La morte di Aziz e i leoni da tastiera

Torniamo a dire: «Ci interessa!» Sabato scorso un ragazzino – che avrebbe compiuto 17 anni a luglio – è morto affogato in un laghetto a Castelletto di Branduzzo. Era giunto lì con alcuni amici per un pic-nic o per pescare e per un’imprudenza o per una distrazione è scivolato nell’acqua profonda e gelida e, non sapendo nuotare, si è trovato in difficoltà. A nulla sono valsi i tentativi dei compagni di riportarlo a galla.

Torniamo a dire: «Ci interessa!»
Sabato scorso un ragazzino – che avrebbe compiuto 17 anni a luglio – è morto affogato in un laghetto a Castelletto di Branduzzo. Era giunto lì con alcuni amici per un pic-nic o per pescare e per un’imprudenza o per una distrazione è scivolato nell’acqua profonda e gelida e, non sapendo nuotare, si è trovato in difficoltà. A nulla sono valsi i tentativi dei compagni di riportarlo a galla.
La notizia ha già fatto il giro del web quindi non vi sto dicendo niente di nuovo. Ma sul web e sui social ho letto commenti di segno opposto. Nelle prime ore, quando nessuno conosceva ancora il nome del giovane, si sono susseguiti messaggi di cordoglio, manine giunte, il solito “R.I.P.” con il quale oggi si salutano i morti (un’usanza che, da sola, varrebbe un editoriale: tutto avviene su questo maledetto FaceBook: i famigliari annunciano la dipartita del congiunto e gli amici e i conoscenti esprimono le loro più sentite condoglianze con faccine che piangono, formulette, fumetti, senza più una telefonata, un telegramma, una visita alla salma, la partecipazione ai funerali… ma lasciamo perdere). Dopo, quando i media hanno detto che la vittima si chiamava Aziz Mansombde Guebre, che era originario del Burkina Faso, che era arrivato in Italia quattro anni fa ed era uno studente dell’istituto “Baratta” di Voghera, si sono scatenati i leoni da tastiera. Il loro commento più misericordioso è stato che «c’erano i cartelli e lo avevano avvisato» dunque poteva evitare di andarsi a cercare una morte così. Gli altri ve li risparmio per decenza.
Più ci penso, più do fondo a tutte le mie conoscenze linguistiche, più sfoglio il vocabolario e più non riesco a trovare una parola diversa da «razzismo» per definire tali atteggiamenti.
La cattiveria e l’imbecillità di alcuni esseri umani precipitano in dichiarazioni che altro non sono se non razziste. Sono, per certi versi, razzisti quei vostri amici, conoscenti, colleghi, familiari nel momento in cui i loro “profili” traboccano di battutine da bar e di barzellette che non fanno più ridere, mettendo in evidenza una mancanza di pietas che spaventa. Saranno diventati così per poco amore, per infelicità, per pazzia e per disordine, per ignoranza e per strafottenza, ma intendiamoci: la piaga del razzismo non finirà se anche noi che razzisti non siamo, ogni volta che ascoltiamo quelle battutine, ci mettiamo a sorridere invece di reagire o ci voltiamo dall’altra parte. Chi se la prende con il povero Aziz in una piazza virtuale senza contraddittorio, mostra un desiderio di potere del quale l’odio è soltanto un surrogato. Ci sarebbero già la guerra, la mala politica, la brutta arte per “surrogare”: non ne avete abbastanza? Ciò che sta capitando negli USA dopo la morte di George Floyd non è distante da noi, anzi: ci deve interessare. Quando torneremo a dire: «ci interessa»?
Aziz giocava a calcio nell’Under 17 del Salice Vallestaffora: i suoi compagni hanno deciso di dedicargli un torneo o una borsa di studio per ricordarlo. Hanno detto che era «un esempio di lealtà fuori e dentro il campo». Gli amici, gli animatori e don Loris Giacomelli dell’oratorio “Don Orione” di Voghera lo hanno salutato con alcune foto pubblicate su FB che «racchiudono i bellissimi momenti passati insieme» a Macugnaga. Questi sono i “leoni” che mi piacciono… dal ruggito libero, chiaro, potente e, soprattutto, onesto.

(*) direttore “Il Popolo” (Tortona)

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