A Casa di Edo dove si riaccende la speranza per i piccoli malati e le loro famiglie

Un nido, un rifugio sicuro e gratuito che accoglie bimbi in cura per gravi malattie onco-ematologiche presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, insieme alle loro famiglie. È la struttura d'accoglienza "A Casa di Edo", sorta nel 2017 per iniziativa dei genitori del piccolo Edoardo Marcangeli, stroncato nel 2015 dalla leucemia. L'abbiamo visitata in compagnia dell'assistente ludica Nadia De Santis

Nadia De Santis presso la struttura "A Casa di Edo" (Foto Sir)

“Io cerco semplicemente di portare un po’ di luce, un po’ di speranza in questo tunnel di sofferenza”, mi spiega Nadia De Santis mentre aspettiamo al bar davanti ad un caffè il risultato del mio tampone Covid a tutela dei bimbi immunodepressi che incontreremo di lì a poco. Nadia ha 39 anni ed è un’assistente ludica che lavora nel reparto degenza di Oncoematologia dell’ Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma per conto dell’Associazione Edoardo Marcangeli onlus per la ricerca, la cura e l’assistenza ai bambini malati di leucemie e tumori e alle loro famiglie, accreditata presso il nosocomio.

“Onoriamo la vita, vivendola come meglio possiamo, cercando di rendere concreto il progetto che Edo aveva nel cuore. Così con i nostri amici più cari, al nostro fianco fino all’ultimo istante di vita di Edo, abbiamo deciso di costituirci in associazione per sostenere le famiglie dei bimbi ricoverati che oltre al dolore vivono anche difficoltà economiche, sperando di rendere meno pesante e dolorosa la loro esperienza, dopo aver ricevuto la diagnosi di leucemia”, spiega Adelfo Marcangeli, il papà di Edoardo, cui l’associazione è intitolata. Edo che fino all’ultimo ha lottato con coraggio contro questa terribile malattia che però non gli ha dato scampo ed è “nato al cielo”, come dice il papà, il 22 agosto 2015, non ancora dodicenne. L’associazione, costituitasi pochi mesi dopo e intorno alla quale oltre a Adelfo ruotano la mamma di Edo, Cinzia, e la zia Maura, nel 2017 ha realizzato un sogno: “A Casa di Edo”, una struttura di accoglienza nelle immediate vicinanze del Bambino Gesù, rifugio sicuro e gratuito per famiglie e bimbi in cura per gravi malattie onco- ematologiche ai quali si dedicano con generoso impegno, oltre a Nadia, anche Oscar e Loredana.

Quando Cinzia le propone di lavorare con loro, Nadia avverte dentro di sé una sorta di chiamata alla quale, dice, “non può sottrarsi”, e inizia a fine gennaio 2016 il suo servizio come assistente ludica nel reparto degenza di Oncoematologia al Bambino Gesù, al quale si aggiunge successivamente la presenza, due pomeriggi a settimana, in casa d’accoglienza. È una figura solare, fondamentale per bimbi e genitori. Prima di salire “A Casa di Edo”, mentre racconta la sua vita in ospedale gli occhi le diventano lucidi e la voce si spezza dall’emozione perché questi bambini, questi ragazzi piegati dalla malattia che lei accompagna per un pezzetto del loro cammino – alcuni ce la faranno, altri no – li sente suoi e li porta tutti nel cuore:

“Li faccio giocare, cerco di distrarli, ma quando stanno proprio male, oppure quando i ragazzi grandi capiscono che ormai c’è poco da fare, li accarezzo e me li abbraccio in silenzio”.

Chi ti dà la forza, le chiedo, per sostenere questo enorme carico emotivo? “Il Signore, io da sola non ce la farei”, la sua risposta. “Non si tratta soltanto di animare, ma di spingere verso la vita un bambino che si è arenato, il cui sviluppo è stato bloccato dalla malattia”, spiega. “Mi dedico ai bimbi ma accolgo e sostengo anche le lacrime dei papà, delle mamme e dei nonni”. E non si tratta solo di minori. Al Bambino Gesù vengono curati anche ragazzi più grandi che, già trattati in precedenza, presentano una recidiva, oppure hanno un tumore raro. “Io accolgo pure questi, alcuni hanno anche 30 anni”.

Ma il rapporto non si esaurisce al tempo della permanenza a Roma. Nadia racconta di famiglie che rimangono in contatto con lei anche a distanza di anni, magari anche dopo avere perduto il figlio: a tutti loro Nadia ha donato amore, consolazione e speranza.

“Ma lo sai che Nadia significa proprio speranza?”,

mi dice sorridendo mentre ci avviamo verso la casa d’accoglienza.

La struttura è composta da tre camere ognuna delle quali ha quattro posti letto, con bagno privato, e non a caso si chiamano Terra, Mare e Cielo. E poi la cucina, la sala da pranzo con vista sulla cupola di San Pietro, e la lavanderia. I colori sono tenui e rilassanti, e ogni particolare esprime la cura e l’amore per gli ospiti. Incontriamo subito Violetta, sei anni, ucraina, che occupa con la mamma Marianna, 32 anni, una delle camere. “Già a tre anni, nel 2019 – il racconto di Marianna – era stata ospite per diversi mesi a Casa di Edo per curarsi al Bambino Gesù, e poi siamo rientrate nel nostro Paese”. Ma non appena scoppia la guerra, l’Associazione vuole metterle in salvo. Così, dopo un lungo viaggio iniziato con il passaggio a piedi del confine insieme alla sua mamma, lo scorso 27 febbraio la bimba arriva di nuovo in Italia per stabilirsi a Carsoli, in provincia de L’Aquila. Ma dopo appena un mese di ritrovata serenità, ecco il riaffacciarsi della malattia e la necessità di un trapianto di midollo per il quale, a seguito di apposita certificazione, è consentito al papà Anatolij di raggiungerla in Italia come potenziale donatore, se compatibile. Quattro mesi fa il trapianto di midollo (non dal padre); a fine febbraio la bimba potrà finalmente fare ritorno a Carsoli. Intanto chiama a gran voce Viola, l’altra piccola ospite della casa, dieci anni, della provincia di Frosinone. Lo scorso 9 dicembre anche Viola ha subito un trapianto di midollo e dovrà aspettare fine marzo per tornare a casa. Ma è impaziente di rientrare a scuola e rivedere gli amici. “Manca poco”, la rassicura il papà.

Nella sala da pranzo piena di giocattoli, sedute intorno al tavolo, le bambine si cimentano insieme a Nadia nella realizzazione con il Das di una famiglia di pecore che, una volta asciugata la pasta, potranno essere verniciate con i pennarelli o le tempere. Ci mettono una cura incredibile, ma non vogliono farsi aiutare. Tutte concentrate nel modellare gli animali – forse più arieti che pecore -, sembrano voler dire:

“Vogliamo farcela, ce la stiamo mettendo tutta”.

Forse, anche contro la malattia.

 

 

 

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