Nei travagli della pandemia una crisi di governo è alquanto irresponsabile. Ma Mattarella c’è

La pandemia ha messo a dura prova l'intero pianeta e dovremmo pensare spesso a come avremmo affrontato questi tempi drammatici senza o contro l’Europa. C’è però un campo in cui l’Italia merita davvero la maglia nera: qualcuno, infatti, ha pensato bene di innescare una crisi di governo in un momento in cui la lotta contro i contagi non dà ancora tregua, è partita pur tra tante difficoltà la colossale impresa della vaccinazione di massa e c’è da progettare e realizzare una ripresa economica dalle enormi implicazioni strategiche a fronte di un Paese socialmente stremato. Il capo dello Stato ha richiamato tutti al loro dovere, ma se i partiti e i loro leader – a cominciare dalle due forze più rilevanti della maggioranza – non si assumeranno le rispettive responsabilità, neanche Mattarella potrà evitare che si scivoli inesorabilmente verso nuove elezioni

(Foto ANSA/SIR)

Sull’andamento dei contagi e sulla campagna per i vaccini il confronto con gli altri Paesi europei offre risultati non univoci. A dispetto dei luoghi comuni amplificati dalla propaganda un po’ sovranista, un po’ autolesionista (i due profili paradossalmente convergono) l’Italia non spicca in negativo. Sui vaccini, per esempio, Francia e Olanda (non gli ultimi arrivati in Europa) sono molto più in ritardo. E nelle tragiche statistiche delle persone morte per Covid, negli ultimi giorni la stessa Germania ha sfiorato più volte i mille decessi quotidiani. Mai come in questo caso il detto secondo cui il mal comune è mezzo gaudio si rivela una cinica bugia. Le difficoltà degli altri non riducono di una virgola le nostre, anzi, la pandemia dovrebbe averci finalmente insegnato che da soli non si va da nessuna parte. Dovremmo pensare spesso a come avremmo affrontato questi tempi drammatici senza o contro l’Europa. C’è però un campo in cui l’Italia merita davvero la maglia nera: qualcuno, infatti, ha pensato bene di innescare una crisi di governo in un momento in cui la lotta contro i contagi non dà ancora tregua, è partita pur tra tante difficoltà la colossale impresa della vaccinazione di massa e c’è da progettare e realizzare una ripresa economica dalle enormi implicazioni strategiche a fronte di un Paese socialmente stremato.

Intendiamoci, la possibilità di un ordinato cambiamento dei vertici politici è un elemento essenziale della democrazia. Quando i vertici resistono al cambiamento con ogni mezzo e in barba alle regole (lo si è visto negli Usa) è un problema molto, molto serio. Non è questo il caso italiano, dove semmai il problema di fondo è quello di una cronica debolezza dei governi a causa dell’instabilità del quadro politico. Ma in una democrazia sana ci sono comunque tempi e modi da rispettare. Non si tratta soltanto dell’osservanza delle regole costituzionali (e ci mancherebbe pure), ma anche del rispetto che si deve alla situazione concreta dei cittadini. Agli occhi dei quali la crisi in atto non può non risultare incomprensibile. Tra i temi dello scontro nella maggioranza, infatti, ci sono rilevanti questioni di contenuto, ma accanto ad altre che inevitabilmente appaiono come mere questioni di potere. E la sensazione è che siano proprio queste ultime a impedire che le altre possano essere affrontate nell’ambito della normale dialettica politica di un governo di coalizione, come dovrebbe accadere tanto più nel contesto in cui si trova il Paese.

Come finirà esattamente non lo sa ancora nessuno, anche se il cangiante borsino delle previsioni ora propende decisamente per la soluzione nota come “Conte ter”: un assetto di governo nuovo, con cambiamenti anche in ruoli chiave, ma con lo stesso presidente del Consiglio e la stessa maggioranza parlamentare. Per fare che? Se proprio crisi dev’essere, che serva almeno a far nascere un governo fondato su un patto di maggioranza politicamente forte, all’altezza delle sfide che incombono, a cominciare dall’impiego dei fondi del Recovery Plan. Ma il percorso è insidioso perché per far nascere il terzo governo Conte bisognerà passare per le dimissioni del premier (a questo Italia Viva sembra difficile che rinunci) e una volta che la crisi di governo sarà formalizzata i comportamenti dei diversi soggetti politici potrebbero diventare incomponibili. L’apprendista stregone o la maionese che impazzisce sono le due immagini che più ricorrono tra i commentatori.

Per fortuna al Quirinale c’è Sergio Mattarella.

Nel discorso di fine anno il capo dello Stato ha ricordato tra l’altro che questo è l’ultimo anno del suo mandato. “Sarà un anno di lavoro intenso”, ha sottolineato il presidente, come per dire a tutti che svolgerà il suo ruolo in pienezza e fino in fondo. La gestione della crisi di governo formale verso cui ci si avvia non potrebbe essere in mani migliori. Ma se i partiti e i loro leader – a cominciare dalle due forze più rilevanti della maggioranza – non si assumeranno le rispettive responsabilità, neanche Mattarella potrà evitare che si scivoli inesorabilmente verso nuove elezioni.

Anche perché sul versante dell’opposizione le idee non sono affatto chiare e convergenti. Fratelli d’Italia sta raccogliendo le firme a sostegno di una mozione di sfiducia contro il governo in carica. Iniziativa non condivisa da Lega e Forza Italia per il rischio di aiutare la maggioranza a ricompattarsi. Questi ultimi due partiti vedrebbero invece con favore un governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, ipotesi che non piace a FdI. Ma su questa strada l’ostacolo più grande (a parte la disponibilità del personaggio, tutta da dimostrare) è rappresentato dal perdurante atteggiamento anti-Ue delle due principali forze d’opposizione.

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