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Lavoro e piattaforme, verso nuove tutele in Ue. Tassinari (Acli): “Intrapresa la giusta direzione”. Faioli (Cattolica): “Italia dispone già di strumenti”

Quella per cui inizierà la negoziazione “è una direttiva che mira a facilitare l’onere della prova per il lavoratore delle piattaforme che gli permetterà di chiedere al giudice o all’ispettorato il riconoscimento di tutele”, spiega il docente di Diritto del lavoro all’Università Cattolica. “Non c’è alcun automatismo”, precisa, ma sarà necessario “un contenzioso o un’ispezione da parte delle autorità di vigilanza”. Per il vicepresidente nazionale delle Acli con delega al Lavoro e al Terzo settore “servirà monitorare come si configureranno nel dettaglio le norme europee e come queste verranno implementate nei singoli Stati, in che modo si armonizzeranno o si accompagneranno alle legislazioni nazionali”. Inoltre, aggiunge, “servirà anche monitorare la reazione delle aziende”

foto SIR/Marco Calvarese

“È importante che su questi temi ci siano delle norme europee, che siano comuni in un’Europa che su questo fronte rischia di essere per fino piccola. La direzione intrapresa mi sembra quella giusta”. Così Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale delle Acli con delega al Lavoro e al Terzo settore, commenta il via libera dato ieri dai ministri del Lavoro dell’Ue all’accordo sull’orientamento generale relativo alla proposta di direttiva volta a migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme digitali. Di “ottimo segnale” parla anche Michele Faioli, professore associato di Diritto del lavoro all’Università Cattolica e consigliere esperto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Dopo l’approvazione a fine febbraio da parte del Parlamento europeo della propria posizione negoziale e quella arrivata ieri a Lussemburgo dal Consiglio, ora possono cominciare i “triloghi”, i negoziati informali tra Commissione, Parlamento e Consiglio per definire la legislazione Ue sui diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali entro la primavera del prossimo anno quando finirà la legislatura. “La direttiva – spiega il docente – segna una fase di un percorso lungo e complicato perché c’erano visioni diverse sul suo contenuto da parte dei singoli Stati, del sindacato dei Paesi membri e delle organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro”. “La direttiva – prosegue Faioli – crea un meccanismo di presunzione che permette al lavoratore di chiedere al giudice o all’ispettorato il riconoscimento di tutele nel caso si verifichino alcuni indici di subordinazione. Tutto ciò prevede che ci sia un contenzioso o un’ispezione da parte delle autorità di vigilanza. Non c’è alcun automatismo, il legislatore – europeo o nazionale – non lo può fare”. In sostanza, precisa,

“è una direttiva che mira a facilitare l’onere della prova per il lavoratore delle piattaforme”.

Presentando la propria proposta di direttiva nel dicembre 2021, la Commissione europea aveva ricordato che oltre 28 milioni di persone lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali. E le previsioni parlano di un incremento a 43 milioni nel 2025 (+52%). Uno degli aspetti sui quali si vuole intervenire è la corretta classificazione dei lavoratori: infatti

rider, tassisti, lavoratori domestici sono formalmente lavoratori autonomi. La Commissione ha stimato che circa 5,5 milioni di loro hanno un rapporto di lavoro di fatto con le piattaforme digitali e dovrebbero essere quindi riconosciuti come lavoratori dipendenti.

Per questo, ha ricordato il Consiglio europeo in una nota, “dovrebbero godere dei diritti in materia di lavoro e della protezione sociale garantiti ai lavoratori subordinati dal diritto nazionale e dell’Ue”.
“È un’iniziativa positiva, perché cerca di dare dei criteri per queste tipologie di lavoro”, commenta Tassinari, aggiungendo che “in assoluto non verrebbero considerate come lavoro subordinato ma lo saranno laddove sussisteranno criteri per cui risulterà lavoro eterodiretto, condizione per la quale di fatto si ha lavoro subordinato: uno scenario non troppo lontano da quello che prevede la legislazione italiana”.

Ricordando che “ci sono una serie di piattaforme e una serie di tipologie di lavoro delle piattaforme”, Faioli precisa che “la direttiva non risolve granché i nodi relativi a definizione del lavoratore delle piattaforme, individuazione delle piattaforme e poteri di vigilanza; vengono definite delle linee guida rilanciando ai legislatori nazionali”.
Secondo la maggior parte dei governi Ue (ieri si sono astenuti i ministri di Germania, Spagna, Grecia, Estonia e Lettonia) si prevede che “si presuma legalmente che i lavoratori siano dipendenti di una piattaforma digitale (e non lavoratori autonomi) se il loro rapporto di lavoro con la piattaforma soddisfa almeno tre dei sette criteri stabiliti nella direttiva”. Tali criteri comprendono: limiti massimi applicabili alla retribuzione che i lavoratori possono percepire; limitazioni riguardanti la possibilità di rifiutare il lavoro; regole che disciplinano l’aspetto esteriore o il comportamento; controllo dell’esecuzione del lavoro anche per via elettronica; somministrazione di sanzioni; limitazioni riguardanti la scelta del proprio orario di lavoro o periodo di assenza; limitazioni della possibilità di creare una base di clienti o di svolgere attività per terzi.
Se da un lato si va verso un “giro di vite” nel settore, dall’altro – spiega Tassinari – “non vengono escluse forme di lavoro autonomo ma è importante che ci sia una forte attenzione affinché dietro all’autonomia non ci si giochi, non si nascondano false forme di lavoro autonomo come invece spesso accade”.

Un altro aspetto sottolineato dai ministri del Lavoro dell’Ue è relativo all’importanza che “i lavoratori siano informati sull’uso di sistemi automatizzati di monitoraggio e decisionali”, e che gli algoritmi siano “monitorati da personale qualificato, che gode di una protezione speciale da trattamenti avversi”. Per Tassinari “è interessante che ci sia un controllo sulla parte tecnologica, sugli algoritmi e sull’evoluzione dell’Intelligenza artificiale”. “La direttiva – sottolinea Faioli – è un passo avanti ma bisognerà valutare il quadro complessivo della legislazione europea e che cosa accadrà nei singoli Stati”. Gli fa eco il vicepresidente delle Acli, secondo cui

“servirà monitorare come si configureranno nel dettaglio le norme europee e come queste verranno implementate nei singoli Stati, in che modo si armonizzeranno o si accompagneranno alle legislazioni nazionali”. Inoltre, aggiunge, “servirà anche monitorare la reazione delle aziende”.

Un aspetto non secondario, considerato che l’astensione di alcuni Paesi sembra motivata proprio dalle perplessità relative ai significativi impatti che la nuova legislazione potrebbe avere sulle società del settore.
Per Tassinari, però,

“è importante darsi regole comuni, a partire dal pilastro europeo dei diritti sociali

che rappresenta un passo avanti che l’Ue ha fatto insieme al Next Generation Eu nella consegna a livello europeo anche di un politica che non si occupa solo di bilanci ma comincia ad intervenire di più anche su diritti e doveri, sulla cittadinanza. È molto importante che l’Europa diventi centrale su questi temi”.

Venendo all’impatto che le nuove norme potranno avere nel nostro Paese, il docente della Cattolica ritiene che “la direttiva non sarà introdotta o sarà introdotta in maniera assai lieve perché c’è una norma del 2015 che è stata utilizzata dalla Corte di Cassazione che già offre una tutela a questi lavoratori delle piattaforme”. A questa si è aggiunta la Legge 128/2019 che prevede per i rider tutele differenziate. Per cui

“non credo che nel nostro Paese la direttiva avrà un impatto forte, l’Italia dispone già di strumenti di tutela che vengono utilizzati dai giudici del lavoro da ormai 4-5 anni”.

Sulla qualità del lavoro, conclude Tassinari, “soprattutto in Italia paghiamo il fatto che per anni si è puntato a salvare i numeri dell’occupazione a qualunque costo. Ma questo non ha aiutato l’occupazione a crescere; ha abbassato i redditi e ha bloccato economia e demografia. Non si può più ragionare del lavoro purché sia qualsiasi lavoro, qualsiasi costo. Se è sempre il prezzo a fare il valore del lavoro si entra in una logica perversa. La competizione dev’essere sulla capacità di costruire condizioni di lavoro reali e dignitose, sul merito, sull’onestà e sul rispetto delle regole”.

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