Essere costruttori di pace vuol dire promuovere la fraternità

Tutti siamo chiamati ad essere operatori di pace nelle nostre città, dove sempre più spesso assistiamo a episodi di violenza e intolleranza verso chi è diverso, per cultura, religione, etnia, orientamento sessuale, così come nei confronti delle donne e dei soggetti più deboli della società, disabili, bambini e anziani

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Quotidianamente scossi dal fragore delle armi che proviene dall’Ucraina e dai tanti, troppi, conflitti in atto nel mondo, con l’incubo dell’apocalisse nucleare all’orizzonte, non possiamo e non dobbiamo far tacere la domanda di pace che interroga le nostre coscienze e ci spinge ad allargare l’orizzonte della nostra umanità.

Siamo figli di una tradizione democratica – ahimè, troppe volte ignorata – che, attraverso la Costituzione repubblicana, ha consacrato come fondamenta del patto civico la promozione della dignità della persona umana, il ripudio della guerra e la promozione della pace e della giustizia fra le Nazioni. Incoraggiati – nel presente – dagli sviluppi del diritto internazionale a tutela della pace e dei diritti umani fondamentali e dal un magistero della Chiesa che ci rendono sempre più convinti che la pace sia un bene necessario e un dovere inderogabile, senza cui non può esservi alcun progetto credibile sul futuro per nessuno.

Nella consapevolezza di questa umana verità, tutti siamo chiamati ad essere – ad un tempo, e oggi – cittadini responsabili, artigiani di pace e di speranza, pellegrini sulle orme dei testimoni di un’umanità riconciliata.

La pace si costruisce dal basso: non è solo uno slogan.

Tutti siamo chiamati ad essere operatori di pace nelle nostre città, dove sempre più spesso assistiamo a episodi di violenza e intolleranza verso chi è diverso, per cultura, religione, etnia, orientamento sessuale, così come nei confronti delle donne e dei soggetti più deboli della società, disabili, bambini e anziani. Abbiamo bisogno di costruttori di comunità accoglienti e inclusive, che sanno essere luogo di relazioni generative, dove rinsaldare i legami del patto sociale e promuovere il pieno sviluppo di ogni persona umana. Specialmente in questa stagione di grave crisi economica e sociale serve promuovere una sicurezza non basata su muri di separazione, ma su legami di solidarietà, alleanze contro le povertà e reti per il bene comune.

Come cittadini abbiamo il diritto e il dovere di chiedere alla politica responsabilità e lungimiranza, una democrazia più partecipata, aperta all’ascolto dei cittadini, politiche pubbliche capaci di ripensare gli spazi come luoghi dove prendersi cura dei legami sociali; ed anche di “disarmare la lingua e le mani”, sollecitando i responsabili delle istituzioni a riconoscere il valore generativo del confronto, investendo sulla costruzione di una società nonviolenta e promuovendo politiche concrete di coesione sociale e territoriale.

Allo stesso tempo, sono sempre più convinto che l’Europa rischia di tradire se stessa se cede alle tentazioni nazionaliste e populiste che ne minano (quasi quotidianamente) il progetto comune e le conquiste realizzate attraverso un processo di integrazione che prosegue da oltre sessant’anni. L’Europa, invece, è chiamata – a maggior ragione mentre tuona il cannone – ad essere sempre più protagonista di un rinnovato progetto di pace, che promuova la cultura dell’incontro tra i popoli e la collaborazione istituzionale tra gli Stati.Sono anche convinto che il pianeta terra è in pericolo a causa dello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali e delle scelte irresponsabili condotte dall’uomo nell’ultimo secolo, che hanno superato i limiti di sostenibilità planetaria, inasprito il divario tra Nord e Sud del mondo e rischiano di compromettere irrimediabilmente il futuro delle nuove generazioni. Invertire la rotta, aver cura della casa comune vuol dire operare per la pace, in un percorso verso una nuova e rinnovata governance globale che ridisegni una più efficace ed armonica cooperazione tra i popoli.

In fondo essere costruttori di pace vuol dire uscire dalle gabbie culturali che descrivono l’uomo, vicino e lontano, come un nemico, superando ogni logica di contrapposizione, promuovendo la fraternità come dimensione costitutiva dell’umanità e una “cittadinanza multilivello” in cui ogni uomo sia concittadino del mondo. Lo sviluppo umano integrale, in quanto rispettoso dell’ambiente e dei diritti umani, sia la via per il reale progresso dell’intera umanità e per la costruzione della pace.

(*) presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana

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