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Cassa depositi e prestiti, dai libretti postali alle Autostrade. Ma servono gli utili

Probabilmente i circa 27 milioni di italiani che comprano buoni e libretti postali non hanno ben chiaro che gran parte dei miliardi raccolti dalle Poste (erano 265 nel 2019) sono a disposizione della Cassa depositi e prestiti (Cdp) per le sue attività di finanziamento alle imprese, per diverse iniziative sociali e per assumere partecipazioni in grandi società. Di Cdp si parla molto in questi ultimi anni, si chiede il suo intervento in casi di salvaguardia del ruolo pubblico nell’economia o in casi disperati: Ilva, Alitalia e ora per rimettere nelle mani dello Stato il servizio autostradale privatizzato nel 1999 a vantaggio di Atlantia della famiglia Benetton. Il dibattito di queste ore sul ritorno dello “Stato padrone” è, come spesso accade, molto ideologico

Chissà se i circa 27 milioni di italiani che comprano buoni e libretti postali hanno chiaro che gran parte dei miliardi raccolti dalle Poste (erano 265 nel 2019) sono a disposizione della Cassa depositi e prestiti (Cdp) per le sue attività di finanziamento alle imprese, per diverse iniziative sociali e per assumere partecipazioni in grandi società? Probabilmente no.

Ci si fida delle Poste la cui maggioranza è detenuta dalla Stato e di conseguenza ci si fida anche di quella sigla un po’ misteriosa che invece ha ben 145 anni di vita pubblica e volendo ben di più perché ha radici nel Regno sabaudo. Di Cdp si parla molto in questi ultimi anni, si chiede il suo intervento in casi di salvaguardia del ruolo pubblico nell’economia o in casi disperati: Ilva, Alitalia e ora per rimettere nelle mani dello Stato il servizio autostradale privatizzato nel 1999 a vantaggio di Atlantia della famiglia Benetton. Il crollo del ponte Morandi, le 43 vittime, gli sfollati, i riflessi sull’economia di una regione hanno imposto l’arretramento degli attuali gestori privati e il passaggio in mani statali. Le autostrade, quelle raccolte in Aspi (Autostrade per l’Italia), tornano sotto controllo del Governo che ha in mente però di ridurre il suo 51% iniziale per restare il maggiore azionista al 30% circa in una Public company (che in finanza non vuol dire società pubblica ma società a capitale diffuso fra tanti soci) che dovrà fare utili e distribuire dividendi agli investitori. Grandi spazi per ridurre le tariffe autostradali non ci sono. Tocca ora allo Stato garantire sicurezza, la manutenzione di qualità e gli investimenti.

Il dibattito di queste ore sul ritorno dello “Stato padrone”, la “politica che riprende a comandare”, di “rivincita di una nuova Iri” (l’Istituto di ricostruzione che fino agli anni ’90 controllava banche, grandi imprese poi privatizzate),

è, come spesso accade, molto ideologico.

Cdp ha alcune sfumature operative che vanno colte: è una quasi-banca senza sportelli diretti, non è completamente controllata dal Governo perché le fondazioni di matrice bancaria detengono poco più del 16% e indicano il presidente. Anche per questo Cdp e, quindi, le sue società controllate e le sue partecipazioni non entrano immediatamente nel bilancio dello Stato (tecnicamente si dice non vengono “consolidate”); lo stesso avviene anche in Francia con la Cdc e in Germania con la Kfw.

Se Cdp, come ha fatto in questi anni, chiuderà in utile i suoi bilanci nessun problema, anzi, solo vantaggi. Se i suoi amministratori sceglieranno invece investimenti negativi, prima o poi gli italiani si ritroveranno con un debito pubblico più grande.Gestire un monopolio fisico come le autostrade non è così difficile e i Benetton scelsero Autostrade anche perché era una “cash cow” (mucca da mungere). Non è possibile non pagare e i soldi transitano dal casello direttamente nelle tasche dei gestori. Più difficile portare in utile Alitalia, così come altre compagnie estere e dopo la crisi Covid, sempre alle prese con nuove perdite e con concorrenti agguerriti. Fra le più importanti partecipazioni detenute da Cdp ci sono Telecom Italia, Eni, Fincantieri e la stessa Poste Italiane. Ora Autostrade. Probabilmente ne arriveranno altre, tutte hanno bisogno di essere in utile. Per i conti dello Stato e per i soci che vi investono. Altrimenti il meccanismo si rompe.

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