Dialogo cattolici-ebrei. Mons. Spreafico: “La risposta più bella alla pandemia è la fraternità universale”

“Abbiamo sentito la necessità di istituire questa Giornata per riscoprire le radici che ci legano in maniera profonda all’ebraismo”, spiega al Sir il presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei. “Il nostro incontro vuole quindi essere un grande segno per tutti: c’è una fraternità universale che si può scoprire solo nell’incontro tra diversi. La risposta più bella alla pandemia è dire: siamo diversi ma la nostra diversità è una ricchezza e non un motivo che ci costringe a costruire muri e separazioni. Siamo diversi ma non per questo non possiamo non dire di essere tutti fratelli e sorelle di un’unica grande famiglia umana”

“Abbiamo capito meglio che non saranno i muri a salvarci, ma il remare insieme – come ha detto Papa Francesco – nella stessa barca che affronta questa tempesta. Da soli non ce la facciamo”. È quanto scrive mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, nell’introduzione al Sussidio per la XXXII Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei che si celebra il prossimo 17 gennaio.

foto SIR/Marco Calvarese

Al centro della riflessione comune, la Giornata quest’anno pone il libro di Qohelet. La pandemia – scrive il vescovo – ci ha posto tutti “di fronte alla morte e alla fragilità dell’essere umano”. “Non ci poteva essere migliore coincidenza di questa che affrontare assieme, ebrei e cattolici, le domande che ci vengono da questo tempo di dolore e di morte”.

Mons. Spreafico, ci può spiegare meglio cosa c’entra il libro di Qohelet con la pandemia?

Il libro del Qohelet è una riflessione sulla fragilità della vita, sulla difficoltà a capire i tempi, a rispondere a tutte le domande. È in ultima analisi la condizione esistenziale che stiamo vivendo negli ultimi tempi. Ci siamo confrontati con la fatica a capire l’origine dell’epidemia. Nonostante il progresso della scienza e il traguardo raggiunto con i vaccini, abbiamo scoperto quanto sia fragile il genere umano e quanto sia ancora difficile contenere questa pandemia. Qohelet esprime lo spirito di un tempo difficile e pieno di interrogativi che è molto simile al nostro. Ancora oggi facciamo fatica a trovare risposte giuste e adeguate e la nostra saggezza si confronta con l’incertezza.

Cosa hanno da dire in questo tempo di profonda crisi ebrei e cattolici?

Noi esprimiamo in realtà un fatto molto semplice, quanto dimenticato, e cioè che la risposta, ancor più nei tempi difficili, viene dall’incontro. Alla crisi si risponde insieme. Noi qui in Italia – sebbene la presenza degli ebrei nel nostro Paese non sia numerosa come ad esempio quella in Francia, in Inghilterra o negli Stati uniti – spronati dal Concilio Vaticano II abbiamo sentito la necessità di istituire questa Giornata di approfondimento per riscoprire le radici che ci legano in maniera profonda all’ebraismo. Il nostro incontro vuole quindi essere un grande segno per tutti: c’è una fraternità universale che si può scoprire solo nell’incontro tra diversi. La risposta più bella alla pandemia è dire: siamo diversi ma la nostra diversità è una ricchezza e non un motivo che ci costringe a costruire muri e separazioni. Siamo diversi ma non per questo non possiamo non dire di essere tutti fratelli e sorelle di un’unica grande famiglia umana, come ci ha ricordato autorevolmente Papa Francesco.

Purtroppo, non cessano in Italia, anzi aumentano, gli atti di antisemitismo di natura nazista. Che parola dire di fronte a questo fenomeno?

Innanzitutto, direi che è vergognoso che in una situazione di grande fragilità e debolezza, di problemi sociali e di morti, ci siano ancora persone che non trovando risposte alla rabbia, devono identificare l’origine del male negli altri, siano essi gli ebrei, i cinesi o i profughi. L’antisemitismo è stato purtroppo una di queste manifestazioni dolorose che ricordiamo, in passato ha portato alla Shoah, la cui violenza insensata è nata proprio in un altro momento difficile della storia europea. Ci sono state purtroppo tante manifestazioni di questo genere che mostrano come il mondo sia a volte avvolto dall’ignoranza. Siamo di fronte a fenomeni che vengono da uomini e donne che sfruttano stereotipi privi di alcun fondamento, invece di unirsi per una ricerca comune di risposte.

L’antidoto?

Credo sia innanzitutto culturale. Lo dico anche come Chiesa. Dobbiamo impegnarci, ad esempio nella catechesi e nell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ad aiutare una comprensione più profonda dell’ebraismo e del legame che ci lega a Israele. Si tratta cioè di far recepire un insegnamento del magistero della Chiesa che ancora purtroppo non è passato nella cultura delle nostre comunità. È un impegno in cui dobbiamo essere coinvolti di più tutti.

Cosa si auspica da questa Giornata?

Spero che questa Giornata possa lasciare una traccia di un percorso che però dobbiamo proseguire insieme. Le comunità ebraiche esistono e sono in mezzo a noi. Incontriamoci con loro. L’ebraismo non è solo l’Antico Testamento (e sarebbe meglio abituarci a dire “Primo Testamento”). L’incontro e la conoscenza sono l’antidoto per non cadere nella divisione, l’aiuto per costruire un domani migliore. Non sono d’accordo con chi dice: “Speriamo che tutto torni come prima”. Spero invece che tutto torni meglio di prima perché il mondo che lasciamo è un mondo pieno di violenza e di ingiustizie, che ha bisogno di una nuova umanità, segnata dall’amore di Dio e dal dialogo tra noi, unica via verso la pace e la convivenza.

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