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Alcol e giovani. Cibin: “Organizzare servizi ad hoc e dare risposte unitarie”

È cambiato il modo di bere, passando da un consumo come accompagnamento al cibo ad una finalità “ricreativa”, caratterizzata dalla ricerca di “sballo”, euforizzazione, ubriacatura. “Come conseguenza, aumentano gli incidenti, i reati, le risse, le patologie, i problemi acuti”, spiega al Sir lo psichiatra, coordinatore scientifico del Centro Soranzo

(Foto: ANSA/SIR)

I dati raccolti nella Relazione al Parlamento in materia di alcol e problemi alcol correlati, presentata a fine giugno dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, mostrano, rispetto all’anno precedente, un consumo stabile di alcol nell’anno di riferimento (66,4% nel 2020 e 66,3% nel 2021), mentre si riduce il consumo giornaliero (20,6% nel 2020 e 19,4% nel 2021) e il consumo fuori pasto (31,7% nel 2020 e 30,7% nel 2021); risulta, invece, in aumento il consumo occasionale (45,7% nel 2020 e 46,9% nel 2021). Negli ultimi dieci anni si continua a registrare la tendenza del progressivo incremento della quota di donne consumatrici di bevande alcoliche che, per il consumo occasionale, passano dal 38,4% al 45,1%, e per il consumo fuori pasto passano dal 16% al 21,7%. Presi in carico dai servizi per le dipendenze 63mila alcolisti e 45mila pazienti sono stati ricoverati per patologie alcol correlate. Tra i giovani il consumo di bevande alcoliche permane una criticità che suggerisce di mantenere alta l’attenzione su questa fascia di popolazione. I comportamenti a rischio sul consumo di alcol nella popolazione giovanile sono particolarmente diffusi nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni, con valori più elevati tra i ragazzi, sebbene nel tempo stia aumentando in modo significativo il numero di ragazze in questa fascia di età con comportamenti di consumo a rischio. Su come sono cambiate le abitudini di bere parliamo con Mauro Cibin, psichiatra, coordinatore scientifico del Centro Soranzo – a 10 km da Venezia -, esperto di disturbi da uso di sostanze.

I dati della Relazione al Parlamento cosa ci dicono?

Da un certo numero di anni stiamo assistendo a un cambiamento delle modalità del bere, passando da un consumo tradizionale italiano, tipico dei Paesi mediterranei, come accompagnamento al cibo, con piccole quantità di alcolici, soprattutto vino, ai pasti tutti i giorni, a un consumo concentrato nello svago e nei momenti del divertimento, un consumo che non è alimentare, ma ha una finalità “ricreativa”, caratterizzata dalla ricerca di “sballo”, euforizzazione, ubriacatura. Questo cambiamento interessa soprattutto le fasce giovanili mentre le persone più avanti negli anni conservano un modo di bere di tipo mediterraneo. Assistiamo ad un apparente paradosso: le statistiche ci dicono che negli ultimi 15 anni il consumo globale di alcol è diminuito, ma contemporaneamente anche che i modi di bere a rischio sono aumentati perché è un modo diverso di bere, che non comporta necessariamente una maggior quantità globale di consumo di alcolici, ma un modo di bere più pericoloso. E questo riguarda soprattutto i giovani. Come conseguenza, aumentano gli incidenti, i reati, le risse, le patologie, i problemi acuti, che sono caratteristici del modo di bere nordico, mentre il modo di bere mediterraneo comporta, quando è esagerato, soprattutto problemi organici cronici, tra i quali la classica epatopatia da alcol.

(Foto: ANSA/SIR)

Come si dovrebbe intervenire in questo mutato panorama?

Accanto ai programmi di cura sono necessari interventi preventivi, sia di tipo legislativo sia di tipo educativo.

Un esempio di intervento legislativo che si è dimostrato molto efficace è stato il controllo sistematico dell’alcolemia alla guida, che ha portato ad un calo consistente degli incidenti stradali alcol correlati. Gli interventi preventivi a carattere educativo mirano a diminuire il bere a rischio tra i consumatori, in particolare tra i giovani. Questo secondo tipo di interventi preventivi per essere efficace dovrebbe essere effettuato diffusamente negli ambienti frequentati dai giovani, quali scuola, ambienti sportivi, ma così di fatti non è. C’è, poi, un altro aspetto da tenere sempre presente: nei giovani il consumo alcolico non è isolato, ma spesso è all’interno di una costellazione vasta e mutevole di comportamenti patologici che vanno dall’uso di alcol a quello di droghe, a problemi dell’alimentazione, a problemi psichici dell’area depressiva, a comportamenti violenti e antisociali, a comportamenti di ritiro, cioè situazioni simili all’hikikomori. Un insieme di situazioni che è espressione del disagio profondo che i giovani oggi stanno vivendo. Intervenire sul singolo aspetto di questa costellazione di problemi è spesso inutile, bisogna essere in grado di gestire contemporaneamente tutte le manifestazioni patologiche prendendo in carico globalmente la situazione.

Un disagio che è aumentato con il Covid?

La ricerca ci dice che l’insieme delle situazioni problematiche legate al disagio personale sta aumentando dal Covid in poi. C’erano anche prima: non sono state causate dal Covid, ma accelerate dal Covid. Il lockdown ha accentuato una serie di comportamenti devianti, preoccupanti, patologici che sono importanti segnali di disagio, soprattutto nei giovani.

Secondo lei i campanelli di allarme che presentano i giovani sono sottovalutati?

Oggi tutto sommato genitori, educatori, allenatori sportivi, medici, psicologi sono abbastanza informati su quelli che sono i campanelli d’allarme e sono preoccupati, ma spesso non sanno cosa fare, perché non è facile trovare chi può entrare in relazione con questi ragazzi e aiutarli.

Nella sua struttura arrivano casi già gravi?

Il Centro Soranzo è una comunità terapeutica di tipo psicoterapico, dove arrivano casi già patologici, che sono la punta dell’iceberg di tutto questo disagio. Osservare le situazioni patologiche ci dà un’idea di quello che sta succedendo, è un osservatorio.

(Foto: ANSA/SIR)

Sta aumentando il consumo di alcol tra le donne e le ragazze…

Il consumo di alcol tra le donne sta aumentando da vent’anni. Tutte le dipendenze, incluse quelle da tabacco e droghe, sono sempre state maggiormente “appannaggio” degli uomini, ma nel corso del tempo si assiste a una diminuzione della differenza. Trent’anni fa ad avere problemi di alcol erano una donna e dieci uomini, adesso una donna e cinque uomini. Per quanto riguarda le ragazze, il consumo di alcol s’inserisce nel più ampio discorso sui giovani, ma spesso assume delle caratteristiche diverse da quelle dei ragazzi: caratteristiche di gravità, anche psicopatologica, spesso maggiori che nei maschi.

Dal punto di vista psicologico chi è più facile aiutare? Maschi o femmine? E i percorsi per uscire dalla dipendenza sono diversi?

I percorsi sono almeno in parte diversi, è importante per le ragazze fare percorsi specifici; nel nostro caso abbiamo studiato un percorso terapeutico “al femminile”, il progetto Frida. Voglio anche aggiungere che spesso le ragazze sono molto gravi, ma hanno anche molte risorse: quando entrano in una logica di resilienza, recuperano molto rapidamente e molto bene.

La presa in carico dei ragazzi, in generale, visto che si tratta di dipendenze multiple, come deve essere?

Bisogna cambiare l’impostazione del sistema e di chi lavora in questo campo. Infatti, abbiamo dei dati che ci dicono che la capacità dei sistemi di cura di intervenire su questi fenomeni è molto scarsa. I sistemi di cura pubblici sia psichiatrici sia delle dipendenze intervengono abbastanza discretamente con gli adulti, ma sono poco efficaci a incontrare, prima di tutto, e poi a curare le situazioni giovanili. Bisogna cambiare molto.

(Foto: ANSA/SIR)

Quindi per avere efficacia come dovrebbero essere organizzati?

Ci vuole una presa in carico globale, che consideri anche gli aspetti esistenziali che stanno a monte dei comportamenti: è necessario un intervento psichiatrico o psicologico, ma anche educativo e sugli stili di vita, che non sia frammentato per patologia. Abbiamo visto come queste situazioni si presentino con problemi diversi che spesso mutano nel tempo: dovremmo organizzare servizi ad hoc che siano in grado di offrire una “porta di ingresso” unica e

dare risposte unitarie.

Oggi invece l’assistenza pubblica alle problematiche giovanili è frammentata tra psichiatria, dipendenze , neuropsichiatria infantile; spesso le famiglie sono costrette a rivolgersi a professionisti privati che a loro volta offrono risposte ancora più frammentate. Poi servono delle metodologie di cura adatte alle problematiche giovanili, in cui ci sia una componente psicologica e educativa forte. Infine, ci servono professionisti competenti con esperienza di giovani.

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