Ius scholae. Sip: “Non sia un’occasione perduta. È in gioco il futuro di un milione di ragazzi”

Sono più di un milione i ragazzi stranieri sotto i 18 anni residenti nel nostro Paese senza cittadinanza italiana. Alla vigilia della ripresa dell’iter parlamentare sullo "ius scholae”, calendarizzato alla Camera dei deputati il 24 giugno, i pediatri  lanciano un appello alle forze politiche affinché non si tratti di “un’occasione perduta” e “la nostra società venga resa più inclusiva”

(Foto Work in Progress)

Sono più di un milione i ragazzi stranieri sotto i 18 anni residenti nel nostro Paese senza cittadinanza italiana, quasi l’11% del totale della popolazione in questa classe di età; circa tre quarti (778 mila) sono nati in Italia. Seguono gli stessi studi dei loro compagni italiani, parlano la stessa lingua, hanno le stesse passioni, immaginano in Italia il loro futuro; eppure vivono in una condizione di precarietà esistenziale, legata al fatto di non sentirsi cittadini italiani, condizione che può ripercuotersi sul loro benessere e sul loro sviluppo. Pur godendo dei diritti fondamentali alla salute e all’istruzione, non hanno diritto al voto, a partecipare a concorsi pubblici, ad andare all’estero per motivi di studio o lavoro, a partecipare a competizioni sportive internazionali.

Per questo, alla vigilia della ripresa dell’iter parlamentare sulla nuova legge sulla cittadinanza ai minori stranieri, “lo ius scholae”, calendarizzato alla Camera dei deputati il 24 giugno, i pediatri italiani lanciano un appello alle forze politiche affinché non si tratti di “un’occasione perduta” e “la nostra società venga resa più inclusiva”. Occasione ne è il convegno “Minori stranieri in Italia: aspetti medici, sociali e cittadinanza” organizzato il 16 giugno dalla Società italiana di pediatria (Sip) in collaborazione con UnitelmaSapienza.
Tra gli obiettivi prioritari della Sip “vi è da sempre l’impegno per tutelare il benessere psicofisico ed i diritti di tutti i soggetti in età evolutiva, di ogni cultura ed etnia, anche attraverso la diffusione di messaggi di uguaglianza ed integrazione”, ha affermato in apertura dei lavori la presidente della Società scientifica, Annamaria Staiano. “Quasi un terzo delle famiglie straniere con figli – ha fatto notare – si trova in condizioni di povertà assoluta, ma non dobbiamo dimenticare che questi bambini e ragazzi rappresentano una risorsa per il nostro Paese dal punto di vista demografico, culturale e educativo”.

“Una più precoce acquisizione della cittadinanza favorirebbe la loro integrazione”,

ha spiegato Mario de Curtis, presidente del Comitato per la bioetica della Sip. Lo ius scholae prevede la possibilità per i minori stranieri nati in Italia, o arrivati nel nostro Paese entro i 12 anni di età, di acquisire la cittadinanza italiana su richiesta dei genitori, a patto che abbiano risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e abbiano frequentato regolarmente, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici. “In tal modo – aggiunge de Curtis – verrebbero superati gli automatismi dello ius soli e dello ius sanguinis, si aiuterebbero bambini e famiglie e si renderebbe la società più inclusiva”.

Non solo cittadinanza. Particolare attenzione va data, secondo i pediatri italiani, anche ai problemi sanitari e sociali che possono compromettere lo sviluppo di bambini e ragazzi figli di genitori stranieri; soggetti fragili con un rischio di mortalità neonatale del 50% più elevato rispetto ai figli di genitori italiani (2,8 contro 1,9 per mille nati vivi), rivela l’Istat, e più esposti al rischio di malattia. E questo a causa delle condizioni di svantaggio sociale, economico e culturale delle donne straniere in gravidanza e delle condizioni di povertà assoluta, aggravatesi con la pandemia, in cui spesso si trovano queste famiglie. Secondo l’Istat,

circa una famiglia straniera su 3 (30,6%) vive in condizioni di povertà assoluta, contro il 5,7% osservato nelle famiglie italiane.

Nascere in condizioni di povertà e di marginalità sociale costituisce un grave fattore di rischio per lo sviluppo infantile, provocando una ridotta qualità della vita (malnutrizione, carenza di cure igieniche e sanitarie, disturbata relazione di attaccamento genitore-figlio, scarsità di stimoli) e una maggiore incidenza di disturbi e difficoltà nella sfera fisica, affettiva, emotiva, cognitiva, linguistica e relazionale”, ha aggiunto de Curtis. Di qui l’importanza della prevenzione come “strategia fondamentale per tutelare e promuovere la loro salute e i loro diritti”, ha rimarcato Giovanni Corsello, professore ordinario di pediatria all’Università di Palermo. Prevenire difetti congeniti e danni nel feto e nel neonato, malnutrizione e carenze alimentari, malattie infettive: queste, ha sottolineato, “le tre aree principali nelle quali investire in termini di accoglienza, controlli di salute e integrazione sociosanitaria”.

Ma occorre investire anche in ambito educativo perché nel nostro Paese il percorso scolastico degli alunni stranieri, in particolare di quelli non nati nel nostro Paese, è accidentato. Solo il 49% dei nati all’estero viene inserito nella classe corrispondente alla propria età; quasi il 40%viene iscritto nella classe precedente e il 12,2% addirittura in classi in cui l’età teorica di ingresso è di almeno due anni inferiore a quella del ragazzo. Inoltre, al termine dell’anno scolastico, gli alunni stranieri vengono respinti con maggiore frequenza di quelli italiani. “Fondamentale – hanno concluso i pediatri – un maggiore aiuto soprattutto per i minori non nati in Italia che hanno problemi linguistici: una cattiva integrazione nella scuola può comprometterne il futuro scolastico e quello professionale e sociale”.

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