Quella tentazione di piantare bandierine

“Tutti hanno bandiere identitarie, si tratta ora di chiedersi quali di queste bandiere abbiano un senso e a quali si può rinunciare senza fare un danno alla propria identità e all’Italia”. Sono racchiuse, in queste poche parole pronunciate da Draghi al termine del consiglio dei ministri del 19 marzo scorso, le condizioni per portare a compimento l’opera di ricostruzione dell’Italia piegata dalla pandemia. Draghi, forte del suo pragmatismo, è consapevole che tutti i partiti che fanno parte del suo governo di unità nazionale, si portano dietro una eredità di vedute, convinzioni e annunci proprie del loro bagaglio culturale.

(Foto ANSA/SIR)

“Tutti hanno bandiere identitarie, si tratta ora di chiedersi quali di queste bandiere abbiano un senso e a quali si può rinunciare senza fare un danno alla propria identità e all’Italia”. Sono racchiuse, in queste poche parole pronunciate da Draghi al termine del consiglio dei ministri del 19 marzo scorso, le condizioni per portare a compimento l’opera di ricostruzione dell’Italia piegata dalla pandemia. Draghi, forte del suo pragmatismo, è consapevole che tutti i partiti che fanno parte del suo governo di unità nazionale, si portano dietro una eredità di vedute, convinzioni e annunci proprie del loro bagaglio culturale. Ed è, altresì, convinto che, nonostante il consenso crescente verso la sua leadership, gli ostacoli per il suo governo, più che dalla pandemia e dalle condizioni disastrose in cui si trova l’economia del Paese, possono venire proprio dalla difficoltà di superare i pregiudizi politici che costituiscono il dna delle tante, troppe, formazioni politiche che lo appoggiano. Il consiglio dei ministri del 19 marzo scorso, infatti, proprio a causa delle forti divergenze su una delle tante questioni divisive – la rottamazione delle cartelle esattoriali- ha subito una serie di rinvii, così come accadeva con i precedenti governi. Ai partiti non interessava tanto approfondire le ragioni che sottostavano a un decreto che stanzia, in deficit, 32 miliardi, per aiutare imprese e lavoratori, somma questa che si va ad aggiungere ai 110 miliardi, sempre in deficit, già impegnati nel 2020. Misure, peraltro, considerate dallo stesso Draghi non esaustive, al punto da doverne annunciare altre, per le prossime settimane, per un minimo di 20 miliardi. Evidentemente, quello che interessava ai partiti era chiudere con successo una faccenda – i condoni fiscali – sulla quale sono stati sempre divisi: le destre sostenute, per l’occasione, dai Cinque stelle, favorevoli all’allargamento, le sinistre contrarie a tale procedura. Alla fine c’è voluta l’abilità mediatrice di Draghi per sbloccare la situazione: “è un condono – ha spiegato – ma di multe di oltre 10 anni fa che noi abbiamo contenuto in importo; una platea piccola di contribuenti che ha meno disponibilità e per importi molto piccoli”. Una mossa abile per lasciare tutti soddisfatti: i favorevoli, per avere difeso, comunque, il provvedimento, i contrari per averne attenuato i danni. Insoddisfatti, come si prevedeva, le categorie interessate – piccoli imprenditori e liberi professionisti – che parlano “di briciole e di elemosina”. Al di là dei contenuti di questo primo corposo provvedimento del governo Draghi, che trasversalmente riguarda gli ambiti della salute, scuola, turismo, cultura e economia, la questione centrale sta nel cambio di passo che il Premier intende dare alla politica e al quale tutti dovranno uniformarsi. A differenza dei partiti, orientati a difendere gli interessi di parte, Draghi è consapevole della gravità della situazione in cui versa il Paese, al punto da auspicare “che le future delusioni non siano uguali all’entusiasmo di oggi”. Oltre alle tante povertà e alle situazioni di bisogno più volte elencate, c’è un dato che deve fare riflettere: a causa della sospensione del rimborso dei prestiti, le imprese italiane hanno oggi verso le banche debiti per ben 188 miliardi di euro! Motivo per cui Draghi ha affermato, con toni perentori, che “quest’anno non si chiedono soldi, si danno” e, ancora, che “è necessario accompagnare le imprese e i lavoratori a uscire dalla pandemia” e, infine, che “questa è la politica economica da fare oggi. E basta!”. Il criterio guida, pertanto, non potrà essere, almeno finché sarà lui a guidare il governo, la colorazione o la collocazione dei problemi – non ci sono provvedimenti verdi, rossi o gialli, o di destra o di sinistra – ma soltanto ciò che è utile al Paese. Questo è un governo di solidarietà dove le furbizie potrebbero destabilizzare il precario equilibrio che lo tiene in piedi. L’auspicio è che, prendendo consapevolezza di questa situazione, tutti facciano un passo indietro, rinunciando a quelle proposte che, ancorché far parte dell’identità dei singoli partiti, oggi non giovano al bene del Paese.

(*)direttore “La Vita Diocesana” (Noto)

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