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Padre Matthew Schneider, sacerdote autistico: “Superiamo i luoghi comuni e apriamo la Chiesa alle esigenze di tutti”

“Non riuscivo a riconoscere i segnali relazionali dei bambini. Se non mi fosse stato detto forse starei ancora lottando in ministeri non particolarmente adatti a me, mentre la diagnosi mi ha aiutato a concentrarmi su ministeri più consoni ai miei punti di forza”. Padre Matthew Schneider racconta cosa significa essere un sacerdote autistico e quanta strada ci sia ancora da fare per coinvolgere davvero le persone autistiche nella Chiesa: “L’autismo non è una condizione monolitica dove tutti hanno gli stessi sintomi. Dobbiamo chiedere alle persone di cosa hanno bisogno”

(Foto FB-FrMatthewLC)

“Nonostante i suoi punti di debolezza, l’autismo spesso genera aree di forza: occorre cercarle e vedere la bellezza complessiva. L’autismo è semplicemente un modo diverso di essere, né del tutto buono né del tutto cattivo”. Padre Matthew Schneider è una delle voci cattoliche più seguite sui social (il suo canale Twitter conta più di 65mila follower). Ma, soprattutto, è uno dei pochi sacerdoti ad aver ricevuto una diagnosi di autismo.

Cosa significa essere un sacerdote autistico?
Essere un sacerdote significa essere consacrato al Padre e portare Gesù alla gente e la gente a Gesù. Quando mi è stato diagnosticato il disturbo ero già stato ordinato al sacerdozio: prima di allora non pensavo di essere un sacerdote autistico. Ora la considero una sorta di missione che mi consente di trasmettere il Vangelo specificamente alle sorelle e ai fratelli con disturbi dello spettro autistico, poiché, avendo una condizione neurologica analoga, sono spesso in grado di comunicare meglio con loro o di “inculturare” il Vangelo in base alla nostra condizione neurologica.

C’è bisogno di una diversa sensibilità pastorale nei confronti delle necessità delle persone autistiche?
Partirei dalle messe compatibili con le sensibilità sensoriali delle persone affette da autismo, ovvero messe con suoni e luci meno intensi.

Una conseguenza dell’autismo è che tendiamo a essere più sensibili alle luci e ai suoni, anche a quelli che molte persone considerano normali. Per questo motivo, alcune persone autistiche hanno difficoltà ad assistere alla messa, in quanto le luci e i suoni potrebbero opprimerli e scatenare una crisi.

Inoltre, una messa di questo tipo aiuta ad evitare alcuni commenti percepiti dalle persone autistiche come me nel caso di reazioni impulsive durante la messa (ad esempio, se agitiamo le mani per trovare un equilibrio), se usiamo occhiali da sole o tappi per le orecchie all’interno della chiesa o se ci comportiamo in modo insolito per alcune persone.

E la confessione?
La confessione è caratterizzata da diversi elementi, quali la chiarezza su ciò che è peccato, in quanto a volte crediamo che un problema sociale di cui non eravamo a conoscenza o un pensiero passeggero sia un peccato.

Il peccato è un atto consapevole, se non c’è scelta o non c’è conoscenza di ciò che è sbagliato (ad esempio, essere involontariamente scortesi), non c’è peccato.

Inoltre, va ricordato che la Chiesa ci insegna che tutti devono confessare i propri peccati al sacerdote affinché la confessione sia valida. La maggior parte delle persone lo fa parlando, ma se per una persona autistica è più semplice scrivere su un foglio di carta o usare un iPad, questo deve essere pienamente ammissibile.

Che consigli darebbe ai suoi confratelli che devono rapportarsi con persone autistiche?
Il primo e più prezioso consiglio che darei agli altri sacerdoti è quello di chiedere a una persona autistica di cosa ha bisogno. Generalmente preferiamo che ci si rivolga a noi in maniera diretta, e le persone autistiche sono molto diverse tra loro: una persona potrebbe aver bisogno di una messa compatibile con le sue esigenze sensoriali, mentre un’altra potrebbe non giovarne in alcun modo, ma potrebbe invece aver bisogno di aiuto per partecipare alle iniziative della propria parrocchia o a eventi di questo tipo.

L’autismo non è una condizione monolitica dove tutti hanno gli stessi sintomi: è più probabile che si abbiano alcuni sintomi che rientrano in alcune categorie.

Perché ha scelto il titolo “Dio ama la mente autistica” per il suo libro? C’erano dubbi a riguardo?
Penso che in un libro sulla preghiera ci si debba concentrare sulla relazione tra l’individuo e Dio. L’amore costituisce il nucleo centrale di questa relazione. D’altra parte, esistono alcune situazioni in cui le persone vedono l’autismo come un fenomeno puramente negativo e non come un qualcosa amato da Dio. Il libro contiene un capitolo dedicato ai miti riguardanti la preghiera degli autistici, i primi due dei quali potrebbero mettere in dubbio il fatto che “Dio ama la mente autistica”.

Il primo luogo comune è che l’autismo debba essere curato con la preghiera, e questo potrebbe derivare dalla convinzione che si tratti di fenomeni demoniaci o che abbia un’origine psicologica e quindi che la preghiera sia la cura di tutto, piuttosto che adottare una prospettiva che includa sia la fede che la scienza. La maggior parte di noi non vuole essere curata, vuole semplicemente essere aiutata a vivere appieno la sua vita autistica.

Il secondo mito è spesso più implicito: è la falsa credenza che gli autistici non possano pregare. Alcuni lo rendono esplicito quando spiegano come intendono le capacità autistiche nella teoria della mente, mentre altri lo lasciano intendere implicitamente con pagine web in cui si spiega come pregare “per” il proprio figlio autistico e non come pregare “con” lo stesso figlio.

(Foto FB-FrMatthewLC)

Ci sono stati santi ai quali sono stati attribuiti comportamenti autistici, come Tommaso d’Aquino o Léonie Martin. Eppure una diagnosi di autismo ancora spaventa le famiglie…
Non vorrei parlare di diagnosi post mortem, ma vedo tratti autistici in alcuni santi come quelli citati, o in Tholák d’Islanda e Cristina l’Ammirabile. A loro possiamo ispirarci come esempi. Questi quattro personaggi sono citati nella seconda parte del mio libro, che comprende 52 brevi devozioni quotidiane. I genitori di un bambino affetto da autismo possono ancora sentirsi spaventati per diversi motivi. Nonostante la maggiore quantità di informazioni disponibili, l’autismo è ancora poco conosciuto e gli esseri umani hanno una innata paura dell’ignoto.

Inoltre, per una persona autistica può essere più complicato completare il percorso scolastico, trovare un buon lavoro e fidanzarsi. Sono problemi reali che l’autismo rende ancora più complessi. Ma allo stesso tempo si tratta dello stesso figlio di prima della diagnosi, e la nuova consapevolezza probabilmente accrescerà le opportunità al riguardo.

Nonostante i suoi punti di debolezza, l’autismo spesso genera aree di forza, occorre cercarle e vedere la bellezza complessiva dell’autismo, indipendentemente dall’aver identificato quelle aree. L’autismo è semplicemente un modo diverso di essere, né del tutto buono né del tutto cattivo.

Quando ha preso consapevolezza di essere autistico?
La diagnosi è arrivata nel gennaio 2016. Il fine settimana precedente ero andato all’incontro per la pastorale sociale e avevo intervistato diverse persone chiedendo loro come ritenevano che i cattolici potessero vivere meglio il Magistero sociale della Chiesa, ma ho montato il video solo dopo aver ricevuto la diagnosi. Quando ho chiesto a Bob Quinlan della National Catholic Partnership on Disability (Associazione cattolica nazionale per la disabilità, ndt) di parlarne, mi ha risposto che dobbiamo aiutare le persone con disabilità non solo a ricevere assistenza, ma anche a diventare pastori:

“Non voglio solo aiutarli a senso unico, in modo che mi aiutino a loro volta; voglio aiutarli a migliorare le loro capacità, aiutarli a dare il meglio di sé”.

Questo mi ha colpito durante il montaggio del video, subito dopo la mia diagnosi, poiché mi stava dicendo di non mettermi in un angolo a rattristarmi per la mia malattia, ma di utilizzarla in qualche modo per aiutare gli altri.

Paradossalmente la diagnosi l’ha aiutata nel ministero?
In modo diverso, il mio primo anno di sacerdozio è stato molto importante. In qualità di sacerdote, avevo svolto piuttosto bene il mio incarico nella pastorale giovanile, così fui nominato cappellano di una scuola (dall’asilo al liceo) per tre anni. Dopo il primo anno, mi resi conto di aver commesso alcuni errori, ma pensai che fosse una normale curva di apprendimento. Successivamente, dopo un anno, il preside mi informò che non voleva che tornassi e mi suggerì di informarmi sul disturbo dello spettro autistico o sulla Sindrome di Asperger, in quanto non riuscivo a riconoscere i segnali relazionali dei bambini. Questo evento segnò una svolta importante per me, perché se non mi fosse stato detto o se avessi avuto un altro incarico, forse starei ancora lottando in ministeri non particolarmente adatti a me, mentre la diagnosi mi ha aiutato a concentrarmi su ministeri più consoni ai miei punti di forza.

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