Dimmi che vaccino fai e ti dirò chi sei

In epoca precovidica, quando non immaginavamo neppure esistesse un tale virus, se si incontrava un amico al distributore la domanda poteva essere “La tua auto quanto fa con un litro?”, oppure "Che ne pensi dell'auto ibrida di Mario?”. Oggi la domanda di rito è invece diventata “Tu hai fatto il vaccino?”. E poi “Che vaccino hai fatto?”. E già commenti sull’esperienza propria o, se non siamo ancora tra i “chiamati”, di qualche parente che ha già fatto la fila per la puntura sul braccio. Perché comunque oramai, tutti hanno almeno un parente che è stato immunizzato e magari, addirittura, ha già fatto anche la seconda dose.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

In epoca precovidica, quando non immaginavamo neppure esistesse un tale virus, se si incontrava un amico al distributore la domanda poteva essere “La tua auto quanto fa con un litro?”, oppure “Che ne pensi dell’auto ibrida di Mario?”.
Oggi la domanda di rito è invece diventata “Tu hai fatto il vaccino?”. E poi “Che vaccino hai fatto?”. E già commenti sull’esperienza propria o, se non siamo ancora tra i “chiamati”, di qualche parente che ha già fatto la fila per la puntura sul braccio. Perché comunque oramai, tutti hanno almeno un parente che è stato immunizzato e magari, addirittura, ha già fatto anche la seconda dose.
E così il vaccino è diventato, volenti o no, l’argomento cult di questo 2021 che ci dovrebbe vedere vincitori sul coronavirus e tutto grazie, manco a dirlo, proprio a “lui”, il vaccino. Non stupisce dunque se questo farmaco riveli oggi tanti nostri caratteri e sia diventato, anche per questa ragione, una metafora di quello che siamo.
Il governo Draghi ha detto alle Regioni che deve esserci un criterio omogeneo di somministrazione. Basta “anarchia regionale”. La priorità va data ai fragili, quindi agli anziani e a qualche altra categoria considerata tale. й una indicazione di civiltà che dice in modo chiaro che il Paese si preoccupa di tutelare chi rischia di più di ammalarsi. Qualcuno non è d’accordo (il presidente della Campania De Luca per esempio) e vorrebbe anteporre criteri economici, introducendo, peraltro, fattori discriminatori molto discutibili.
Va osservato che la gran parte degli italiani si sta attenendo alle direttive governative. La gran parte per˜. C’Џ, infatti, sempre una percentuale che deve dimostrare di essere più furba degli altri. Sono i cosiddetti “saltafila”, quelli che “I fragili non sono un problema mio”, quelli della serie “Lei non sa chi sono io” oppure “Mi manda il cugino del mio amico, fratello del ministro ecc. ecc.”. Il solito vizio italico che soprattutto certi potenti non riconoscono come vergogna (anche qui il presidente De Luca ha avuto il suo attimo di fama). E sì che “potenti” che sanno fare la fila come tutti ne abbiamo: dal presidente Mattarella al presidente Draghi. Ma evidentemente c’è sempre un presidente che è più presidente degli altri. Alla fine resta la domanda che il premier Draghi ha lanciato come un dardo infuocato: “Con che coscienza si salta la fila?”. Già! Forse un ripasso su cos’è la coscienza, potrebbe essere utile.
Questi vaccini ci stanno ricordando, poi, l’importanza della cura e del prendersi cura. Vaccinarsi è un modo per avere a cuore, oltre che sé stessi, anche gli altri e si è comunità tanto quanto si sa prendersi cura gli uni degli altri. E tanti italiani lo hanno capito.
La campagna vaccinale ci conferma poi, se ce n’era bisogno, che il sistema sanitario va “registrato”. Quanto è accaduto e sta accadendo in Lombardia dice in modo drammatico che la sanità non può essere lasciata semplicemente in mano ai privati, perché è un ambito dove il solo interesse economico mal si concilia con l’interesse collettivo. й quello che stiamo imparando anche sul versante della fornitura dei vaccini. L’Europa non può essere ostaggio delle multinazionali del farmaco e per questo deve avere una filiera di produzione propria che comprenda anche la ricerca.
Il vaccino, infine, ci dice ricorda – se qualcuno non se lo avesse appuntato – che siamo davvero tutti sulla stessa barca e che dunque la fornitura ai Paesi poveri si dovrebbe fare se non per solidarietà per convenienza perché tutti siamo interconnessi.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)

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