Omicidio di Primavalle. Pollo (antropologo): “Se si de-umanizza l’altro si può arrivare ad ucciderlo come in un videogame”

Continuano ad emergere nuovi dettagli dall'interrogatorio del ragazzo diciassettenne arrestato per l'omicidio di Michelle Causo a Primavalle. Per Mario Pollo, antropologo dell'educazione, c'è un grave problema di de-umanizzazione dell'altro, di perdita del senso e del valore della vita, di incapacità educativa da parte degli adulti e della scuola, di assenza di politiche giovanili in grado di cogliere segnali di disagio e intervenire

(Foto ANSA/SIR)

Mentre continuano ad emergere nuovi dettagli dall’interrogatorio del ragazzo diciassettenne arrestato per l’omicidio di Michelle Causo nel quartiere romano di Primavalle, si fa strada la contrapposizione tra “bande” di due borgate – Bronx di Torrevecchia e Primavalle – che ha visto anche il giovane protagonista in passato di risse e atti di violenza. A casa sua, da quanto si apprende, gli investigatori avrebbero scoperto un vero e proprio laboratorio per la produzione di purple drank, lo stupefacente dei trapper, un mix micidiale di alcolici, anfetamine e farmaci capaci di provocare sballi difficili da smaltire. E lui avrebbe confessato di avere ucciso Michelle per un debito nei confronti della vittima di una quarantina di euro. Per Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, c’è un grave problema di de-umanizzazione dell’altro, di perdita del senso e del valore della vita, di incapacità educativa da parte degli adulti e della scuola, ma stiamo scontando anche una grave assenza di politiche giovanili.

Professore, perché siamo arrivati a questo scenario?
Alla base c’è un intreccio di fenomeni. Anzitutto, secondo la definizione di Zygmunt Bauman, la liquefazione dei legami comunitari. Oggi la realizzazione di se stessi è di competenza esclusiva dell’individuo, senza più alcuna responsabilità da parte degli altri membri della comunità nei confronti del successo o dell’insuccesso del progetto di vita individuale. Noi però siamo esseri culturali sociali, e costruiamo noi stessi solo nella relazione con gli altri. La liquefazione dei legami comunitari ha ricondotto la responsabilità al solo individuo che per autorealizzarsi ricorre a modalità relazionali aggressive.

(Foto archivio)

Perché?
Viviamo in una realtà sociale complessa, intessuta di diversità, multiculturale e multietnica. Persone diverse da noi con le quali non riusciamo a stabilire un’autentica relazione perché

dell’altro conosciamo solo la facciata esteriore e non il mondo interno; allo stesso modo gli altri conoscono di noi solo il simulacro esteriore.

Per questo conviviamo gli uni accanto agli altri senza più incontrarsi e condividere come in passato norme, modelli culturali, obiettivi.

Di qui il clima di generale insicurezza…
Sì, che è alla base della ricerca dell’uguale anziché del medesimo. L’uguale è la mia fotocopia in tutto e per tutto, perciò rassicurante; il medesimo è una persona diversa da me che ha in comune con me la sua umanità. Oggi si preferisce non riconoscerla, de-umanizzare il diverso e rinchiudersi in gruppi e relazioni tra “identici”. Così nel Bronx di Torrevecchia, così a Primavalle, ma non solo. Un processo distruttivo perché l’umano si regge sul confronto continuo tra persone simili che non temono la diversità dell’altro ma proprio attraverso questa si arricchiscono vicendevolmente. Oggi si tende invece a seguire la logica dello stormo.

Che intende dire?
In uno stormo ogni rondine si muove in coordinamento automatico adeguandosi meccanicamente alle regole del gruppo. Questa logica ha sostituito il controllo sociale di un tempo. Purtroppo in questo mix di elementi, dove manca un tessuto sociale, culturale e umano in grado di aiutare i giovani a trovare vie autentiche di realizzazione, a scoprire la ricchezza dell’incontro con il “medesimo” e a sperimentare valori di tipo trascendente, nascono spesso condotte individuali devianti, amplificate dalla visibilità sui social. Un frutto del nichilismo, che non si verifica solo in contesti di marginalità, e che dovrebbe far riflettere – lo vado ripetendo da anni – sulla necessità di politiche rivolte alla ritessitura di una comunità sociale per dare senso alla vita.

Diversi fatti di cronaca ci hanno messo in queste ultime settimane di fronte a figure adulte forse non all’altezza del loro compito educativo…
Molti adulti oggi sono eterni adolescenti, con un ethos infantilistico che ne fa essenzialmente dei consumatori. Senza l’asimmetria in termini di responsabilità, maturità e competenze necessaria all’educazione, non c’è educazione. Che cosa può trasmettere ad un giovane un adulto tardivamente infantile?

Intanto molti ragazzi girano con il coltello in tasca come se fosse un fatto normale, e alcuni uccidono con una facilità sconcertante. L’omicidio della povera Michelle è atroce, come è agghiacciante l’idea del suo assassino di scaricarla in un sacco dell’immondizia accanto ai cassonetti…
Se io non scopro il valore incommensurabile, l’unicità e l’intangibilità di ogni vita umana, riesco a banalizzare anche l’uccisione di una persona. Ritorniamo al discorso del simulacro:

quando de-umanizzo l’altro, riducendolo ad un simulacro senza cogliere il mistero della vita di cui è portatore, posso arrivare ad ucciderlo con la stessa facilità con la quale si uccide nei videogame senza produrre alcun abisso di orrore.

È significativo che il killer abbia tentato con freddezza di disfarsi del corpo della vittima come se si fosse trattato di una bambola rotta che non serve più. Ma non c’è da stupirsi, purtroppo. Dov’è oggi la cultura del rispetto e della tutela della vita? Quando si ritiene legittimo sopprimerla prima della nascita, si tenta di legittimare eutanasia e suicidio assistito, si assiste a film nei quali gli eroi di turno ammazzano con ferocia persone come se non fossero esseri umani, per non parlare della violenza dei videogame dei nostri ragazzi…

E’ davvero urgente invertire questa rotta e rieducare all’amore e al valore di ogni vita umana.

E’ possibile che nessuno si sia accorto in questi anni di come stava crescendo questo ragazzo? Che non siano stati colti campanelli d’allarme per tentare di intervenire in tempo? Della sua famiglia sappiamo poco. Che cosa è mancato, in questo caso ma anche in altre vicende simili?

E’ venuta meno la scuola come luogo di educazione integrale della persona. La scuola ha tre funzioni: trasmettere informazioni e conoscenze; sostenere la scoperta e la crescita dell’identità e dell’unicità di ogni studente; educare ad una cittadinanza democratica. Tranne rare eccezioni, sono tre funzioni a mio avviso oggi neglette.

La scuola non può ridursi a mera didattica: deve tornare ad essere luogo di educazione integrale.

E poi mancano le politiche giovanili. Fino ad una trentina di anni fa gli enti locali promuovevano centri di aggregazione con educatori e animatori al loro interno per sostenere il percorso di crescita e partecipazione dei ragazzi, anche attraverso iniziative sul territorio. Alcuni – pochi – sono sopravvissuti; la maggior parte è andata o trasformandosi addirittura scomparendo. Anziché essere destinati alla crescita e alla realizzazione umana delle nuove generazioni, ricordo che negli anni’90 gli investimenti governativi per le politiche giovanili erano quasi del tutto finalizzati alla prevenzione della devianza e della tossicodipendenza Per don Bosco la prevenzione autentica è invece aiutare le persone a sviluppare la propria umanità: uno stile di vita progettuale che immunizza i giovani dalla violenza e dal consumo di sostanze.

Secondo lei la nostra società vede i giovani più come problema che come risorsa?
Sì, anziché renderli protagonisti, tende a tenerli “parcheggiati” per anni e a considerarli più come minacce da controllare e da contenere che risorse sulle quali investire per il nostro futuro.

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