L’uomo, il sepolcro, il Risorto. La percezione umana della Resurrezione in un libro che unisce Scritture, letteratura e arte

Il punto di vista è fondamentale per riportare l’arte - e la creazione umana in generale, dalla letteratura alla scultura - all’interno della sua possibilità di legare il qui e l’altrove. La percezione rimane quella dei propri sensi, anche quando a fare irruzione è l’indicibile, perché quel non possibile a dirsi arriva nei nostri sensi ed è riferito attraverso questi. E bene hanno fatto lo storico Simone M. Varisco e don Paolo Alliata, responsabile del Servizio per l’apostolato biblico della diocesi di Milano a porre questa visione della Resurrezione a conclusione del loro “La Pasqua tra pittura e letteratura”

(RCIN 404816 - Royal Collection)

Solo il genio, in questo caso quello di Rembrandt, poteva, già quattro secoli fa, mostrare la verità attraverso i sensi umani, descriverla come essa precipita nella nostra percezione. Nella londinese Queen’s Gallery a Buckingham Palace è infatti presente un incontro tra il Cristo risorto e Maria Maddalena del grande pittore olandese. Solo che il quadro è realizzato dal punto di vista della donna.Nel “Cristo e Maria Maddalena al Sepolcro”, a destra sono visibili i due angeli del racconto di Giovanni e a sinistra di Maria non appare il Cristo risorto e illuminato dallo splendore della gloria come in altre opere, ma colui che la donna crede di vedere, il “custode del giardino”, che potrebbe essere un richiamo implicito, celato nelle profondità abissali della memoria archetipica, ad un Giardino cui quella Resurrezione ha riavvicinato l’umanità. Il grande artista ci offre il momento in cui Maddalena crede di vedere il custode del giardino, e allora lo rappresenta con gli strumenti del suo lavoro, un coltello, una vanga, il cappello a larghe tese.

Il punto di vista è quindi fondamentale per riportare l’arte – e la creazione umana in generale, dalla letteratura alla scultura – all’interno della sua possibilità di legare il qui e l’altrove. La percezione rimane quella dei propri sensi, anche quando a fare irruzione è l’indicibile, perché quel non possibile a dirsi arriva nei nostri sensi ed è riferito attraverso questi. E bene hanno fatto lo storico Simone M. Varisco e don Paolo Alliata, responsabile del Servizio per l’apostolato biblico della diocesi di Milano a porre questa visione della Resurrezione a conclusione del loro “La Pasqua tra pittura e letteratura” (Ancora, 46 pagine, euro 7,50). Un libro di poche ma intense pagine, dove coesistono immagini non consuete della Resurrezione, riflessioni, richiami alla letteratura in grado di darci un’idea diversa della prospettiva umana di un evento che ha cambiato l’orizzonte interpretativo del mondo e il mondo stesso.

E quel “orizzonte interpretativo” è fondamentale in un piccolo volume in cui è presente l’impressionate acquarello della “Crocifissione vista dalla Croce”, oggi al Brooklyn Museum di New York, di James Tissot: qui il punto di vista è “scandalosamente” quello di Gesù che vede dall’alto della sua Kenosis, vale a dire del suo “abbassamento” da Dio a uomo agonizzante, la cui sofferenza è resa ancora più terribile proprio da quella visione dall’alto. Negli spasmi dell’agonia guarda ai suoi piedi la Madre pregare disperata, le altre donne e Giovanni che fissano i loro occhi – che sembrano emanare disperazione, condivisione radicale, domande inquiete sul senso di tutto questo – verso l’origine del quadro, e del tutto che sta arrivando al suo compimento in quell’istante spasmodico.

Il piccolo libro presenta anche un altro episodio della Passione, non molto riprodotto, ma che colpisce molto per il suo punto di vista ancora una volta solo umano: “L’Ultima cena” di Nikolaj Nikolaevič Ge, del 1863, in cui regna la spasmodica attesa del tradimento, dell’uscita dalla stanza di Giuda, “l’oscuro”, come scriverà trent’anni dopo Thomas Hardy riferendosi al suo problematico, moderno personaggio. Giuda qui rappresenta l’umana ombra, la scelta del male, lo spettro buio rispetto alla vita del prima del tradimento. C’è qualcosa – sembrano suggerire Varisco e Alliata – che va oltre i pur stupendi, ineguagliabili capolavori di Raffaello, una Resurrezione del quale (anche se alcuni addetti ai lavori dubitano dell’attribuzione al Sanzio) è a San Paolo del Brasile, di Duccio da Buoninsegna, del Beato Angelico, di Piero della Francesca, e di quella cantata da Manzoni.

Forse solo Dante, ancora una volta, è in grado di sostenere l’impatto terrificante di quel prima che ha portato alla resurrezione del Paradiso, passando attraverso lo smarrimento, il dolore, l’oltraggio dell’esilio e della perdita di tutto, il non senso fino alla Rinascita, verso “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

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