943, ricordato di decennale in decennale. Sempre traguardandolo al presente e alla prospettiva. Quest’anno si celebrano gli ottant’anni e lo si farà con particolare solennità. Oltre al grande dinamismo del comitato scientifico organizzatore e alle energie di diverse istituzioni in campo forse c’è un motivo più profondo, anche se inespresso, per cogliere questa occasione di riflessione e di proposta. O più esattamente una serie di motivi

Ogni generazione in fin dei conti ritorna a Camaldoli. E al codice di Camaldoli, estate 1943, ricordato di decennale in decennale. Sempre traguardandolo al presente e alla prospettiva. Quest’anno si celebrano gli ottant’anni e lo si farà con particolare solennità.
Oltre al grande dinamismo del comitato scientifico organizzatore e alle energie di diverse istituzioni in campo forse c’è un motivo più profondo, anche se inespresso, per cogliere questa occasione di riflessione e di proposta. O più esattamente una serie di motivi.
Il primo è la consapevolezza di una storia, ovvero il racconto di quello che un tempo si chiamava il movimento cattolico rischia di venire meno, sfarinandosi in una sostanziale omologazione, che è ovviamente anche impoverimento. C’è la consapevolezza di una storia e insieme che possa interrompersi, anche perché progressivamente dimenticata. La storia, diceva uno dei due maggiori protagonisti di quel processo, Alcide De Gasperi (l’altro era Giovanni Battista Montini) è maestra di vita, ma la si deve studiare. Appunto.

Questo è il primo, direi preliminare motivo per dare solennità all’ottantesimo di un evento emblematico nel percorso, avviato dal radiomessaggio di Pio XII del 1942 e arriva alla fondazione della Dc, per cui i cattolici si mettono a disposizione della ricostruzione dell’Italia e della costruzione della democrazia italiana.

Siamo così al secondo motivo per cogliere questa occasione.
Certo non si può riscrivere un “codice”. Rileggere oggi quelle pagine, quegli enunciati ci fa sentire tutta la distanza appunto storica. La casa editrice Studium, che lo pubblico nel 1945 ancora lo ha in catalogo, in versione digitale. Perché quell’incontro di intelligenze, di generazioni, quel protagonismo dei giovani, con alla testa Sergio Paronetto, segna un metodo e un fine che parlano anche all’oggi e al domani.
Un metodo e uno stile non per fare un partito, ma per riuscire a dire qualcosa di significativo, di cui c’è grande bisogno in Italia come (almeno) in Europa nella grande confusione nichilista, cioè banale e conflittuale, di questi anni, non può che essere un obiettivo e un impegno urgente. Con quel metodo.

C’è una storia, c’è un impegno pressante cui dare risposta, ci vuole anche un ambiente: ecco allora il propellente spirituale, quel cristianesimo pregato e pensato, quella parola di Dio “manducata”, alla maniera benedettina camaldolese.

È la terza considerazione: un ambiente accogliente di energie, generazioni, tempi diversi, che oggi si vorrebbe esprimere con la parola “finalità”. Di più: non è un caso che la prossima settimana sociale, per la quale di cerca un metodo di avvicinamento e di sviluppo finalmente adeguato, sia dedicata proprio alla democrazia. Ora come allora.
Esempi, esigenze, occasioni, energie, problemi: è un momento complesso, ma favorevole a che nasca qualcosa di nuovo, di plurale, di corale. E di efficace, in grado di sviluppare leadership di servizio, come quella che si riunì a Camaldoli ottant’anni fa e lavorò davvero per il bene comune. Seminando piante che diedero frutti: perché ce ne siano altri, occorre ricominciare il ciclo.

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